Monica Vitti, vera icona del cinema: un particolare pregio la renderà viva per sempre

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La dedica a Monica Vitti: perché è stata la rappresentazione degli anni d’oro del cinema, una vera diva, ma senza lo sfarzo hollywoodiano

“Ma io non rappresento niente, io sono la rappresentazione. Ma si, è tutto mescolato: la vita, i personaggi… Allora vuol dire: “si, ma allora è tutto falso”. No! É tutto vero! Specialmente i personaggi. Ma certo, perché, per me, rappresentare è vivere di più, è aggiungere, idealizzare, trasfigurare, aggiungere emozione alle emozioni, passione alle passioni. Insomma, per me dove finisce la rappresentazione, finisce la realtà”. Parole autentiche e profonde che rivelano la vera anima di Monica Vitti, icona del cinema, venuta a mancare il 2 febbraio del 2022. Lei rappresenta tutte le donne che ha portato sulla scena ed è riuscita a rappresentare sé stessa tramite diverse vite. Il suo vero nome è Maria Luisa Ceciarelli e nasce il 3 novembre del 1931. Attrice straordinaria, ritratto sia della bellezza che dell’autoironia, che comunica anche senza dire una sola parola. Rappresenta la femminilità, discostandosi da qualsiasi modello dell’epoca.

Quando era piccola, è vissuta a Roma e poi a Messina, per via del lavoro del padre. In Sicilia le fu affibbiato il soprannome di “setti vistitinì”, perché era molto freddolosa e indossava più vestiti, uno sull’altro. Infatti, il titolo del suo primo libro autobiografico, che uscì nel 1993, è “Sette Sottane”, e richiama il nomignolo di quando era una bambina. L’amore per il teatro nacque in un periodo storico molto drammatico, la Seconda Guerra Mondiale, quando cercava di far estraniare i suoi fratelli dagli orrori di quei tempi giocando assieme a loro ai burattini, interpretando diversi personaggi e appassionandosi sempre di più alla recitazione. Si diplomò nel 1953 all’Accademia d’Arte Drammatica, all’epoca diretta da Silvio D’Amico. Monica Vitti iniziò così a calcare i palcoscenici in diversi ruoli e testi, quali Euripide, Shakespeare e Molière. Agli esordi, Monica Vitti era ancora Maria Luisa Ceciarelli, ma grazie ai consigli di Sergio Tofano, suo insegnante in Accademia e poi amico, cambiò il suo nome. Vitti fu preso da Vittiglia, cognome della madre che venne a mancare quando lei era giovane e alla quale era molto legata. A questo cognome venne poi associato il nome Monica, letto da lei in un libro.

Le muse vengono scoperte casualmente, mentre si danno da fare, mentre si confondono o si affliggono, sarcasticamente tragiche, sensuali e angeliche, terrene e ultraterrene. Quando Michelangelo Antonioni vide Monica Vitti nel doppiaggio de “Il Grido” nacque un’unione che scriverà una parte importante della storia del cinema. È proprio grazie alla “tetralogia dell’incomunicabilità” (“L’avventura” – 1960, “La notte” – 1961, “L’eclisse” – 1962, “Deserto Rosso” – 1964) che Monica Vitti espone nella sua totalità la capacità di educazione interiore, sociale ed emotiva alla cultura e al costume. La sua inconfondibile voce, il suo sguardo multiforme rappresentano gli occhi e la voce di Roma. La sua incomunicabilità è una delle forme di comunicazione più prestigiose e straordinarie del Cinema, sia italiano che internazionale. Antonioni fece di Vitti la sua musa e nacque tra loro una meravigliosa relazione, sia artistica che sentimentale.

