Il 9 maggio, Emmanuel Macron, appena rieletto presidente della Francia, ha parlato alla Conferenza sul futuro dell’Europa nella sede del Parlamento Europeo proponendo la revisione dei trattati dell’Unione e la creazione di una ‘Comunità politica europea’ che «permetterebbe alle nazioni europee democratiche che aderiscono alla nostra base di valori di trovare un nuovo spazio per la cooperazione politica, la sicurezza, la cooperazione energetica … Farne parte non pregiudicherà la futura adesione all’Unione europea, né sarebbe chiusa a coloro che l’hanno lasciata»: questo è addirittura un amo per ricatturare la Gran Bretagna nella speranza di dividerla dagli Stati Uniti.
Trent’anni fa la stessa idea l’aveva avuta un suo predecessore, François Mitterrand. Dopo la caduta del muro di Berlino, Mitterrand aveva proposto la creazione di una “Confederazione europea” con la partecipazione dei paesi dell’Europa centrale e orientale appena liberati. Questo progetto consentiva di non allargare immediatamente la Comunità europea dell’epoca. Nel giugno del 1991, dopo il fallimento del vertice di Praga convocato da Mitterand, il progetto era stato accantonato per la resistenza di questi paesi che per prima cosa respingevano l’idea di Mitterand di invitare anche la Russia e, in secondo luogo, perché intendevano entrare nella NATO, come è avvenuto.
Macron, considerato che dal punto di vista politico l’Europa è più ampia dell’UE, lo ha ripreso proponendo una comunità politica europea come una struttura di accoglienza in attesa della adesione all’Unione europea di paesi europei come l’Ucraina, la Moldavia, la Georgia e altri dei Balcani occidentali.
Tutti questi paesi sono candidati all’ingresso nell’Unione europea, e alcuni hanno già avviato il relativo negoziato la cui durata sarà di qualche anno. Naturalmente, le esigenze politiche del momento richiederebbero un’accelerazione.
Ma Macron ha detto anche «Aiutare Kiev “perché Mosca non vinca”… lavorare per “riportare la pace in Europa” … senza “umiliare” Mosca». Questa affermazione, salutata come una grande luce nelle tenebre, potrebbe sembrare un’ovvietà ma è parte di un progetto macroniano molto complesso.
Per esempio, quanto all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea, Macron ha rilevato che il processo richiederà molto tempo ancora: «L’Ucraina con il cuore è già membro della nostra Unione ma anche se domani le concediamo lo status di candidato, ed è ciò che auspico, sappiamo tutti che l’iter per l’adesione richiede diversi anni, anzi decenni, e bisogna dirlo con sincerità. Non possiamo rinunciare ai principi che sono le fondamenta di questa Europa».
Forse Macron, postergando sine die l’ingresso dell’Ucraina nell’UE, vuole fare un regalo a Putin? Forse Macron immagina la nuova ‘comunità politica europea’ come una ‘confederazione’ egemonizzata dalla Francia e come una alternativa alla NATO?
In effetti sembra di si ed è quanto egli ha fatto capire a Xi Jnping, il quale felice di apprenderlo, gli ha suggerito di esplicitare meglio il fine del suo progetto, cioè «che i Paesi europei prendano in mano la sicurezza dell’Europa» e facciano a meno degli Stati Uniti.
È la solita, velleitaria illusione che la Francia coltiva, quella di fare da perno, in condominio con la Germania, di un’Europa, forse non più dall’Atlantico agli Urali, che si ponga in concorrenza con gli Stati Uniti e, cosa molto probabile, in condizioni di inferiorità rispetto al possibile asse Mosca-Pechino.
Ai posteri l’ardua sentenza!
Un altro problema che il giovane presidente francese vuole affrontare è quello del superamento del diritto di veto di cui paesi membri dispongono nel processo decisionale dell’UE.
Non ci ha meravigliato che Enrico Letta, rimpatriato da Parigi, non si sia reso conto delle implicazioni sistemiche del progetto di Macron e abbia manifestato subito una convinta adesione. Ormai si ‘è risciacquato nella Senna’ e gli viene naturale francesizzare e ‘twittare: «Emmanuel Macron ha indicato due proposte “coraggiose e cruciali” per il futuro dell’Ue. Abolire il diritto di veto e creare una Comunità politica attorno all’Ue per accogliere l’Ucraina e altri candidati nella famiglia europea. Due passi coraggiosi che da tempo considero cruciali per l’Ue, capace di proteggere i cittadini ed essere influente nel mondo».
