Reggio Calabria: “Guerre batteriologiche e virus tra realtà e finzione”, l’analisi di Gianni Aiello | VIDEO

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Reggio Calabria: Gianni Aiello, ricercatore e presidente del Circolo Culturale “L’Agorà”, nel corso del suo intervento ha analizzato il tema “Guerre batteriologiche e virus tra realtà e finzione”

Il relatore, Gianni Aiello, ricercatore e Presidente del Circolo Culturale “L’Agorà”, nel corso del suo intervento ha affrontato in linea generale alcuni degli aspetti relativi al tema “Guerre batteriologiche e virus tra realtà e finzione”. Intorno all’autunno del 2019, le autorità sanitarie della città di Wuhan in Cina ebbero a riscontrare i primi casi di pazienti che mostravano i sintomi di una “polmonite di causa sconosciuta”. La diffusione della malattia venne comunicata per la prima volta dalle autorità cinesi all’organizzazione mondiale della sanità il 31 dicembre dello stesso anno. Tante le ipotesi a riguardo l’origine. Nella serata del 30 gennaio del 2020, l’Oms dichiarava lo status di “emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale”. Quello che è accaduto e che sta accadendo sembra il materializzarsi di narrazioni fuoriuscite da set cinematografici, storie surreali, ma che, purtroppo, rappresentano la nuova dimensione in cui ci troviamo. Epidemie e pandemie hanno sempre interessato la storia dell’umanità, e la risposta delle comunità colpite, in ogni occasione, è stata declinata secondo la terna quarantena, distanziamento sociale, chiusure forzate, così come assistiamo in questo particolare e tragico momento. L’utilizzo di armamenti “non convenzionali” si perde nella notte dei tempi, quando l’uomo si accorse per la prima volta degli effetti di alcuni veleni già fruibili in natura. Durante il combattimento molti popoli dell’antichità usavano frecce e lance le cui punte erano state precedentemente immerse nelle feci, oppure in cadaveri in decomposizione o, ancora, nel veleno di serpenti. Le tracce più antiche le troviamo nel Deuteronomio, libro della Bibbia all’incirca del 1200 a.C. dove si raccomanda di non avvelenare i pozzi o le sorgenti durante le guerre. La malattia o la sete per uccidere il nemico.  Cinesi ed Assiri nel primo millennio a.C. erano soliti utilizzare zolfo e petrolio durante le campagne di guerra. Qualificate fonti storiche dell’antichità, quali Tucidide e Plutarco, attestano l’utilizzo di fumi di zolfo nella guerra del Peloponneso e di una sospetta epidemia di peste scoppiata nelle pianure della Tessaglia che decimò lo sterminato esercito di Serse; Tito Livio dà notizia dell’impiego, ancora da parte dei greci, di sostanze tossiche durante l’assedio di Ambracia. Siro Trevisanato, noto microbiologo italiano a seguito di approfondite ricerche su antichi documenti mediorientali, attestano l’utilizzo di sostanze batteriche, da parte degli Ittiti, oltre 3300 anni addietro.  Essi usavano inviare al nemico i capi di bestiame affetti da tularemia, oppure cibo contaminato con un fungo tossico chiamato Claviceps Purpurea. Greci ed Assiri erano soliti avvelenare i pozzi con sostanze tossiche come il parassita delle graminacee o la cicuta, oppure sceglievano di gettarne i cadaveri tre le linee nemiche. Lo storico greco Erodoto ci ha tramandato l’utilizzo da parte degli arcieri Sciti, i quali avvelenavano le frecce intingendole in sostanze tossiche. Il cartaginese Annibale nel 184 a.C. vinse una battaglia contro il re di Pergamo, nell’Asia Minore, facendo lanciare sulle navi avversarie vasi di terracotta colmi di serpenti. I Romani, invece, spedivano contro le linee nemiche alveari di vespe e calabroni ma utilizzavano anche carcasse di animali per inquinare le condotte idriche degli avversari. Nel 198 d.C. i Parti, respinsero l’assedio delle legioni romane nella città di Hatra, scagliando sugli avversari dei recipienti di terra, al cui interno vi erano scorpioni del deserto dal morso letale. Durante il periodo medievale Bizantini e Veneziani durante le loro operazioni belliche utilizzavano sostanze tossiche quali il “Fuoco Greco” ed i “Fumi Avvelenati”. Nello stesso contesto storico, durante gli assedi, era pratica comune scagliare dentro le mura degli assediati carcasse in decomposizione di uomini e animali con l’obiettivo di diffondere malattie. Nella primavera del 1347, durante l’assedio del presidio genovese di Caffa sul Mar Nero, il Khan Jani Beg, per costringere alla resa la città impartì l’ordine all’esercito tartaro di catapultare all’interno della fortezza cadaveri di soldati mongoli appestati, così come tramandatoci dal cronista Gabriele de’ Mussis. Trasportata dalle navi dei genovesi in fuga, la Morte Nera sbarcò in Europa dove sterminò in appena tre anni 20 milioni di persone. Durante la Peste Nera del 1348 