La preoccupazione di possibili carenze di organizzazione e di strutture tecniche al Sud è lecita, considerando l’attuale situazione. Essa, però, deve essere vista in maniera costruttiva, come esortazione verso un processo politico ed imprenditoriale che consenta al Sud di non essere una palla al piede del Paese
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza contiene una serie di investimenti e riforme che rappresentano i parametri da rispettare per avere accesso ai fondi che l’Europa ha messo a disposizione, nell’ambito del Recovery Plan. Parliamo di 206 Mld di euro, di cui il 40% è destinato al Sud, pari a circa 82 Mld. Siamo nella fase iniziale di attuazione del piano nazionale. Per esso, nell’anno 2021, si stanno rispettando gli impegni assunti in termine di progetti, ricevendo 25 Mld. Ad essi, se ci sapremo muovere in maniera seria, coerente e rispettosa degli impegni assunti, si aggiungeranno, nel 2022, altri 50 Mld, somma, il cui 40%, ripeto, è destinato al Mezzogiorno. Si è agli albori, ma già cominciano a montare le polemiche. Il Sindaco di Milano, Giuseppe Sala, si duole che al Meridione finiranno più risorse di quelle previste. Gli fa eco il Governatore della Lombardia, Attilio Fontana, con un pensiero più circostanziato: “sono preoccupato perché il Pnrr è stato previsto sulle spalle dei Comuni e non tutti i comuni hanno l’organizzazione e le strutture tecniche per svolgere un compito simile. I soldi non vanno sprecati e restituiti all’Europa, come per tanti anni è successo con i fondi europei”.
È lecito pensare che la denuncia di carenze di organizzazione e di strutture tecniche si riferisca soprattutto al Sud, la cui debolezza rischia di penalizzare l’intero Paese. La preoccupazione è lecita, considerando l’attuale situazione. Essa, però, deve essere vista in maniera costruttiva, come esortazione verso un processo politico ed imprenditoriale che consenta al Sud di non essere una palla al piede del Paese. In tal modo, la dignità, parola tanto cara al Presidente Sergio Mattarella, viene rispettata e non mortificata. La posizione dei due esponenti del Nord si contrappone quella della Ministra per il Sud e la coesione territoriale, Mara Carfagna, che sostiene: “con il Pnrr, il Sud non è più visto come zavorra della “Locomotiva Nord”, ma come il secondo motore da accendere per far volare la crescita italiana. Immaginate cosa sarebbe il nostro Paese se la Calabria e la Sicilia producessero lo stesso PIL del Veneto e della Lombardia, con gli stessi tassi di occupazione femminile e giovanile. L’Italia non sarebbe solo una Nazione più coesa, ma anche un attore economico imbattibile sulla scena europea e internazionale, con vantaggio di tutti, anche del Nord”.
Sacrosanta affermazione, da sottoscrivere appieno. Ad essa, però, deve seguire una ferma azione politica per rendere possibile l’alleggerimento, se non la soluzione, dei problemi atavici che attanagliano il Sud. Questi problemi vanno dalla scarsa produttività degli investimenti, ad un contenuto orientamento verso i mercati esteri, ad una forte disoccupazione congiunturale, con una contemporanea presenza di significativa disoccupazione a carattere strutturale, allo scarso sviluppo dei mercati interni a causa di carenze infrastrutturali, ad una polverizzazione delle attività produttive in una miriade di mini-imprese. Questo quadro è aggravato con ulteriori complicazioni sul piano civile e sociale. È il momento di agire. Per il Sud, come sostenuto in uno studio di Eurapromez, occorre un nuovo modello di sviluppo, incentrato su modalità di sostegno e promozione dei fattori strategici di carattere endogeno, nonché di strutture finanziarie in grado di seguire le piccole e medie imprese, ed infrastrutture che vanno da strade ai porti, alle rotaie e agli aeroporti, costruite su inter modalità e connessioni atte a creare una rete efficiente. A tutto questo va sommato un capitale umano più preparato e più sensibile verso la necessità di attrarre fiducia.
In un quadro di insieme, la sostenibilità, la digitalizzazione, le infrastrutturazioni materiali e immateriali, la mobilità via mare e terra, unite alla spinta all’istruzione, alla formazione ed alla ricerca, rappresentano le leve dell’indispensabile sviluppo del Sud. Se questi driver fondamentali saranno accompagnati da una vera riforma amministrativa si potrà, con le disponibilità di capitali assegnati, dare vero tono alla politica di crescita. Queste sono le istanze che, allo stato attuale, lasciano, però, dubbi in termini di concretezza e capacità realizzatrice. Mi spiego meglio. La vera sfida sta nella pesante arretratezza e carenza di professionalità delle Pubbliche Amministrazioni del Sud, non del tutto per colpa loro. Riandiamo indietro, ad esempio, allo scempio che è stato fatto per le Province, che dovevano sparire, per cui intere classi dirigenti sono state spostate da posizioni ad altre, creando vuoti nelle stazioni di partenza e tensioni nelle stazioni riceventi. I risultati, sotto l’aspetto di confusione e di carenza di servizi, sono sotto gli occhi di tutti.
È adesso che bisogna trovare nel Paese uno spirito e una consapevolezza univoca, atta a sostenere le riforme e le iniziative per aiutare il Sud a voltare pagina. Se superiamo la retorica del sentimento, che può far sorridere in tempi così cinici, si deve affermare che la crescita del Sud potrà fare da volano ad un maggiore sviluppo del Nord. Sulla rivista Civiltà del Lavoro, della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro, nel numero 2-maggio 2016, concludevo un mio articolo, dal titolo “Rompere l’immobilismo del Sud”, con queste parole: “dopo tanti anni di blocco e immobilismo del Sud, le cose da fare sono tante. Debbono essere, però, eseguite con chiarezza di intenti e determinazione, scegliendo le opportune priorità ed inserendole, in piena e responsabile dignità, in un progetto strategico nazionale. D’altra parte ci si deve rendere conto che non c’è possibilità di sviluppo del nostro Paese se una parte importante del territorio continua a subire i morsi di una crisi costante, dalla quale non possono che scaturire freni al processo generale e tensioni sociali, dalle imprevedibili conseguenze. Ricordiamoci del monito di Giustino Fortunato: il Mezzogiorno, sappiatelo pure, sarà la fortuna o la sciagura d’Italia”. Confermo questi concetti, con l’amarezza che, in sei anni, poco è cambiato, se non in maniera negativa. Oggi, non abbiamo più attenuanti dal momento che esistono i capitali e debbono essere attuati i progetti già delineati nel Pnrr. Le idee sono chiare e forte sembra essere la determinazione del Governo. Dobbiamo essere fiduciosi!
L’articolo è apparso come podcast su www.tfnews.it.