Una ricostruzione storica che aiuta, in un certo senso, a capire la forza e la volontà degli Ucraini a contrastare l’invasione russa
A Mosca qualcuno avrebbe dovuto conoscere l’epopea dei Vichinghi prima di avventurarsi in una guerra, che doveva essere lampo, contro l’Ucraina. Questo popolo, originario della Scandinavia, dello Yutland e della Germania settentrionale, esplorò e conquistò vasti territori dal 796 al 1066, spingendosi fino in Sicilia, in Africa, in Grecia (qualcuno sostiene che siano giunti in Canada) razziando e viaggiando, con enorme coraggio, su imbarcazioni a remi ed a vela, dette drakkar. L’epoca dei Vichinghi si concluse nel 1066 con la battaglia di Stamford Bridge, nella quale furono sconfitti dai cristiani.
Vichingo, che faceva parte della popolazione nonrena, era sinonimo di uomo libero e fortemente legato alla propria terra, che difendeva allo spasimo, attivando, quando era necessario, intrepide forze di resistenza popolare. Era spietato contro i nemici, attaccato alla famiglia e sostenuto da compagne altrettanto combattive. Non aveva paura della morte, credendo nel dio Odino e nel Valhalla, il luogo dell’aldilà che li avrebbe accolti, in trionfo, accompagnati dalle Valchirie, al banchetto in loro onore. La Rus di Kiev è il primo stato russo fondato dai Vichinghi intorno al nono secolo e si estendeva su parte dell’attuale territorio ucraino, bielorusso e russo, ed aveva come capitale Kiev. Dalla frantumazione di questo stato emergerà quello di Mosca. Quindi, la Rus di Kiev sarebbe l’origine della moderna Russia.
Questa breve ricostruzione ci aiuta, in un certo senso, a capire la forza e la volontà degli Ucraini a contrastare l’invasione russa. Oggi, parliamo di un popolo che conserva, evidentemente, nel proprio Dna la nobiltà dei valori (casa, territorio, religione) e le stimmate di intrepidi guerrieri votati al sacrificio estremo pur di difendere la propria libertà. Gli ucraini godono, oggi, della ammirazione del mondo. Il nostro Paese è vicino a questa gente anche se – ed è questo il punto – la politica, o meglio una certa parte di essa, inciampa in posizioni ondivaghe, che, visti i tempi sofferenti che stiamo vivendo, lasciano la percezione di una amara e deprecabile miseria.
Il Governo Draghi, nei giorni scorsi, ha vacillato sotto i colpi inferti dal già presidente Giuseppe Conte. Egli, da forza di governo, malgrado che la Camera dei Deputati, con il contributo attivo dei membri del suo partito, si fosse espressa a favore, si è spinto a minacciare un voto contrario in Senato, con riferimento alla decisione di portare la spese militari, nell’ambito del Decreto Ucraino, al 2% del PIL. A poco sono serviti gli appelli del Presidente del Consiglio alla ragionevolezza, anche attraverso informazioni precise e documentate che mettevano, tra l’altro, in evidenza come già i due governi Conte (2018 e 2021) avessero portato le spese militari da 21 a 24 miliardi di euro.
Inoltre, viene ricordato che, nel 2019, fu Conte che, guidando l’alleanza giallorossa, mise, al summit Nato di Londra, la firma in calce alla dichiarazione finale che impegnava l’Italia ad aumentare le spese militari al 2% del PIL. La situazione si è risolta attraverso un voto di fiducia, che ha decretato anche il perseguimento del 2% del PIL entro il 2018 (e non 2020 come chiedeva Conte). La ferita, però, rimane aperta e può dare ispirazione, nel futuro, ad altre forze per agitare le acque in vista delle prossime elezioni amministrative. Si è fiduciosi, però, che la parte politica più responsabile comprenda come il Paese, mai come oggi, abbia bisogno di certezze e di un governo forte e stabile che ci guidi, con fermezza ed equilibrio, in questa difficile e pericolosa fase della vita nazionale.
Nervi saldi: stabilità, dando la giusta importanza al caso citato, solo per esorcizzare altri deprecabili esempi. Comunque, non credo che nel caso di Conte si possa parlare di espressione della miseria (politica) umana. Invece, probabilmente la storia ci dirà che ci troviamo di fronte ad un intellettuale, nettamente il più colto nel caravan serraglio della sua appartenenza politica (uno non vale uno!), che è costretto ad oscillare, attraverso posizioni perennemente forsiste (forse si e forse no), per assicurare al Paese e all’umanità intera il bene catartico della sua presenza. In tal modo, e lo dico, con rispetto, raggiungerebbe il walhalla della gloria, accompagnato dalle quattro valchirie della commissione Dupre (Dubbio e Precauzioni): Carlo Freccero, Massimo Cacciari, Ugo Mattei, Giuseppe Mastruzzo. E qui la nobiltà (espressa dalla valchirie, che richiamano l’ esistenza dei Vichinghi) e la miseria della fantasia politica nostrana si fondono in un crogiolo che raccoglie furbizia, velleità, attese, fedeltà ai valori, umane speranze. Scekeriamo e, forse, troveremo gli elementi che guideranno il Paese verso la fine della presente legislatura, almeno lo si spera.