Siamo usciti dalle elezioni amministrative, infarcite di programmi e di promesse, di tanti ‘bla bla bla’ soprattutto da parte di amministratori che, nella speranza di essere rieletti, hanno continuato a vociare e non hanno avuto la sensibilità, se non il pudore, di mettersi da parte.
Il ‘bla bla bla’ si può ammantare, però, di significato e di nobiltà se può valere da stimolo ad operare bene, per risolvere problemi cruciali della comunità.
Milano ha vissuto, nei giorni scorsi, con la ‘Youth 4 climate’, organizzate prima della conferenza delle Nazioni Unite, Cop26, di Glasgow del prossimo novembre, con la passione, la gioia, la determinazione, l’impazienza, l’ironia di tanti giovani, con l’aggiunta di qualche ‘incravattato’, circa, dicono, 10.000 persone, che trasudavano in cortei, per sollecitare il mondo civile, ed in particolare l’Europa, ad affrontare decisamente il problema del surriscaldamento climatico.
Oggi, per colpa del Co2 immesso nell’atmosfera, la temperatura cresce e le conseguenze si traducono in uragani, incendi, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari.
L’atteggiamento dei giovani è pienamente condivisibile e dobbiamo ringraziare una ragazzina svedese, Greta Thumberg, che ha iniziato, qualche anno fa, da sola, la battaglia per il clima, riuscendo, nel tempo, a sensibilizzare, a coinvolgere ed a spronare la coscienza del mondo.
Se, oggi, ci si può porre l’obiettivo assunto con gli accordi di Parigi, di contenere a 1,5 gradi il limite dell’aumento medio della temperatura, al 2100 (keep 1.5 alive) lo si deve a lei, alla sua giovanile determinazione e a quanti la seguono, anche, suppongo con generosità.
E qui mi fermo nell’apprezzamento. All’appuntamento di Glasgow a novembre si presenteranno sia paesi in linea con gli obiettivi fissati, come l’Italia, ed altri che sono in colpevole ritardo.
John Kerry, inviato USA per il clima, ha dichiarato: “è la più grande transizione economica che il mondo abbia visto dai tempi della rivoluzione industriale. Sono assolutamente convinto che sarà un bene per l’economia, per l’aria che respiriamo, per i nostri bambini e per la sicurezza nazionale, dal momento che il clima moltiplica i rischi”.
Dichiarazione di principio, ma questo, secondo Greta, è il ‘bla bla bla’: belle parole ma non fatti. Certo, non le si può dar torto, se queste espressioni, sanno tanto, più che di impegni, di giustificazioni per atteggiamenti non particolarmente vibranti verso il clima, da parte della massima potenza mondiale, durante e dopo l’era Trump. Da qui, però, volere tutto e subito, prescindendo dal fatto che bisogna avere il tempo di contemperare interessi ed esigenze contrastanti, distrae l’opinione pubblica da azioni che, anche se mosse dalle emozioni, devono essere incanalate, per essere realistiche, con spirito razionale e senso politico.
Va detto che l’economia e la società civile sono giunte impreparate a questo appuntamento; adesso, si stanno muovendo decisamente con la guida di alcune personalità determinate ed intellettualmente oneste, come il nostro Presidente Mario Draghi.
Bisogna fare una sintesi in un gioco delle parti; bisogna, accettando che i leader siano assolutamente convinti che occorra agire, usare l’approccio del compromesso, mentre, riconosciamo, la scienza dice che il tempo è limitato.
Realisticamente però è da pensare che le transizioni richiedono il loro tempo, che va rispettato se si vuole evitare il tracollo dell’attuale economia, con conseguenze catastrofiche, sui processi produttivi e sull’occupazione.
Valga da esempio la situazione della catena di produzione collegata al settore automobilistico, che con i suoi prodotti sicuramente inquina. In Europa la relativa industria dà lavoro a quasi 4 milioni di persone, pari circa a un decimo della manifattura.
Gli occupati, in Germania, sono oltre 800.000, in Francia 230.000, in Italia 176.000.
In caso di transizione molto accelerata solo in Germania ci sarebbe la perdita di 400.000 posti, altrettanto, ed in proporzione, avverrebbe negli altri Paesi.
Sono certo che i giovani, se opportunatamente informati, accetterebbero di spostare il tiro, dando maggiore peso alla prudenza. Per farlo, dovrebbero aver fiducia nei loro leader, soprattutto quelli più credibili. D’altra parte l’economia non consente prove di laboratorio. Per collegare risultati alle varie opzioni, ci sono solo ragionamenti, buona fede e senso di responsabilità.
Se poi si vuole proseguire in questa spinta all’accelerazione, quanto meno si centrino gli obiettivi e i destinatari del messaggio. Voglio dire – e qui c’è un po’ di simpatica ironia – che Greta promuova manifestazioni in Cina, in USA ed in India, Paesi che immettono nell’atmosfera quasi 80% di Co2.
La piccola Europa, con il suo 20%, è già fortemente sensibilizzata.
Con riguardo a questo orientamento mi fa piacere richiamare ciò che la seconda Utility al mondo, parlo dell’Enel, sta sviluppando attraverso il piano 2030.
L’Enel metterà in campo 190 miliardi di investimenti, in 10 anni, per sostenere le ambizioni del gruppo nel settore delle energie rinnovabili.
Nel programma si richiama l’impegno a divenire ‘Renewable Supermajor’ passando da circa 46 GW di capacità nel 2020 a circa 145 GW nel 2030 e divenendo energy partner dei business, supportando decarbonizzazione, circolarità ed efficienza sui clienti large e sviluppando proposte integrate per le multinazionali.
L’obiettivo, ha sostenuto in più occasioni l’AD Francesco Starace è “creare valore per il gruppo e la società, diminuendo le emissioni di Co2 contribuendo a ridurre la spesa energetica delle famiglie, facilitando la crescita del PIL con investimenti che potranno generare più di 240 miliardi di PIL addizionale, attivando un sistema che investe con l’ente, aumentando gli indici di circolarità”.
A questo mi riferisco quando parlo di concretezza, di sano pragmatismo, di metodo per affrontare un problema epocale, per il quale occorre il giusto tempo.
Forse una chiacchierata di Greta, con esponenti del mondo produttivo, sarebbe utile anche a lei per calibrare opportunamente il suo approccio e dare più concreti contributi per un mondo migliore. Altrimenti, si può facilmente passare dal ‘bla bla bla’, che tanto effetto mediatico ha avuto, al ‘dream dream dream’, che altrettanto rimbalzo avrebbe, ma nel senso contrario, e non certo positivo.
L’articolo è pubblicato come podcast su www.tfnews.it.