le città europee sporche e sovrappopolate pagarono il prezzo più alto con la morte di un terzo della popolazione. A tal riguardo il notaio italiano Gabriele de Mussi nella sua “Historia de morbo sive mortalitate quae fuit anno domini 1348” attribuisce la peste alla tattica mongola di catapultare cadaveri sulle città attaccate e alle navi genovesi che trasportavano soldati, e con loro anche ratti e pulci nei porti del Mediterraneo. Nel periodo rinascimentale il noto Leonardo da Vinci, propose a Ludovico Maria Sforza detto il Moro, reggente del Ducato di Milano, l’utilizzo di una particolare mistura da scagliare contro le linee nemiche. Tale miscela era composta da gesso, solfuro d’arsenico triturato e verderame in polvere, che al momento che veniva sparso nell’aria portava all’asfissia. Nel corso della guerra di Candia (conosciuta anche come quinta guerra turco-veneziana) che si svolse dal 1645 al 1669, i veneziani avevano pensato di inserire l’utilizzo di armi biologiche, così come tramandatoci dalla corrispondenza epistolare tra il medico croato Michiel Angelo Salamon e gli alti vertici governativi della Repubblica lagunare. Tale sistema consisteva nell’utilizzo di un prodotto per infettare gli eserciti avversari. Dal contenuto di quelle lettere si evince che il medico croato consigliava la diffusione della peste bubbonica. Infatti lo stesso affermava che era riuscito a distillare l’essenza della malattia direttamente dalle lacerazioni e dai liquidi corporei degli ammalati e suggeriva di utilizzare questo composto per contaminare il vestiario ed i tessuti presenti sui mercati turchi. Tale progetto venne ripreso nel corso della guerra della Conquista (secondo la storiografia francese) o guerra franco-indiana (secondo la storiografia britannica), che si svolse nel Nord America tra il 1754 ed il 1763. Verso la fase finale del conflitto anglo-francese, Sir Jeffrey Amherst, governatore della “Nova Scotia” (provincia atlantica sull’attuale territorio canadese) e generale dell’esercito britannico in Nord America, autorizzò la “donazione” di coperte e capi d’abbigliamento utilizzati da malati di vaiolo, provenienti dal Forte Pitt (area sita nell’attuale Pittsburgh, in Pennsylvania). Quel metodo fu letale per i nativi americani Delaware, alleati della Francia. La stessa malattia venne in seguito inoculata, sempre dai britannici, in un gruppo di prostitute canadesi inviate poi “in omaggio” ai soldati americani che occupavano la cittadina di Quebec. Anche il territorio di Reggio Calabria non è esente dalle epidemie di peste, colera e vaiolo che hanno flagellato la Penisola, fino all’influenza “Spagnola” del XX secolo. Documenti archivistici attestano la diffusioni di diverse tipologie epidemiche in vari contesti storici, come ad esempio la diffusione della peste a seguito della battaglia di Lepanto del 1571, ed il divieto di attraccaggio ad imbarcazioni sospette, come tra l’altro evidenziato in altri carteggi di periodi successivi. Nel corso della prima guerra mondiale (1914-1918) venne sperimentata la prima arma di distruzione di massa. Il 22 aprile 1915 nella città di Ypres, in Belgio, i tedeschi utilizzarono tonnellate di gas che provocò la morte di uccise 1.200 francesi oltre a causare gravi infezioni ai polmoni ed agli occhi di migliaia di sopravvissuti. Nel 1918 il Giappone fonda l’unità 731, adibita alla guerra biologica. L’Unione Sovietica iniziò invece il suo programma di sviluppo delle armi biologiche nel 1928, quando, a seguito di un’epidemia di tifo avvenuta tra il 1918 e il 1921, il Consiglio Militare Rivoluzionario decretò lo sviluppo di un’arma che sfruttasse questa patologia come arma non convenzionale. Anche nelle guerre coloniali vi è la presenza e l’utilizzo delle armi chimiche come in Iraq nel 1920,e sempre nello stesso anno la Spagna ne fece uso in Marocco, l’Italia in Libia (1930) ed in Etiopia nel 1936. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale anche gli Stati Uniti avviarono programmi di ricerca sulle armi biologiche all’interno della struttura di Fort Detrick (1943-1973), Maryland, dove decine di volontari furono sottoposti a numerosi microrganismi infettivi. Anche durante la guerra di Corea (1950-1953) si registra l’uso di armi batteriologiche da parte degli Stati Uniti contro le unità militari nordcoreane e cinesi e popolazione civile. Dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale fino all’inizio degli anni ’70 l’attività di ricerca sullo sviluppo delle armi biologiche non è mai stata abbandonata anche se molte operazioni furono coperte dal segreto di Stato. Dal 1949 al 1969 furono effettuati, nei soli Stati Uniti, più di 240 esperimenti militari di armi biologiche che spesso hanno coinvolto civili completamente ignari di ciò che stava loro per accadere.