L’ex ministro pdino per gli affari europei, Vincenzo Amendola, ha dato l’interpretazione autentica del pensiero del segretario del suo partito: «Noi condividiamo la proposta ambiziosa del presidente Emanuel Macron di costruire uno spazio politico più ampio per allargare l’Unione europea. Questa proposta è stata già fatta anche da alcuni esponenti politici italiani come Enrico Letta … Io credo che oramai quelle che erano le timidezze del passato sull’allargamento, soprattutto per alcuni paesi come Albania e Nord Macedonia, di fronte alla realtà geopolitica del nostro continente, lasceranno il corso a un sistema nuovo … Ci sono oramai alcune grandi questioni, a partire dalla politica estera dalla sicurezza comune e dalle scelte di economia e protezione sociale che meritano velocità, perché la competizione globale e la protezione dei nostri cittadini meritano scelte all’altezza delle difficoltà che stiamo vivendo. Per questo riformare i trattati e riformare alcune regole è fondamentale».
A questo proposito egli può valersi del passo avanti gigantesco fatto dalla teoria politica con la stampella di Mario Draghi, il quale ha definito una nuova categoria del federalismo, il ‘federalismo pragmatico’. Secondo Draghi, la rapida trasformazione del quadro geopolitico impone la massima rapidità delle decisioni che l’UE deve prendere non solo riguardo ai problemi immediati ma, soprattutto, per «assicurarci che la gestione delle crisi che viviamo non ci porti al punto di partenza, ma permetta una transizione verso un modello economico e sociale più giusto, più sostenibile … Abbiamo bisogno non solo di un federalismo pragmatico ma di un federalismo ideale. Se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei Trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia».
Le defatiganti trattative per decidere i vari ‘pacchetti’ di sanzioni alla Russia pongono davanti a noi il problema della riforma del processo decisionale dell’UE. E Draghi ne è pienamente consapevole soprattutto perché gli bruciano moltissimo le ore e i giorni che deve perdere non solo in Europa ma anche per far prendere decisioni alla sua composita maggioranza di governo in Italia. Non possiamo dargli torto.
Confessiamo però di non riuscire a capire l’aggettivo ‘pragmatico’. Forse il presidente Draghi, di fronte alla crisi determinata dalla guerra in Ucraina, ha voluto lanciare il cuore oltre l’ostacolo tentando di trovare un soluzione semplice all’impasse in cui si trova l’UE.
Ma, di grazia, ci spieghi che cosa egli intenda per ‘federalismo pragmatico’. Mi pare che, sebbene Draghi abbia usato la parola ‘federalismo’ (parola che in Francia resta da anni quasi proibita e che infatti Macron non ha pronunciato), stringi stringi anche lui non intenda altro che l’eliminazione della regola dell’unanimità prevista dal Trattato di Maastricht: egli propone, come Macron, di cambiare i Trattati Ue, in modo che anche nelle questioni sociali, fiscali e di politica estera il Consiglio voti a maggioranza e pensa che questo sia il modo più efficace e visibile per approfondire l’integrazione dell’Unione europea dei Ventisette.
Ma come si può obbligare uno stato a rinunziare a un diritto derivante dal trattato di adesione? Anche se si ricorresse a una Convenzione che decidesse la modifica del trattato, poi sarebbe necessaria la ratifica di tutti perché possa entrare in vigore. Quindi, qualora si volesse ricorrere alla regola della maggioranza violando il trattato, si dovrebbe espellere lo stato recalcitrante o costringerlo a secedere, costringerlo a quella exit che è stata già imposta al Regno Unito. E questo vale anche per la comunità/confederazione di cui parla Macron.
Il voto a maggioranza sarebbe certo di facile applicazione nei confronti di paesi con un peso limitato come quello, che so, dell’Ungheria di Orbàn; ma siamo sicuri che avrebbe la stessa efficacia con la Germania o con la Francia? Siamo sicuri che, si possa formare una maggioranza contro questi due big dell’UE?
No.
La soluzione – specialmente in materia di politica estera e di difesa – non è il federalismo ‘pragmatico’, che poi sarebbe un sistema funzionante a intermittenza, cioè al comando degl’interessi degli stati dominanti. La politica estera e di difesa richiede istituzioni politiche stabili e univocamente democratiche.
La soluzione è ben diversa: è il federalismo politico, cioè la ‘famosa’ costituzione di tipo americano, con i suoi ‘cheks and balances’, capace di esprimere una maggioranza non solamente degli stati ma anche una maggioranza politica dei cittadini. Nessuno oggi lo vuole: se vogliamo mantenere l’UE, dobbiamo accontentarci della regola dell’unanimità e delle defatiganti trattative.