Il fastidio di pensare – Il nuovo che non cambia

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Et alors, da due giorni questa repubblica ha terminato d’eleggere il nuovo, si fa per dire, presidente, ed è stato alfine posto termine a una settimana di sbraitamenti e di farse. Sotto un certo aspetto, se guardiamo quello che ci siamo evitati, ci è andata anche bene. Abbiamo rischiato d’avere al potere qualche oscuro mascalzone (ma a questo siamo abituati da tempo) o per un attimo, non sia mai, addirittura una donna: accontentiamoci quindi di questo che c’è che si limita a firmare tutto quello che gli passa davanti senza neanche darci un’occhiata e andiamo infine avanti, i tempi non consentono di meglio. Tancredi, il cinico principe de “Il Gattopardo” affermava che tutto doveva cambiare affinché tutto restasse come era sempre stato. E loro, i vecchi aristocratici, per evitare i cambiamenti, avevano dovuto accettare nientemeno che un’invasione affinché i contadini, che si credevano fosse alfine giunto il tempo per la rivolta sociale, fossero presi a schioppettate dal nuovo (si fa per dire) padrone. Noi, per non veder cambiare niente, siamo stati più veloci: abbiamo dovuto subirci appena un mese di squallide litanie e una settimana di piagnistei. In fondo c’è andata anche bene. Nell’Ottocento erano, certamente, un po’ più accorti: era una staticità un po’ più cinica ma più seria, frutto di precisi calcoli, tristi e ingiusti certamente, ma molto intelligenti. Qui non riusciamo a vederci che l’inettitudine di una classe politica che è incapace di andare oltre sé stessa, e quel sé stesso è davvero molto misero. È andata a piatire da Mattarella, che questa classe politica la rappresenta comunque, per sentirsi rassicurata. Condividiamo la tristezza di Cacciari che era stato un po’ quello che aveva compreso la situazione con anticipo (ma la cosa non consola): “l’ipotesi migliore è che vadano in processione da Mattarella e che gli dicano ‘non siamo in grado di combinare un cazzo, perdonaci’ ”.

Orbene, noi non abbiamo mai creduto che questo governo raccogliticcio e sotto molti aspetti criminale possa implodere a breve. I motivi, beninteso, ci sarebbero tutti da un punto di vista ideologico e politico, e non sarebbero nemmeno difficili da trovare, come di chi volesse domandarsi cosa tiene unita l’estrema sinistra e l’estrema destra da un anno. Ma noi che, modestamente, abbiamo una cultura filosofica e abbiamo letto con attenzione le pagine di Guicciardini questo motivo crediamo di averlo trovato e questo motivo è un motivo potentissimo che, se pure con la politica e con l’ideologia ha poco a che fare, è comunque un mastice potentissimo in un paese di scarsi ideali e di misera tradizione governativa come il nostro. E lo identifichiamo nella cultura del “particulare”, quella che, in termine popolaresco, aveva dato vita al motto, moralmente miserevole ma molto efficace, “o Francia o Spagna purché se magna”. E così a tenere in vita questo governo raffazzonato sarà un braccio alla poltrona e l’altro ai soldi che devono giungere da cui nessun partito considera furbo tirarsi dietro. Dalla destra, alla sinistra, a quello che di ideologia non ne ha ma che ha fatto presto ad adeguarsi all’italico costume, si sono trovati ottimi motivi per stare assieme, meglio del compromesso storico. E con queste motivazioni, potentissime, siamo sicuri si possa arrivare comodamente fino alla fine della legislatura. Noi, che siamo realisti, non contestiamo la cultura del “particulare”: fa parte dell’umana natura, e crediamo che morirà solo con essa. Ne contestiamo gli attori, con profonda tristezza. Una cosa è quando la praticava Guicciardini, una cosa è vederla praticare a Speranza o a Sileri, o ai vari ministri esaltati come salvatori della patria e chiamati a salvare questo disgraziato paese che finora però non hanno dato grandi prove di intelligenza politica e continuano a far danni e li difendono orgogliosamente. Nella favola esopica l’asino travestito da leone viene dapprima guardato con rispettosa ammirazione ma poi al primo raglio viene deriso e allontanato da tutti alla scoperta della sua vera natura, ma qui è un susseguirsi di ragli, eppure ognuno resta al suo posto.

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