La storia di Antonio e Antonino Catalano, l’arte tramandata di padre in figlio: due figure di rilievo dell’arte pittorica di Messina
Una tradizione artistica di famiglia. Il mestiere che diventa vocazione e viene tramandato di padre in figlio. Il talento creativo che viene incanalato, guidato e fuoriesce su tela dando vita ad opere che arricchiscono l’arte siciliana. La storia di Antonio e Antonino Catalano, “il Vecchio” e “il Nuovo”, è una storia d’arte che si sviluppa in riva allo Stretto.
Antonio Catalano, definito “l’Antico” o il “Vecchio”, nacque a Messina intorno al 1560, da una famiglia di umili origini. Queste e altre informazioni si conoscono grazie agli scritti del Susinno, il suo più antico biografo. Iniziò il mestiere di calzolaio, come il padre, poi iniziò l’apprendistato pittorico presso il napoletano Teodato Guinaccia, facendosi influenzare anche dall’artista più importante che all’epoca operava a Messina, ovvero Polidoro da Caravaggio. Tale interesse viene confermato dalla copia della “Natività” di Polidoro: una copia dell’opera si trova adesso a Gesso, nella chiesa dei cappuccini. Dopo aver conosciuto un pittore gesuita, il Catalano entrò al suo servizio e lo seguì a Roma. Nella Città Eterna si avvicinò al manierismo di derivazione raffaellesca, modernizzandolo con il vivace colorismo del Barocci del quale fu allievo.
Non vi è una reale certezza sulla sua presenza a Bologna, del quale il Susinno non fa menzione, ma viene invece confermata dal Grosso Cacopardo. Viene, probabilmente in maniera erronea, identificato con Antonio Cattalani o Catellani, detto “Il Romano”, discepolo dell’Albani e autore di opere come un affresco con i Santi protettori della città di Bologna, presente nella chiesa della Madonna della Grada un altro affresco con un episodio della vita di S. Petronio in una sala del palazzo pubblico, sempre a Bologna. Le date delle opere e lo stile fanno propendere per l’esclusione di tale ipotesi.
Nel 1598 tornò in Sicilia, nello stesso anno c’è traccia di una sua attività anche a Malta. Oltre ai quadri di Malta (Sposalizio di s. Caterina per la chiesa dei padri detti dell’Osservanza) e Cefalù (Vergine e s. Anna per la chiesa dei padri conventuali), realizzò alcune opere per le chiese di Lipari e altre cittadine vicine a Messina. Ad Acireale, su un altare del duomo, è conservata una Vergine del Rosario (1600); a Castelbuono, nella chiesa dei cappuccini, troviamo una Madonna degli angeli; una tela di analogo soggetto è a Sant’Angelo di Brolo nella chiesa di S. Francesco. Nella città di Messina, a causa dei terremoti e della guerra, sono rimaste poche opere del Catalano. Esse si trovano oggi presso il Museo nazionale: la tela con la Madonna, s. Placido e altri santi (già nella chiesa di S. Maria dell’Indirizzo), e la Vergine degli angeli con i ss. Francesco e Chiara, già nella chiesa di S. Chiara, firmata e datata (“Ant. Catalanus pictor messanesis pingebat 1604”). Una sua opera, l’Annunciazione (1598), è presente anche presso la chiesa Maria Ss. Annunziata di Sant’Alessio in Aspromonte (Reggio Calabria).
Incerta la data della morte del Catalano. Susinno la indica nel 1630, con tanto di sepoltura presso la chiesa della Confraternita di San Rocco. Buonfiglio Costanzo invece lo indica come già morto nel 1606: in effetti, la mancanza di opere successive al 1604 potrebbero avvalorare tale tesi. Ne raccolse l’eredità il figlio Antonino, chiamato “il Nuovo” per differenziarlo dal padre, che dapprima venne avviato agli studi di diritto, ma poi (come il padre) si dedicò alla pittura. Inizialmente frequentò la bottega dei fratelli Francesco e Giovanni Simone Comandè, pittori di orientamento venezzeggiante, poi quella di Antonio Barbalonga, allievo del Domenichino, pur guardando anche alle opere del padre. La sua produzione fu molto vasta, ma purtroppo ben poco è giunto fino a noi a causa delle catastrofi naturali e della guerra, triste sorte in comune con molte opere del padre.
Le uniche opere sicuramente a lui attribuibili sono quelle che sono state salvate dal terremoto del dicembre 1908, attualmente conservate nel Museo nazionale di Messina: l’Ambasceria dei Messinesi alla Vergine (o Madonna della sacra lettera), firmata e datata 1629, proveniente dalla chiesa delle monache di S. Paolo; un Angelo custode dalla chiesa di S. Matteo, attribuitogli dal Columba; una S. Orsola, dipinta in collaborazione con Giovanni Fulco e Agostino Scilla. Morì nel 1666 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco dei padri minori.