Covid, Brosio: “evito i vaccinati, preferisco stare con chi è negativo al tampone”

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Il lockdown per i non vaccinati “è inutilmente discriminatorio, se è vero che nelle terapie intensive finiscono anche i vaccinati”, afferma il giornalista

“Se dovessi scegliere chi frequentare, opterei per chi mi mostra un tampone negativo piuttosto che una persona con un certificato vaccinale di sei mesi fa”. Ad affermarlo è Paolo Brosio, che parlando con l’Adnkronos spiega il suo punto di vista sull’efficacia del siero e su quella dei test molecolari nel contenimento dei contagi da Covid-19“I veri ‘problematici’ sono i vaccinati, non chi non lo è ed è negativo al tampone. I secondi sono senz’altro più attendibili dei primi – afferma il giornalista – perché danno una fotografia in tempo reale di chi ti trovi di fronte: se dovessi scegliere chi frequentare, opterei per chi mi mostrasse un tampone negativo piuttosto che un certificato vaccinale di sei mesi fa. Dunque, è un controsenso pensare a un lockdown per chi non è vaccinato oppure per chi ha già contratto il virus e non ha fatto successivamente una prima dose”.

“Il vaccino è un colabrodo – rincara Brosio – e il Super Green Pass probabilmente dovrebbe durare al massimo sei mesi. Inoltre, non mettiamo sullo stesso piano i non vaccinati e i guariti, perché i secondi, non trasmettendo il virus, sono una risorsa. E i virologi non dovrebbero dimenticare così spesso di dire che esiste una immunità mnemonica cellulare. Il lockdown per i non vaccinati è inutilmente discriminatorio, se è vero che nelle terapie intensive finiscono anche i vaccinati. La vera sicurezza, il migliore scudo contro il Covid è il tampone, non il siero, tanto è vero che adesso diverrà obbligatorio anche nei cinema e nei teatri anche per i vaccinati. E poi, come ho sempre detto, bisognerebbe tornare al medico di famiglia che va in casa dei malati e che li cura nel loro domicilio. Toglierebbe l’intasamento dagli ospedali”, conclude Paolo Brosio.

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