Bisogna solo agire con obiettivi e progetti chiari, strategie adeguate, utilizzando i fondi che sono stati messi generosamente a disposizione. Solo così si può stare a posto con la coscienza quando tutti, in coro, auspichiamo, soprattutto per il Sud, che “bisogna pensare alle future generazioni”
È di questi giorni la notizia che, per il Sud, è pronto un anticipo di 4 Mld del Fondo di Sviluppo e Coesione per le Infrastrutture, ammontante complessivamente a 73,5 Mld, di cui l’80% va al Mezzogiorno.
Concretamente, ciò dovrebbe avvenire all’inizio del prossimo anno. L’ orientamento prioritario è verso le opere stradali, le ferrovie ed il settore idrico.
Le amministrazioni locali saranno sottoposte ad uno sforzo enorme, tenendo anche presente che questo ammontare si somma ai 222 Mld, riferiti al Paese, comprensivi del Fondo complementare nazionale e agli 81 Mld dei Fondi strutturali, di cui 54 destinati al Mezzogiorno.
Si arriva, complessivamente, intorno ai 380 Mld, in generale; per il Sud, guardando il Next Generation EU ed altri fondi, si parla di 96 Mld da spendere nei prossimi anni.
C’è da rallegrarsi ed esaltarsi di fronte a tanto ben di Dio! Si ritorna, però, con i piedi per terra se si pensa che, nel periodo 2014-2020, gli utilizzi delle disponibilità, rispetto al programmato dal Fondo di Sviluppo e Coesione, è fermo a poco meno dell’8%. Ciò significa che dobbiamo realisticamente porci la domanda: “Il Paese, e specificatamente il Sud, è in grado ad utilizzare i Fondi, quantomeno dentro una percentuale soddisfacente, tenendo presente la incapacità richiamata dalla storia pregressa?”
L’appello, che sale dal mondo politico e produttivo, è che bisogna accelerare l’attuazione dei progetti, con i relativi investimenti. L’appello è lodevole ma, come abbiamo visto, la realtà suggerisce prudenza, se non scetticismo.
In ogni caso, per non intristirci costantemente quando si parla del Sud, cerchiamo di avere fiducia.
D’altra parte, questi appelli cascano in un momento che sembra favorevole per il Mezzogiorno, dato che è prevista una crescita del PIL, nel 2021, per il Sud, del 5% rispetto al 6,8% del Centro-Nord, dati, questi, confermati per il 2022 (4% rispetto al 4,2% delle aree Centro-Settentrionali).
Tale situazione confortante, nel medio periodo comincia a rabbuiarsi. Infatti, se si proiettano i dati al 2024 si registra un margine di differenziazione più ampio (12,4% al Sud e 15,6% al centro-nord). E qui ricominciano le preoccupazioni tenendo presente che si parte da un PIL pro-capite al Sud, oggi, di 19.000 euro, quando le Regioni più ricche arrivano a 35.000.
La situazione, che appare in miglioramento, dovuto ai sostegni delle Stato nell’era Covid, tende, pertanto, a peggiorare quando si impongono le leggi del mercato.
Per non disperderci in dotte elucubrazioni, sarebbe sufficiente auspicare che le amministrazioni locali potessero disporre, oltre che, di mezzi, di risorse umane in grado di porre a terra almeno una parte di ciò che già è stato loro destinato. Non c’è, però, da farci illusioni dal momento che è tutto da ricostruire. Basta pensare che negli ultimi 20 anni si sono svuotati, anche in termini di professionalità, gli uffici pubblici e sono migrati 1 Mln di meridionali, di cui il 30% laureati.
Per avere stimoli, e non veleggiare attraverso vuoti messaggi, bisogna andare indietro e trovare conforto nel passato. Nel dopo guerra ed oltre, il Sud poteva contare su una classe politica responsabile ed all’altezza del compito, e trovava nella Cassa per il Mezzogiorno un efficace braccio operativo. In quel periodo storico, la distanza dal Nord andava progressivamente riducendosi. Nel tempo questo processo si è interrotto, devastato da orientamenti politici, guidati dal conformismo e dal pensiero dominante di allora, più che da analisi e oneste riflessioni.
Draghi ha recentemente sostenuto che la ripresa dell’Italia passa dal Meridione, anche se si parte da una situazione storicamente pesante. Negli anni ’70, il Pil per persona nel Sud era il 65% di quello delle Regioni del Centro-Nord mentre ora è sceso al 55%; tra il 2008 e il 2018 la spesa pubblica per investimenti nel Mezzogiorno si è più che dimezzata ed è passata da 21 miliardi a poco più di 10. E ci sono altri dati che fanno riflettere: la perdita di 5 milioni di residenti, tra il crollo della natalità e la ripresa dei flussi migratori con medie superiori ai 160 mila individui l’anno, che condurrà le regioni meridionali a costituire nel 2035 l’area del Paese con più concentrazione di anziani. Inoltre, c’è il costante assottigliamento del tasso di occupazione, in particolare per giovani e donne impegnati in lavori precari e di bassa qualità.
Auguriamoci che il messaggio del Presidente attivi impegno, determinazione e responsabilità, per uscire fuori da questo pantano, ricordandoci il monito di Giustino Fortunato: “Il Mezzogiorno, sappiatelo pure, sarà la fortuna o la sciagura d’Italia”.
Non ne è stata la sciagura, ma, almeno per ora, nemmeno la fortuna. Forse, si è arrivati a metà del guado.
Ormai non c’è più tempo per blaterare ed auspicare. Bisogna solo agire con obiettivi e progetti chiari, strategie adeguate, utilizzando i fondi che sono stati messi generosamente a disposizione. Solo così si può stare a posto con la coscienza quando tutti, in coro, auspichiamo, soprattutto per il Sud, che “bisogna pensare alle future generazioni”, mentre, nella sostanza, tra egoismi politici, classe dirigente inadeguata, e ambiente sociale, in una certa parte inquinato, si opera in senso riduttivo, se non distruttivo.
L’occasione degli investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, se colta, può assicurare, finalmente, una storica, positiva svolta.