Rapporto annuale Inps e ipotesi di costi sul futuro previdenziale

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E’ stato presentato pochi giorni fa il consueto rapporto annuale dell’INPS che fotografa la situazione previdenziale nel corso del terribile anno 2020 colpito dalla pandemia

E’ stato presentato pochi giorni fa il consueto rapporto annuale dell’INPS che fotografa la situazione previdenziale nel corso del terribile anno 2020 colpito dalla pandemia. La cassa integrazione ha moltiplicato i pagamenti per 13 volte passando da 1,4 miliardi di € a quasi 19 miliardi di € e i beneficiari sono aumentati di ben 11 volte passando da 620 mila a 6 milioni e 700 mila.

Ci sono stati poi nell’anno 2020, il più difficile per l’Italia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, tutta una serie di costi come congedi familiari retribuiti, bonus baby sitting, reddito emergenziale in aggiunta al reddito di cittadinanza, indennità di sostegno speciali a professionisti, stagionali, agricoli e lavoratori del turismo e dello spettacolo.

Tutti questi oneri aggiuntivi hanno ovviamente appesantito di molto il bilancio dell’anno 2020 che è risultato in rosso per 7,1 miliardi di € e che ha nuovamente portato in deficit le casse dell’Istituto dopo che il bilancio 2019 era risultato attivo di ben 6,6 miliardi di €.

Tridico poi ha comunicato i dati relativi ai primi due anni di “quota 100” che ha permesso il pensionamento di circa 250.000 persone e che è stata utilizzata prevalentemente da uomini del settore pubblico con redditi medio alti. Viceversa si riscontra che ad un abbandono di professionalità non ha dato riscontro un dato occupazionale altrettanto positivo delle assunzioni smentendo pertanto la tesi della Lega secondo cui si sarebbero aperte delle autostrade sul fronte delle assunzioni in seguito al pensionamento dovuto a “quota 100”.

Il presidente dell’INS poi invece di limitarsi ad una elencazione di numeri di sua competenza è andato oltre ed ha prospettato una simulazione di futuri costi previdenziali prendendo in esame tre ipotesi sul futuro previdenziale in sostituzione della odiata legge Fornero e per evitare il famoso “scalone” che si verrebbe a creare il 1 gennaio 2022 al termine della quota 100 in scadenza al 31/12/2021.

Per prima analizza i 41 anni per tutti uomini e donne indipendentemente dall’età anagrafica. Mantenendo il sistema misto questo istituto secondo l’NPS costerebbe alla casse dello Stato già  il prossimo anno 4,3 miliardi di euro che poi progressivamente aumenterebbero fino ad arrivare alla fine del decennio ad un costo di 9,2 miliardi di € annui.

La seconda ipotesi presa in esame sarebbe quella di una quota 100 modificata con 64 anni di età sommati ad almeno 36 anni di contributi. Il tutto sarebbe calcolato col sistema contributivo. Questa ipotesi avrebbe un costo che partirebbe da 1,2 miliardi di € nell’anno 2022 e arriverebbe ad un costo di 4,7miliradi di € alla fine del decennio.

La terza ipotesi presa in esame sarebbe la proposta stessa di Tridico presentata ai media oltre due mesi fa. E sarebbe quella di permettere un’uscita a 63 anni di età calcolando l’assegno col sistema contributivo e poi all’età di 67 anni calcolare la parte restante con il retributivo.  Questa sarebbe la proposta con meno impatto per le casse dello Stato dal momento che avrebbe nell’anno 2022 un costo di nemmeno 500 milioni di € ed arriverebbe alla fine del decennio ad un costo di 2,4 miliardi di € annui.

Ovviamente la prima proposta è quella più favorevole per i lavoratori ma i conti paventati dal Presidente dell’INPS mi sembrano un tantino sovrastimati. Probabilmente l’INPS calcola questo prendendo in esame che tutti i lavoratori aderiscano a questo istituto, ma sappiamo per esperienza che non è così. Molte persone per vari motivi preferiscono restare nei loro posti di lavoro. Le altre due proposte, poi, mi sembrano assolutamente irricevibili. Perché rimettono sul piatto una situazione che ormai deve essere assolutamente eliminata, vale a dire che tutto l’assegno previdenziale sia calcolato col sistema contributivo. Ormai siamo nel 26esimo anno di questo sistema e gli effetti si stanno già pesantemente vedendo. Retribuzioni sempre più basse che faranno sì che con 40 anni di versamenti la pensione sarà meno di 800 € al mese. Quindi bisognerà prevedere nella nuova legge previdenziale che ci sia una parte (almeno un terzo) di calcolo retributivo, nonché un abbattimento del 50% delle addizionali regionali e provinciali per redditi fino a 40.000 € annui, ed anche una indicizzazione piena al 100% delle pensioni per effetto dell’inflazione reale.

 

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