Così Mattarella è diventato Re. Il pagellone della pazza settimana per il Quirinale: decisivi i peones

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Il pagellone di una settimana di conclave in parlamento per l’elezione del Presidente della Repubblica: il Mattarella bis e quell’accenno di monarchia…

Che sarebbe finita così l’avremmo dovuto capire dalle indiscrezioni che Luigi Bisignani aveva pubblicato in tempi non sospetti, quando già nello scorso autunno svelava i retroscena del “Romanzo Quirinale” con tutti i dettagli per cui si stava preparando il Mattarella bis. E il Presidente proprio in quel periodo andava in visita di Stato in Spagna, accolto con tutti gli onori dal Re Filippo VI e dalla Regina Letizia, dove ammirava come funziona una Monarchia moderna al punto da farsi immortalare vestito con i simboli ornamenti onorifici forniti agli ospiti dei sovrani iberici mentre brindava con quelli che evidentemente sarebbero diventati i suoi futuri “colleghi“. Non è un caso se, in base alle ultime indiscrezioni, i primi a congratularsi con la rielezione di Mattarella nella serata di ieri siano stati Papa Francesco, la Regina Elisabetta, Re Filippo del Belgio e Alberto II di Monaco. E così nell’Italia che nel lontano 1946 in un discusso e controverso referendum sceglieva di abbandonare la Monarchia preferendo la Repubblica, per la seconda volta consecutiva il Capo dello Stato viene ri-eletto per un secondo mandato oltre i 7 anni previsti dalla Costituzione. Un’opzione estrema che fino al Napolitano-bis del 2013 non si era mai verificata nella storia Repubblicana, e che invece adesso è diventata la nuova normalità.

Mattarella 7,5 – Se adesso non andasse incontro a rischi enormi, sarebbe un Capolavoro. Resta il punto interrogativo su quello che verrà. Intanto quel Capolavoro l’ha magistralmente realizzato, compiendolo definitivamente con quella risposta fornita ai capogruppo saliti al Colle per supplicarlo di restare: “avevo altri piani, ma se serve ci sono“. Che avesse altri piani, l’aveva detto da tempo. Ma senza chiudere definitivamente la porta, come invece aveva fatto Ciampi nel 2006 quando si ipotizzava un Ciampi-bis. L’allora Capo di Stato lo aveva messo per iscritto: “Nessuno dei precedenti nove presidenti della Repubblica è stato rieletto. Ritengo che questa sia divenuta una consuetudine significativa. E’ bene non infrangerla. A mio avviso, il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato“. Insomma, una ri-elezione per lo stesso Ciampi significava allinearsi più con le Monarchie che con le Repubbliche. E quindi la rispedì al mittente, non con motivazioni personali, scatoloni e materassi del trasloco, ma con una nota ufficiale firmata dal Presidente della Repubblica su carta intestata del Quirinale, richiamando la Costituzione. Mattarella aveva sì lasciato intendere che avrebbe preferito non essere riconfermato, ma in realtà era proprio quello che voleva altrimenti avrebbe potuto evitarlo. E non appena i partiti si sono messi d’accordo, non si è neanche fatto pregare più di tanto. “Se serve, ci sono“. Con la lucidità e la brillantezza di un ragazzino, Mattarella ad 80 anni dimostra un acume politico e una tattica degni della scuola democristiana in cui s’è formato e da cui arriva. Continuerà a presiedere il Consiglio Superiore della Magistratura dov’è stato molto morbido, se non indifferente, mentre lo scandalo Palamara provocava un vero e proprio terremoto nel mondo togato. E adesso? L’auspicata riforma del Csm ci sarà? E soprattutto, Mattarella ha ottenuto ciò che voleva ma riuscirà a mantenere anche nei prossimi sette anni quella popolarità, quella fiducia, quell’apprezzamento bipartisan che ha conquistato negli italiani? A Napolitano non andò bene. Sarà questa, adesso, la sua sfida più difficile.

Draghi 6 – Che il Presidente del Consiglio volesse salire al Colle non è un mistero. L’ha confidato, l’ha fatto intendere anche pubblicamente, e forse proprio lì si è incrinata una strada che sembrava scontata. Troppo difficile farsi eleggere alla Presidenza della Repubblica e fare contemporaneamente da regista di un nuovo governo, troppo difficile raccogliere i consensi dei partiti a cui sta facendo ombra. Soprattutto quasi impossibile rischiare di mandare per aria il parlamento e farsi votare da chi vedeva infrangersi il sogno della pensione. Ma almeno Draghi è riuscito a salvare la compattezza della sua maggioranza, seppur dopo una settimana furiosa di scontri e malumori. Il disastro sarebbe stato vedere i partiti che lo sostengono divisi sull’elezione del Capo dello Stato. Dopo una settimana di liti, alla fine hanno votato tutti insieme Mattarella. Draghi ingoia il rospo, ma va avanti perchè ha comunque salvato il Governo. Che adesso sarà sempre più legato alla sua figura, mentre i partiti dovranno incassare risultati importanti per la campagna elettorale. Riuscirà il premier a tenere dritto il timone? E quali saranno le sue prospettive future? Draghi scenderà in politica per tentare una riconferma da premier alle prossime elezioni (l’area centrista non aspetta altro che avere un leader forte e autorevole), oppure saluterà tutti con l’ambizione di nuovi importanti incarichi istituzionali non solo in Italia, ma soprattutto in Europa, su cui ha pure l’imbarazzo della scelta?