Uno degli episodi più famosi è stato quello del 6 giugno 1966, quando l’esercito americano contaminò deliberatamente la rete metropolitana di New York con il bacillus globigii, un batterio non infettivo usato per simulare il rilascio di antrace (Frischknecht 2010). Si calcola che dal 6 al 10 giugno 1966 circa un milione di persone furono esposte al virus. All’epoca tale batterio era considerato innocuo, ma in tempi più recenti uno studio effettuato dalla National Academies of Sciences ha dimostrato l’esatto contrario. Gli episodi storicamente più gravi sono quelli accaduti durante la guerra del Vietnam (1960 – 30 aprile 1975), quando l’esercito americano scaricò tonnellate di agenti chimici e biologici sulla popolazione vietnamita. Un altro episodio altrettanto significativo, anch’esso passato all’epoca sotto silenzio, è quello accaduto nel 1979 a Sverdlovsk, città russa situata ai piedi dei Monti Urali, dove si diffuse un’epidemia nella quale morirono sessantasei persone dopo aver contratto il carbonchio, in seguito alla dispersione nell’ambiente di un solo grammo di antrace (l’equivalente di mille miliardi di spore), fuoriuscito da uno dei laboratori di ricerca militari che erano situati nelle vicinanze. Entrambi gli avvenimenti vennero alla luce solo nel febbraio del 1992 durante la presidenza di Boris Eltsin.Da non dimenticare il conflitto tra Iran-Iraq (22 settembre 1980–20 agosto 1988) e l’uso da parte dell’Iraq di gas letale, così come il massacro chimico di Halabaja, quando il regime iracheno usa napalm e armi batteriologiche durante la guerra contro la rivoluzione kurda, causò la morte di circa 12mila civili, durante i bombardamenti (16-17 marzo 1988) di quella città.L’uso di armi chimiche da parte del regime iracheno nei confronti della regione kurda risale al 1961.Questo l‘excursus storico – prosegue il relatore Gianni Aiello – a riguardo la creazione e l’utilizzo dellearmi biologiche attraverso i millenni, in diversi casi realizzati appositamente in altri invece sviluppatosi accidentalmente. Dalla realtà delle vicende storiche Gianni Aiello va ad analizzare nell’ultima parte del suo intervento inerente alla filmografia su virus e guerre batteriologiche, essa ha una lettura alquanto eterogenea e ricca. Uno tra i primi esempi è “The Last Man on Earth” (film muto del 1924) diretto da J.G. Blystone, poi “Il settimo sigillo” (1957) diretto da Ingmar Bergman. Nel 1964 è la volta de “La maschera della morte rossa” diretto da Roger Corman. “Cassandra Crossing” (1976), diretto da George Pan Cosmatos, “Allarme rosso” (Warning Sign) è un film del (1985) diretto da Hal Barwood. “Resident Evil 4D: Executer (Biohazard 4D-Executer)” cortometraggio giapponese del 2000 diretto da Koichi Ohata, “Infection”,  (2004) diretto da Masayuki Ochiai, “Contagion”, (2011), diretto da Steven Soderbergh, per passare ad “Army of the Dead”,  (2021) diretto da Zack Snyder, sono alcuni dei titoli cinematografici che fanno parte del filone della guerra batteriologica. Qual è la fiction e la realtà sul set della vita del terzo millennio? – conclude l’intervenuto. Tenuto conto dei protocolli di sicurezza anti-contagio e dei risultati altalenanti della pandemia di COVID 19 e nel rispetto delle norme del DPCM del 24 ottobre 2020 la conversazione sarà disponibile, sulle varie piattaforme dei Social Network presenti nella rete, a far data dal 25 marzo.

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