“U sceccu ‘nto linzolu”, il detto che affonda le sue radici nel teatro antico e che torna buono, anche al giorno d’oggi, per svelare i “finti babbi”
Esistono delle espressioni della lingua parlata che nascondono origini davvero interessanti, molto spesso sconosciute anche a chi le usa quotidianamente, padroneggiandone anche il significato. Il dialetto messinese si presta in maniera esemplare nella ricerca di tali termini, custodendo nel suo ampio e variopinto vocabolario di frasi, detti e proverbi delle vere e proprie chicche. Molto in voga nel parlato messinese, così come dall’altra sponda dello stretto a Reggio Calabria, l’espressione “U sceccu ‘nto linzolu“, spesso accompagnata dall’invito a “non fari u sceccu ‘nto linzolu“. La traduzione letterale è “non fare lo l’asino nel lenzuolo“, espressione indirizzata a chi cerca di fare il finto ingenuo in una determinata situazione provando a far credere di non sapere di cosa o di chi si stia parlando, di non essersi accorto di qualcosa che è accaduto, o di essere all’oscuro dei fatti.
Un’espressione senza dubbio utile nella vita di tutti i giorni, vista la quantità di quelli che a Messina si chiamano “finti babbi“, ma che se analizzata può risultare di non immediata comprensione. Del resto… perchè un asino dovrebbe essere coperto da un lenzuolo? La risposta è da ricercarsi nell’antico teatro. In passato, durante le rappresentazioni teatrali, quando gli attori dovevano portare in scena un animale esso veniva raffigurato attraverso una testa di carta pesta attaccata ad un “corpo” formato da due attori, coperti da un lenzuolo bianco, che ne simulavano il movimento. Ovviamente, al pubblico presente era ben chiaro che, nonostante il telo, il corpo dell’animale fosse costituito da due persone. Da qui nasce l’espressione che, è il caso di dirlo, “svela” la vera natura di certi asinelli.