Salvini 6,5 – Stavolta è difficile rimproverare al leader della Lega un comportamento sbagliato: non c’è ombra di dubbio che è uscito sconfitto dalla partita, ma non c’è neanche alcun dubbio sul fatto che l’abbia giocata nel modo migliore possibile dando tutto e concludendola a testa alta, tra gli applausi del proprio pubblico più maturo che ha apprezzato più la prestazione che il risultato finale. Salvini aveva il compito più arduo di questa grande sfida: tenere in piedi la propria coalizione e non spaccare la maggioranza di Governo. Ma nella sua coalizione c’è anche l’unica opposizione del Governo, quindi riuscirci era praticamente impossibile, soprattutto se consideriamo che da leader del centrodestra aveva la maggioranza relativa del parlamento e che quindi era nei fatti che dovesse intestarsi la partita alla ricerca di una soluzione. Le ha provate tutte, è andato incontro alle opposte sensibilità cercando la sintesi dapprima all’interno del centrodestra con l’operazione Casellati, poi anche con la sinistra con l’operazione Belloni e il tentativo Cartabia. In ogni caso sono sempre stati gli altri a far saltare gli accordi: i franchi tiratori di Forza Italia e dei partituncoli della galassia centrista hanno impallinato la Casellati, mentre la Belloni proposta venerdì sera da Letta e Conte non è neanche arrivata in aula sabato mattina per il fuoco amico interno alla sinistra scatenato dai gendarmi del Pd nella notte, dopo che Salvini era riuscito a convincere persino Giorgia Meloni. E quando sabato mattina la stessa sinistra ha detto no anche a Cartabia, che la sera prima era nella rosa di nomi proposta a Salvini e su cui il leader della Lega aveva raccolto il consenso di Forza Italia, a quel punto è stato chiaro che non c’era più nulla da fare. Ripiegare su Mattarella, quello che 7 anni fa lo stesso Salvini aveva fortemente contestato, era a quel punto l’unica cosa possibile se non voleva far cadere il governo. Ma ci è arrivato dopo una settimana in cui ha sudato sette camice per trovare una soluzione che gli altri non hanno voluto. Inoltre è riuscito a tenere sempre unito in modo granitico un partito enormemente variegato, con ben 212 Grandi Elettori (quasi il doppio sia di Forza Italia che del Pd), stoppando definitivamente le chiacchiere sulle divisioni interne alla Lega. Insomma, alla fine se l’è persino cavata.

Meloni 8 – Esce meglio di tutti da questa partita e ne raccoglierà un importante consenso elettorale: è stata sempre coerente, ha tentato di tenere unito il centrodestra e nel voto ha dimostrato non solo la compattezza di Fratelli d’Italia, ma anche le capacità di inclusione all’interno del parlamento. Non è un caso che sia con Crosetto che con Nordio i candidati di Fratelli d’Italia hanno sempre raccolto molti più voti degli stessi esponenti di Fratelli d’Italia in parlamento. Anche sulla Casellati è stata impeccabile, sostenendo il candidato di coalizione nel tentativo di dare una “spallata” alla sinistra, auspicato proprio da lei che si trova all’opposizione del governo Draghi. Non ci è riuscita, ma ha smascherato i franchi tiratori dei partiti centristi che hanno tradito la coalizione e gli elettori. E’ stata l’assoluta protagonista di questa settimana ad alta tensione rilanciandosi ulteriormente come futuro leader del centrodestra con cui ambisce a diventare premier. Guai a sottovalutarla.

