Scandalo diga di Genova: costi doppi rispetto al previsto, tempi tripli

StrettoWeb

La notizia è passata sotto il silenzio, ma si preannuncia uno scandalo senza precedenti: 2 miliardi per pochi metri di banchine, in 15 anni

Qualche settimana fa Piero Silva, ingegnere idraulico di lungo corso, forte di un’esperienza di ben 41 anni nel campo delle opere marittime, si dimetteva “per evidenti ragioni etico-deontologiche” dall’incarico di direttore tecnico di Rina Consulting, aggiudicataria dell’appalto da 19 milioni di euro per il Pmc (Project Management Consulting) dei lavori per la nuova diga foranea del porto di Genova. In pratica, un supervisore del procedimento di progettazione e realizzazione dell’opera , architrave del PNRR riguardo le opere marittime, quotata circa un miliardo di euro.

Cose che capitano, si dirà… Ma il bello è che lo stesso Silva, pochi giorni fa, rende pubblica una relazione di ben 32 pagine, ripresa dal sito “shippingitaly.it” in un breve ma significativo articolo, nella quale spiega le ragioni della sua scelta. Esse, come scrive Silva, si basano sulla “impossibilità di modificare significativamente il progetto del Pfte, in cui non credo”. PFTE sta per progetto di fattibilità tecnico economica. Sostanzialmente, il mega-esperto non crede nella fattibilità del progetto, se non a costi ancor più esorbitanti di quelli sopra citati e tempi biblici.

Tra le “criticità” individuate da Silva vi sono la lunghezza della diga largamente sovradimensionata”, e diversi “problemi di fattibilità tecnica” a causa delle dimensioni fuori da ogni standard. Non solo: Silva sottolinea “l’importanza dei volumi di rocce da cava necessari per creare l’imbasamento, nonché la logistica per il loro trasporto e versamento in sito”. Per maggiore chiarezza, il tecnico produce anche dei grafici che spiegano molto chiaramente i suoi dubbi.

Le modalità costruttive, infatti, andrebbero radicalmente riviste, ma “il concetto costruttivo di cassone cellulare su imbasamento roccioso è imposto dal Capitolato e non soggetto a variante”. Tecnica mai usata prima, secondo quanto riferisce Silva, che prevede “colonne ballastate (cioè zavorrate) conficcate sul fondale” per tutta la lunghezza della diga – circa 5 km – ed a profondità dei fondali che arrivano anche a 50 metri.

Accenniamo soltanto alle difficoltà geotecniche di un fondale con “strato superficiale di limo argilloso, avente consistenza in pratica nulla e spessori variabili dai 5 ai 25 metri”

Difficoltà che portano alla previsione di dover impiegare “ottimisticamente 1.700 milioni di euro (e non i 950 previsti) e 132 mesi (e non 60)”, anche se “più realisticamente, tenendo conto che è in pratica impossibile che tutto fili liscio per la totalità del cantiere in un progetto di tali dimensioni, ritengo che – posto e non concesso che il consolidamento geotecnico si riveli fattibile – ci vorranno almeno 2 miliardi di euro e 15 anni di lavori”.

Ricapitolando: la nuova diga verrebbe a costare più del doppio e durerebbe tre volte più del previsto. Aspetto, quest’ultimo, che ha delle conseguenze enormi: l’opera uscirebbe, di gran lunga, dall’orizzonte temporale del 2026, quello fissato nel PNRR come termine ultimo della messa in esercizio delle opere in esso previste. E che, tanto per dirne una, ha comportato la discutibile esclusione del Ponte sullo stretto di Messina, a causa della scelta, scellerata, di dilungarsi in inutili ricerche per realizzarlo a tre campate. E che, tanto per dirne un’altra, nel 2026 non permetteranno di avere pronto nessun tratto funzionale attivo sull’asse ferroviario Salerno-Reggio Calabria.

Opera che citiamo non a caso: oltre a portare l’Alta Velocità nell’estremo lembo meridionale della penisola ed in Sicilia, rimanendo in campo portuale, essa sarebbe fondamentale per i porto meridionali: basti pensare a Gioia Tauro o Augusta, a Ponte completato. Porti che potrebbero mettere a disposizione della portualità nazionale (non soltanto meridionale) oltre 15 km di banchine adatte all’attracco delle megaportacontainers. Praticamente 10 volte la lunghezza di banchinamenti che si otterrebbe a Genova dopo aver speso (secondo le stime di Silva) due miliardi di Euro. Ma soltanto nel 2037. Mentre gli oltre 5 km di banchinamenti di Gioia Tauro sono disponibili già oggi.

Assurdità di una serie di scelte, soprattutto per quanto riguarda i porti “gateway” (ovvero in grado di mettere a terra le merci provenienti via mare dall’Estremo Oriente e dirette al centro dell’Europa) improntate a spinte lobbystiche piuttosto che all’interesse del Paese ed alla logica trasportistica, e che cominciano, già in fase progettuale, a mostrare la corda. Le quali, una volta attuate, non consentiranno neanche lontanamente all’Italia di competere con Rotterdam (100 km di banchinamenti) o con i porti nordeuropei. Alla faccia della ripresa, della Resilienza e della coesione territoriale: gli obiettivi impossibili del PNRR.

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