Ma Monica Vitti non è solo una rappresentazione dell’incomunicabilità, ma anche un’attrice comica ricca di una comunicatività vera e intensa. Una grande svolta per Monica Vitti fu interpretare il ruolo di Assunta Patenè, nel 1968, nella commedia “La ragazza con la pistola” di Mario Monicelli, grazie al quale arrivò al grande pubblico con la sua incredibile abilità da attrice comica e fu consacrata come “la Vitti”. Lei “sa far ridere”, ma nel senso più spontaneo, senza indossare nessuna finta maschera e utilizzando una comicità che è vicinissima alla sua persona.  A confermare ancora di più il suo talento furono anche altri film iconici, quali il “Dramma della gelosia” di Ettore Scola, “Gli ordini sono ordini” di Franco Giraldi e “La Tosca” di Luigi Magni. Successivamente ci furono le commedie all’italiana, in cui recitò diverse volte accanto ad Alberto Sordi, in cui fu consacrata ancora di più dal grande pubblico. La sua bravura fece il giro del mondo, infatti diversi prestigiosi registi la vollero sul loro set. Prese parte a “La donna scarlatta” di Jean Valère, “Il fantasma della libertà” di Luis Buñuel e “Ragione di stato” di André Cayatte.

Perché si batte per il femminismo?

“Perché forse è ora…. Sono femminista e cerco, anche nelle storie che faccio, di raccontare delle storie delle donne che hanno fatto dei passi… Perché bisogna, appunto a 15 anni, quando io ho deciso di fare l’attrice, mettere una donna all’alternativa di dire “tu la cosa più importante che devi fare è trovarti un marito, e difenderlo, e forse anche mentirgli, ma l’importante è che tu abbia qualcuno, per costruire questo focolare, questa famiglia.. e anche che ti mantiene”? Perché invece a 15 anni non dire a una figlia… “tu, bisogna che ti trovi un bel lavoro, un lavoro preciso, che ti porta avanti, anzi anche un lavoro duraturo possibilmente, che ti fa lavorare fino alla maggiore età e che ti dà prima di tutto una indipendenza finanziaria… poi puoi trovare anche un uomo, sposarti, avere dei figli, ma poi la mattina sapere che, oltre a badare a tuo figlio, non è che lo devi abbandonare, devi andare a lavorare. Hai un’occupazione, degli interessi!”. Questa grande dichiarazione, fatta all’interno del programma “III B – Facciamo l’appello” (1971), in cui viene intervistata da Enzo Biagi, mostra la vera essenza di Monica Vitti, visionaria, contro corrente e più acuta di qualsiasi sua contemporanea.

I riconoscimenti artistici non possono di certo mancare, vince tre Nastri d’argento e cinque David di Donatello e, essendo nata nel teatro, non lo abbandona. Nel 1978 vi è l’edizione televisiva per la Rai de “Il cilindro” di Eduardo De Filippo, scritto nel 1965 e in cui, tra i registri linguistici, troviamo il napoletano e il romanesco. Un vero e proprio ritorno al teatro avviene nella stagione 1986-1987, quando Monica Vitti va in scena con Rossella Falk, diretta da Franca Valeri, in una versione de “La strana coppia”, adattata al femminile da Neil Simon. Nel 1990 arriva il debutto alla regia con il film “Scandalo Segreto”, con cui vince il Globo d’oro come regista e interprete. Il 1995 è un altro grande e importante momento della sua carriera: le viene assegnato il Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia.

La fine coincide con l’inizio e Monica Vitti è stata la rappresentazione degli anni d’oro del cinema, una vera diva, ma senza lo sfarzo hollywoodiano. Un’attrice anticonformista che ha raccontato e rappresentato la società italiana. La sua inconfondibile voce graffiata, quel naso all’ingiù che i produttori volevano cambiare a tutti i costi (“Il mio naso non piaceva ai produttori. Ma non ho mai avuto la tentazione di cambiarlo. E alla fine abbiamo vinto noi, io e il mio naso.”), quei bellissimi capelli biondi, quei due profondi occhi verdi. Monica Vitti, con la sua unica ironia, dichiarerà di aver aperto le porte del cinema a tutte le attrici “bruttine”. La sua “imperfezione” ha oltrepassato qualsiasi modello estetico, facendo di lei una bellezza anticonvenzionale.

Monica vive e vivrà. Per sempre.

Chiara Cutrupi

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