Putin fuori dai giochi, dal golpe all’impeachment: i 4 scenari per mettere fine alla guerra in Ucraina

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Putin fuori dai giochi, la soluzione più veloce alla fine della guerra in Ucraina: i 4 scenari plausibili e le possibilità che si possano verificare

Nei giorni scorsi, durante il suo viaggio a Varsavia (Polonia), il presidente Joe Biden ha dichiarato, in maniera alquanto netta, che Putin non può continuare a restare alla guida della Russia. Parole che, seppur mitigate dalle precisazioni di Blinken, hanno aperto alla possibilità di un cambio al vertice nel governo russo. Passare dalle parole ai fatti però non è così semplice. Vladimir Putin è alla guida della Russia da oltre 20 anni: nominato presidente dopo le dimissioni di Boris Eltsin nel 2000, ha governato fino al 2008. Non potendo ricoprire un terzo mandato consecutivo, come dichiarato nella Costituzione della Russia, ha posto al comando il suo delfino Medvedev che lo ha subito nominato Primo Ministro. Dal 2012 è stato rieletto presidente, fino ai giorni nostri.

Putin gode di un ampio consenso fra i cittadini, rinforzato da una propaganda unidirezionale che gli hanno permesso di mantenere intatta la propria popolarità. Gli insuccessi della guerra in Ucraina, che nei piani originali si sarebbe dovuta concludere in pochi giorni, potrebbero aver aperto una piccola crepa. Quel che è certo, è che un’eventuale destituzione di Putin, come ipotizzato da Biden, possa essere la via più semplice per porre fine alle ostilità. Secondo “Il Corriere della Sera”, sarebbero 4 gli eventuali scenari che possano mettere Putin fuori dai giochi: la possibilità che venga messo in stato d’accusa; la messa in atto di un golpe; la sua rimozione forzata spinta dalle proteste di piazza; le dimissioni.

Foto di Thibault Camus / Ansa

Per quanto riguarda il primo scenario, la costituzione russa parla chiaro: secondo gli articoli 92 e 93, il presidente può essere messo in stato d’accusa per “alto tradimento o crimine grave“. La procedura di impeachment dovrebbe però passare dalla Duma, la Camera Bassa del parlamento russo, confermata dalla Corte Suprema e approvata definitivamente dal Consiglio della Federazione entro 3 mesi. Un processo non solo lungo dal punto di vista burocratico, ma anche di difficile attuazione a causa della forte influenza che Putin ha sulla Duma. Il presidente dovrebbe essere ‘tradito’ da una parte dei gruppi parlamentari, con l’appoggio dello stesso Cremlino.

Improbabile anche l’ipotesi di un colpo di Stato. Secondo l’esperto Brian Taylor: “con la guerra e soprattutto con il suo andamento catastrofico, le possibilità di un golpe contro Putin sono aumentate“, ma tale prospettiva sarebbe percorribile solo al verificarsi di determinate condizioni specifiche. Secondo quanto dichiarato da Mark Galeotti su “La Repubblica”, occorrerebbe “il coordinamento dell’élite politica, dell’esercito e del Fsb, i servizi segreti, che al momento non vedo“. Anche in questo caso, si parlerebbe di una sorta di tradimento attuabile solo se il leader russo si mostrasse indebolito e, soprattutto, il golpe sarebbe una soluzione senza alternative alla completa riuscita: in caso di fallimento, infatti, i rischi sarebbero enormi per chiunque dovesse orchestrarlo.

Le proteste di piazza sono, senza dubbio, più una causa scatenante che un vero e proprio scenario. Infatti, la perdita del consenso popolare, porterebbe a una delle restanti 3 opzioni. In Russia però le manifestazioni di protesta contro la guerra in Ucraina sono state represse con violenza e prontezza, incarcerando i manifestanti che si erano presentati in strada in maniera del tutto pacifica. Difficile dunque un modello stile “Ucraina 2014“, seppur un peggioramento del tenore di vita in Russia, dovuto alle difficoltà economiche causate dalle sanzioni e dal progressivo dilatarsi delle tempistiche della guerra, potrebbe fare da catalizzatore.

Foto di Anatoly Maltsev / Ansa

Appare impossibile la quarta e ultima opzione, quella delle dimissioni volontarie. Putin non intende retrocedere dalle sue posizioni militari, ben rimarcate a più riprese, sembra quindi altamente improbabile che faccia addirittura un passo indietro dal punto di vista politico. Farsi da parte vorrebbe dire accettare di aver perso la guerra, mostrarsi debole davanti ai russi e al resto d’Europa, precludersi ogni possibilità di continuare la propria carriera politica. Circolano comunque alcuni nomi fra i quali pescare il suo possibile successore: dal premier Michail Mishustin, al sindaco di Mosca Sergeij Sobjanin, passando per Alexeij Djumin, attuale governatore di Tula ed ex capo della sicurezza di Putin.

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