Il fastidio di pensare – La pace a prescindere

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Raccontano che Daladier, di ritorno in patria da Monaco deluso e umiliato per quella che considerava una grandissima sconfitta politica in cui aveva ceduto su tutto senza essere affatto convinto che sarebbe servito a nulla, rimuginava sconfortato su come sarebbe stato accolto dai propri connazionali, e rimase invece esterrefatto nel vedere che a Parigi ad attenderlo c’era una folla che lo acclamava osannante (come anche Chamberlain a Londra) e dovette a fatica farsi strada fino al parlamento che accolse in maniera plebiscitaria i suoi risultati, e mentre si muoveva tra ali di folla esultante abbozzando sorrisi e salutando tra gente che gridava “Vive la paix! Vive la paix!” bisbigliasse sottovoce a chi gli stava accanto: “Questi pazzi … Questi idioti …”. Chi avesse ragione poi la storia lo mostrò facilmente, quando oltre alla Boemia finì di esistere pochi mesi dopo anche la Polonia ed infine la stessa Francia e le bombe arrivarono a radere al suolo anche Londra.

Noi, come Guicciardini, non crediamo che attraverso un evento del passato si possa leggere un evento del presente e che i fatti si possano mettere semplicemente a confronto: troppo diversi sono i nuovi fattori da riconsiderare per inquadrare due cose che possono sembrare simili. Però dall’analisi di alcuni episodi delle indicazioni si possono trarre. Orbene, noi pensiamo che la pace sia una gran bella cosa, una delle più importanti dell’umano vivere. Ma crediamo che, come tutte le cose, vada ottenuta non a prescindere da ogni altra, ma che sia un valore solo quando sia accompagnata da giustizia, altrimenti serve a poco o a nulla, e non diventi una forma di viltà e di resa.

Ma c’è tutta una corrente di pensiero intellettualistico nostrano che afferma che, poiché l’ultima guerra in Ucraina è chiaramente fortemente sproporzionata dal punto di vista militare, poiché Zelenski non ne vuole prendere coscienza e non si è voluto arrendere da subito, ed anzi incita ad una resistenza che non avrebbe possibilità di successo ma finirà solo per allungare il conflitto, il suo non sarebbe orgoglio ma incoscienza e tutti i morti ucraini, compresi i bambini e le donne uccisi dai missili russi durante gli sfollamenti sono tutti sulla sua coscienza. Diversi giornalisti anche di spessore sostengono questa teoria in Italia: insomma, dicono, dagli subito quello che si prenderebbero comunque e fai terminare questo massacro del tuo popolo. Che è un po’ come dire: se c’è un bullo che a scuola continua a rubarti i soldi del pranzo tu sii furbo, daglieli subito e così ti risparmi qualche calcio e qualche sberla; se qualcuno ti vuole stuprare, abbassati i pantaloni, così almeno eviti che te li strappi …

La saggezza recondita di questa teoria è: davanti alla violenza del più forte che non puoi contrastare, cerca almeno di limitare i danni. Indubbiamente anche questa è una tattica e, non lo neghiamo, ha i suoi vantaggi. Specialmente in Italia dove per antica tradizione si è sempre stati pronti a barattare la dignità che non ha mai riempito la pancia con un più redditizio senso pratico: nella vita, in fondo, è tutta una questione di scelte. Orbene, noi non crediamo che Zelenski abbia lo spessore dei vecchi statisti europei, e preferiamo non indagare a fondo su come sia arrivato ad occupare quel posto, ma crediamo che, una volta trovatosi in quella situazione scomoda abbia fatto l’unica cosa che un capo di Stato serio avrebbe dovuto fare: invocare la resistenza e aiuti da chi era disposto a dargliene, facendo capire che se lo Stato alla fine avrebbe ceduto lo avrebbe fatto dopo la lotta, e non dopo la fuga. Parole che si possono interpretare come si vuole da parte dei reconditi analisti della politica, come un regalo agli interessi di questo o di quello, ma a cui credo sia difficile negare un alto senso di responsabilità e di dignità.

Solo in Italia si riesce a dire che se uno fa una strage la colpa è di quello che la subisce perché non si è arreso: ma l’Italia, si sa, è un paese tortuoso, di sottigliezze, di acutissimi legulei dove c’è un presidente della corte costituzionale che ha affermato che certe sfumature di termine gli fanno venire orgasmi giuridici. Noi nella nostra ingenuità continuiamo a credere che la storia, a volte, è molto più semplice da leggere di quanto si creda. La guerra, naturalmente, non piace a nessuno, e la pace è l’ambizione di ognuno. Ma, diceva Bobbio, bisogna capire bene cosa si intende con questo termine: c’è quella negativa, intesa come semplice assenza di guerra, quella che in una famosa e inquietante espressione Sébastiani sintetizzò come “l’ordine regna a Varsavia”, di cui i russi sono stati maestri nella storia e ancora nel Novecento. Questa pace è una di quelle più semplici da ottenere: basta alzare le mani e te la concedono subito. Oppure, al di là della pace imposta da chi ha imposto la violenza, c’è una pace, come dicono altri pacifisti più dignitosi, che ha come fondamento la giustizia: e quella bisogna conquistarsela, e non è detto che, dopo avere lottato, riesci ad ottenerla nemmeno.

Ma è l’unica che valga la pena di ottenere.

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