Il fastidio di pensare – La storia ad uso e consumo

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E così infine, dopo l’ultima bizzarria, la Luiss ha deciso di chiudere il dipartimento dove Orsini aveva i suoi incarichi dirigenziali. L’illustre docente non sembra averla presa con aristocratico distacco. Ha accusato la società italiana di avere una cultura rudimentale, di essere stanco d’esser costretto a spiegare le cose in un linguaggio da quinta elementare, di provare compassione per questo mondo ostile dove lui è un povero incompreso e via dicendo. Insomma, per farla breve, lui rappresenta una genialità troppo al di sopra dell’italico sentire che si sforza di venire incontro alla massa ma il distacco intellettivo e culturale permane troppo grande e purtroppo queste differenze si pagano. Storia già sentita.

Quando Galileo fu condannato creò un pericoloso precedente: creò nei secoli a venire un comodo alibi a generazioni di sedicenti geni per nascondersi dietro la comoda etichetta del genio incompreso maltrattato dal mondo, un po’ come quegli artisti falliti che gridano “anche Verdi è stato fischiato” dimenticando che poi però morì milionario e conteso. Noi crediamo invece che il problema di Orsini sia stata proprio l’improvvisa popolarità, ad onta di quanti, all’inizio, lamentavano il suo ostracismo. Certa gente può godere del suo titolo fino a che resta nell’anonimato. Sciascia diceva che in Italia c’è un sacco di gente nei posti sbagliati e che, quando poi diventano loro malgrado famosi, ci si chiede come abbiano fatto ad arrivarci.

Orsini, per carità, grossi danni non ne avrebbe potuto fare nel posto che occupa; al massimo causare un po’ di confusione negli alunni più fragili e qualche sorriso in quelli più marpioni, come qualche altro centinaio di professori che si trovano chissà come dietro le cattedre delle università italiane; il problema diventa serio quando i posti sbagliati li occupano medici nelle sale operatorie, ingegneri intenti a progettare ponti ed edifici, o gli Schettini vari che fino a che le navi camminano da sole sono impegnati a divertirsi e poi, quando accade qualche disastro bisogna vedere dove sono andati a finire, mentre i laureati seri fanno domanda per fare i bidelli, pregando di essere accettati. Orbene, noi abbiamo sempre visto Orsini come un intellettuale che andava sciorinando teorie un po’ bislacche nei programmi televisivi. Non che tutto ciò che è anomalo o “scomodo” sia bislacco: magari nella sua mente egli pretende di essere il nuovo Carl Schmitt, ma quando leggemmo per la prima volta l’autore tedesco con un passato da nazista, razzista e ultrareazionario, sentimmo trapelare da quelle righe l’odore intrigante del genio, qui sentiamo solo l’odore di stravaganze che si susseguono. E lo diciamo, sia chiaro, mettendoci fuori dal coro che subito in questo benedetto paese divide in maniera imbecille e manichea atlantisti e putiniani: abbiamo ascoltato opinioni contro la guerra e contro l’America di varia natura: da quella di Santoro del dategli quello che vuole e smetterà di bombardare, a Travaglio, che afferma che è triste ma dobbiamo guardare quello che ci conviene, e quindi bisogna barattare il destino dell’Ucraina con il gas, a tutta una serie di intellettuali che va dicendo che bisogna decidere da che parte stare al di là della guerra e tutto è solo un gioco di strategia politica e via dicendo: tutto ciò è cinico, opportunistico, ma ha una sua comprensibile logica, e va rispettato nell’ambito del giuoco delle opinioni. Ma Orsini si libra al di sopra di tutto questo, egli spiega le cause recondite dei conflitti e delle strategie militari e politiche con percorsi di pensiero che aprono strade misteriose a noi plebei che credevamo tutto avesse una logica lineare.

La sua ultima argomentazione, per esempio, è stata che la seconda guerra mondiale sorprese persino Hitler, affermazione degna di riscrivere intere biblioteche storiche. Non che il capo nazista, ha poi precisato, non ne abbia responsabilità, intendiamoci. È solo che a un certo punto ci si trovò in mezzo senza volerlo, vittima di situazioni più grandi di lui, che anzi era piuttosto cauto. Rimase esterrefatto quando, invadi qua e invadi là, a un certo punto si vide recapitare una dichiarazione di guerra da Francia e Inghilterra. “Ohibò, e voi che c’entrate? Queste sono faccende personali tra me e la Polonia”. Insomma, guardiamo bene a chi dare le colpe di certe tragedie storiche. Questo è il modo di leggere la storia di Orsini. Intendiamoci: la storia è un campo aperto, dove i fatti sono sempre soggetti a nuove interpretazioni (e per questo noi condanniamo quella legge abominevole che vede con il codice penale le teorie revisioniste sulla Shoah). Ma questo non vuole dire che ogni nuova teoria abbia lo stesso peso di quelle già vigenti: bisogna saperle argomentare, motivare, contestualizzare, altrimenti sono, per l’appunto, bizzarrie.

Noi non sappiamo quanto Hitler e il suo stato maggiore furono sorpresi dalla dichiarazione di guerra di Francia e Inghilterra, ma questo non vuol dire che poiché non lo sappiamo una teoria valga quanto un’altra. Nella sua visione Orsini si mette contro tutta una visione storica consolidata di decine di storici seri, ma nella storia, diceva Carr, non c’è mai una visione definitiva e noi siamo sempre aperti a nuove letture, e quindi anche a visioni che possano sovvertire mezzo secolo di volumi basati su documenti, interpretazioni, analisi profonde: non ci si deve mai chiudere al nuovo e bisogna sempre essere pronto ad ascoltarlo. Ma per farlo è necessario che porti nuovi materiali, nuove analisi interpretative, visioni più convincenti, una documentazione seria e attendibile. Altrimenti le sue sono solo frasi campate in aria. Non ci vogliamo qui dilungare sulla storia del terzo Reich. Per chi volesse leggerne, il Novecento ha prodotto testi di altissimo pregio. Quelli che non li hanno letti sono Putin, che di Hitler ha solo l’ambizione, il suo ministro degli esteri che alla prima occasione è andato sciorinando un monologo pieno di imbecillità, e persone come Orsini. Giustamente, come sempre quando ci si stanca di ascoltarlo tutta una parte dell’opinione pubblica comincia a dire che, anche se dice cose fastidiose, ha comunque il diritto di parlare. Che è un diritto sacrosanto. Ma qui il problema non è il fastidio della verità, ma il fastidio delle sciocchezze: chiamino pure allora un “putiniano”, se è il caso, ma uno che abbia meditato qualche libro di storia, e meno permaloso. Perché noi i libri di storia li abbiamo letti, e abbiamo diritto a un po’ di rispetto.

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