Forza Italia – Udc 4 – Il tradimento a Casellati è la macchia finale di una storia di declino ormai inarrestabile. La motivazione è ancor più clamorosa: “o Berlusconi o niente“, avrebbero confidato i deputati azzurri responsabili del tradimento al Presidente del Senato. Insomma, dopo il dietrofront del Cavaliere, il centrodestra non avrebbe potuto individuare un altro Capo dello Stato secondo i mediocri reggenti del partito azzurro che si sono comportati come il bambino viziato che non riesce a fare gol e allora si prende il pallone e se lo porta a casa affinché gli altri non possano più neanche giocare. Dopo l’allineamento con la sinistra su molti dossier in cui Forza Italia aveva già smentito la propria storia liberale (Green Pass e Reddito di Cittadinanza su tutti), la settimana di votazioni per il Colle ha sancito definitivamente l’uscita del partito dal Centrodestra: la coalizione c’è ancora e con Salvini e Meloni rischia di essere persino più forte di prima, ma sono i centristi ad esserne usciti andando ufficialmente a fare da stampella alla sinistra seguendo esattamente le orme dei vari Fini, Alfano, Verdini e tutti i transfughi che negli anni avevano tradito Berlusconi per andare nell’orbita del Pd alla ricerca degli ultimi scampoli di potere prima del definitivo oblio.

Renzi 7 – Con un piccolo manipolo di Grandi Elettori e tagliato fuori dai vertici dei big delle due coalizioni, è riuscito in ogni caso ad essere protagonista. Con una veemenza mai vista, e con motivazioni più che discutibili, ha distrutto l’ipotesi di Elisabetta Belloni al Colle con l’unico obiettivo di evitare che Salvini e Conte potessero uscire vincitori dalla partita del Quirinale. Lavorava per Casini, avrebbe voluto portare lui al Colle e non c’è dubbio che sarebbe stata la figura migliore per garantire stabilità senza scossoni, evitando l’anomalia della rielezione di Mattarella. Riuscire a vincere la sfida da solo in una posizione molto minoritaria sarebbe stata un’impresa storica, ma in ogni caso è stato al centro della scena e ha confermato doti di leadership politica sempre più rare nell’attuale panorama dei partiti dell’area di centrosinistra. Con l’operazione Italia Viva non può andare lontano, ma chi ne risente di più tra Renzi e il Pd? E quanto sarebbe importante oggi per il Pd un leader come Renzi?

Letta 6 – Senza lode e senza infamia. Ha lavorato solo ed esclusivamente con l’obiettivo di portare Draghi al Colle, non ci è riuscito e su BelloniCartabia ha collezionato la resa peggiore. E’ rimasto fermo, immobile, ha saputo solo imporre veti a qualsiasi figura anche autorevolissima e palesemente “super partes” il centrodestra gli abbia proposto. Ha detto “no” ad almeno dieci nomi. Ha chiesto per una settimana l’incontro con Salvini, quando è arrivato hanno trovato l’accordo che poi lui stesso ha fatto saltare per i malumori interni al partito che evidentemente non controlla. Lacerato da correnti e divisioni, non è riuscito ad imporre al Pd una leadership rendendolo marginale e ininfluente nelle scelte, preoccupandosi più di quello che succedeva in casa del Movimento 5 Stelle per tenere unita la coalizione. Ne esce senza traumi soltanto grazie alle origini di Mattarella, e quindi per il riflesso di una scelta fatta da Renzi sette anni fa. Ma Letta si è comunque rivelato debole e fumoso. Non proprio il massimo per un partito che vuole essere il primo in vista della campagna elettorale.

Conte 5 – Ha dimostrato di non tenere in mano il Movimento, costringendo i parlamentari all’astensione affinché non votassero Casellati e controllandoli dall’alto calcolando il tempo trascorso in cabina quando l’ordine era quello di votare scheda bianca. Di Maio (lui sì, astuto e furbo) ne ha approfittato e, con raffinato tempismo, ha subito chiesto una “riflessione politica” all’interno del Movimento che adesso vuole prendersi in mano in vista delle elezioni del 2023. Il rischio di spaccatura è sempre più forte.

I peones 9 – Sono loro i veri vincitori della partita. I parlamentari “liberi“, i franchi tiratori, i grillini ed ex grillini, il gruppo misto, i centristi. L’unico obiettivo: salvare la poltrona. Con il suo carico di stipendi, privilegi, indennità. Che i padri fondatori abbiano costruito i regolamenti parlamentari con l’intenzione di non andare alle elezioni prima della fine della legislatura è chiarito proprio dal dettaglio che determinati benefit scattano alla fine del mandato. Ma probabilmente gli stessi padri costituenti non potevano pensare che dopo 70 anni in tale scenario si arrivasse in concomitanza con l’elezione del Presidente della Repubblica. Pochi hanno il coraggio di dirlo, ma se si è arrivati al Mattarella-bis è solo per l’enorme pletora di deputati e senatori che hanno votato terrorizzati dal fatto che cambiare le cose poteva significare andare ad elezioni anticipate. E quindi perdere stipendio e pensione. Votando in libertà, con l’onda “Mattarella” che cresceva nel segreto dell’urna di giorno in giorno contro ogni indicazione di partito, i peones hanno sancito il fallimento della politica. Per l’ennesima volta.

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