Ponte sullo Stretto: presentato il cronoprogramma, ma serve solo a perdere tempo

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Ponte sullo Stretto: entro l’11 agosto 2023 si dovrà procedere alla consegna del documento: in tutto, si perderanno un altro anno e tre mesi di tempo

Il Ministro Enrico Giovannini lo aveva più volte preannunciato, e adesso, con la necessaria calma, lo ha reso noto. Non parliamo del quarto segreto di Fatima, ma del cronoprogramma che dovrebbe condurre, dopo una serie di studi e valutazioni, a verificare se e come realizzare il Ponte sullo Stretto. E’ infatti stato affidato ad RFI il compito di emanare entro il 30 giugno il bando di gara per l’affidamento dello studio di fattibilità delle “alternative progettuali”; le procedure di scelta del contraente resteranno aperte fino al 27 dicembre del 2022. Entro l’11 agosto 2023 si dovrà procedere alla consegna del documento: in tutto, si perderanno quindi un altro anno e tre mesi di tempo. Allo scopo, come già sapevamo, sono stati stanziati ben 50 milioni di euro. Che si aggiungono ai 7.500 milioni che nel frattempo saranno buttati al vento per la redazione dello studio di fattibilità. Si, perché ammonta ad oltre 6 miliardi di euro l’anno il costo dell’insularità della Sicilia, secondo una stima della stessa regione siciliana. Quindi, il conto è presto fatto. Ma servono a qualcosa questi studi? Vorrei ricordare, anche se è arcinoto, che i primi studi di fattibilità del Ponte sullo Stretto risalgono al concorso di idee del lontano 1969dal quale vennero fuori una serie di ipotesi. Scartate, dopo almeno un decennio di confronti e polemiche, le ipotesi non fattibili (tra cui il tunnel ed il ponte a più campate), ne rimase in piedi soltanto una: quella del ponte a campata unica. E nessun dubbio sulla necessità e utilità di realizzare l’opera, nessun accenno all’opzione zero paventata da Giovannini come un possibile esito dello studio da 50 milioni in via di affidamento.

Peccato che il Ministro, proprio oggi, venga smentito proprio da un suo viceministro, l’on.le Alessandro Morelli, il quale dichiara su “Il Giornale” che “l’esito negativo è altamente improbabile, visto che le due regioni, la politica ed il buon senso fanno propendere per la realizzazione dell’opera”. Quindi, di cosa stiamo parlando? Ci chiederemmo inoltre cosa ci sia da studiare ancora, se non avessimo letto gli esiti di un’altra Commissione di studio: quella istituita nell’estate del 2020 dall’allora ministra De Micheli, proprio per studiare (come se ce ne fosse bisogno) la questione “attraversamento dello Stretto”. Commissione che, pur priva di esperti di ponti, arrivò a stabilire che l’ipotesi del ponte a due o più campate andava ripresa in considerazione perche “presumibilmente” costerebbe meno. Un semplice avverbio, quindi, è bastato a rimettere in discussione quello che era stato escluso da studiosi di fama mondiale, sulla base di sondaggi, analisi, e valutazioni geotecniche protrattesi per decenni. Peraltro, la scelta del ponte a campata unica, dopo alterne vicende ed altri decenni di lentissimi iter burocratici e tentennamenti vari, condusse alla gara internazionale del 2005, che ha individuato nel  Consorzio Eurolink il “General Contractor” dell’opera.

Sappiamo benissimo che fine fece quell’affidamento ed il relativo progetto definitivo, praticamente approvato e pronto per la fase esecutiva. Ma il contenzioso con l’impresa titolare del contratto (oggi la Webuild di Salini) è attualmente in corso, con una richiesta di risarcimento che ammonta ad almeno 400 milioni di €. Richiesta che, secondo gli stessi legali di Webuild, sarebbe ritirata nel caso i cui si riprendesse con l’attuazione del contratto di appalto. Quindi, se il governo volesse fare davvero il Ponte, perché perdere tempo e rischiare di aggiungere altre centinaia di milioni di risarcimento alle somme già spese, oltre a quelle che si spenderanno per questi studi e si perderanno a causa dell’assenza dell’opera? Prescindendo dal contratto con Webuild, visto che il governo potrebbe, legittimamente, non voler cedere al contenzioso, perché non ripartire almeno dal progetto definitivo, che giace con i suoi dieci metri cubi di elaborati in una sede ANAS? Va bene che il ministro Giovannini, in un momento di rare certezze, lo ha definito “superato”, ma va sempre rammentato che quel progetto è passato al vaglio di Parsons Transportation Group, ente verificatore di livello mondiale: va semplicemente aggiornato, essendo passati, dalla sua redazione, oltre dieci anni. Ma una cosa è l’aggiornamento del progetto, che può essere eseguito in pochi mesi, altra cosa e ricominciare tutto daccapo, con la certezza di perdere almeno un altro decennio.

Tutto questo ci fa toccare con mano una spaventosa evidenza: l’incapacità del governo di prendere una decisione chiara, netta, decisa per imbarcarsi, invece, in tergiversamenti che ci costeranno carissimi. E che nascondono la fragilità di una compagine politica a dir poco eterogenea, che si tiene insieme a fatica, costituita da forze a dir poco variegate che su questo tema hanno pareri diversissimi. Chi si illude che a pagare saranno soltano Sicilia e Calabria, si sbaglia di grosso. Non è un caso, infatti, che il Ponte sia inserito nel corridoio TEN-T Scandinavo-Mediterraneo, la cui effettiva attivazione metterebbe l’Italia nuovamente al centro dei traffici mondiali di merci. Dettagli insignificanti, per chi ci governa: meglio rinviare alle calende greche la spinosa questione, sacrificandola alle poltrone; e nel frattempo, approfittarne per sprecare altre decine di milioni nella realizzazione dell’ennesimo, inutile, studio di fattibilità.

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