La guerra in Ucraina sta aprendo nella nostra coscienza grandi dubbi e incertezze
Papa Bergoglio non perde occasione per dire che la «guerra è stata provocata o non impedita», cioè che è stata la NATO a ‘provocare’ Putin; per spiegarcelo, egli ci narra addirittura una nuova versione della fiaba «di ‘Cappuccetto rosso’» e del lupo cattivo: ecumenicamente, come gli è naturale, ci dice che «non ci sono buoni e cattivi metafisici. Sta emergendo qualcosa di globale, con elementi che sono molto intrecciati tra di loro … bisogna ragionare su radici e interessi». Su questo non c’è che da concordare ma bisognerebbe chiedere al Santo Padre quale, a suo avviso, sia l’interesse della NATO a provocare Putin fino al punto da fargli scatenare una guerra d’espansione e se non pensi che il vero lupo cattivo sia la NATO dato che, sempre a suo avviso, avrebbe l’interesse a «testare nuove armi». Forse, essendo vissuto all’altro capo del mondo, Bergoglio ignora quali siano state le ragioni d’essere e la funzione storica della NATO.
Il Papa (al netto del suo anti-occidentalismo) ha scelto parole che saranno forse sante ma sicuramente sono di pura fantasia rispetto ai fatti: Karol Wojtyla, che pure era un poeta, non le avrebbe usate.
Se poi le ha pensate come utili per il processo di pace, dobbiamo dire che egli si è sbagliato di grosso perché non hanno fatto altro che aggravare la sindrome dell’accerchiamento di cui, forse insieme ad altri mali, soffre il ‘povero’ Putin.
Sulla stessa linea, un ‘mistico’ direttore di un giornale ‘futurista’ condanna all’inferno sia Putin che Zelensky, le cui coscienze sarebbero sporche di sangue in egual misura; poi, in nome della pace che ci darebbe la sua fede nei miracoli e nel disarmo, anche unilaterale, costui argomenta le sue perorazioni ricoverandosi dietro quella che egli dice una premessa scontata e sottintesa al punto che non sarebbe necessario enunciarla: «va bene, si, la Russia ha invaso l’Ucraina, ma sono gli Stati Uniti e quel ‘buffone’ di Boris Johnson a non volere la pace». Intanto sul suo giornale si pubblicano i dettagli dei molti stupri addebitati alle masnade russe, del «martirio del popolo ucraino» e delle deportazioni ‘ingiustificabili’.
Il ‘Corriere della sera’ ha pubblicato un elenco dei pultiniani d’Italia, tratto da un documento d’intelligence ‘classificato’ e giudicato da molti come una ‘lista di proscrizione’: è stato il solito capolavoro italiano per cui i documenti segreti sono pubblici e non è chiaro l’intento di quel giornale a mettere insieme questo florilegio. In verità, a scandalizzare è però l’inadeguatezza che i ‘servizi’ hanno dimostrato ‘classificando’ come riservate le opinioni, per natura pubbliche. È probabile però che, oltre a fare questi elenchi di opinionisti antiucraini e tendenzialmente filoputiniani, i servizi d’intelligence abbiano legittimamente scandagliato un’area più profonda e segreta come del resto facevano, nell’età della ‘guerra fredda’, quando ci si interrogava su quali sarebbero stati l’atteggiamento e la tenuta degli italiani nel caso malaugurato di una guerra contro l’URSS: molti temevano che – a parte la molto diffusa inclinazione al ‘tutti a casa’ – potesse esservi una quinta colonna dei sovietici: chi non ricorda le famose marce degli ‘eurocomunisti’ che, negli anni ’80, si battevano come un sol uomo per impedire la installazione dei missili americani in Europa mentre non dicevano una sola parola contro i missili sovietici già installati ai nostri confini? Era naturale che, allora, i servizi facessero controlli sul rapporto tra queste manifestazioni e l’azione di spie e agenti del sovietismo e, forse, lo facevano seguendo la tracia delle ‘opinioni’.
Tuttavia, le scelte politiche di chi è contro l’aiuto militare all’Ucraina sono certamente legittime e, quindi, non vanno in alcun modo messe all’indice né demonizzate Piuttosto, se si ritiene che esse siano, come a mio avviso sono, infondate e contrarie all’interesse e alla sicurezza nazionale vanno confutate e contrastate sul piano politico. Da questo punto di vista, il presidente Draghi dovrebbe lasciare da parte i messaggi criptati (l’alternativa tra la pace e i condizionatori accesi) e spiegare bene invece che, garantire la nostra sicurezza e la pace, potrebbe anche costarci la rinuncia alle comodità e i sacrifici necessari per fermare la Russia. Forse un linguaggio più chiaro potrebbe costargli l’appoggio del M5S, che sta rigurgitando quel poco di saggezza di cui pareva capace, tuttavia questo fatto non dovrebbe essere un grave danno per il nostro paese, a patto però che non si ricorra a nuove alchimie parlamentari e si vada dritti alle elezioni.
Molti sostengono che l’invio di armi all’Ucraina sarebbe in contrasto con la Costituzione che, nel suo articolo 11, «ripudia la guerra come strumento di offesa agli altri popoli e come strumento di soluzione delle controversie internazionali».
Ma quale fondatezza ha una tale interpretazione della costituzione?
La nostra costituzione pone tra i doveri costituzionali del governo e dei cittadini quello della difesa del paese, anzi ci obbliga a trovare i mezzi migliori per difendere l’indipendenza e la pace della Repubblica: spetta dunque a governo e Parlamento decidere le modalità e le necessità di una tale difesa e, a questo fine, ha poi disposto che l’Italia possa aderire ad alleanze difensive e a organizzazioni internazionali che abbiano per fine la promozione della pace tra le nazioni: in forza di questa norma l’Italia è entrata a far parte della NATO e dell’ONU.
Tra questi difensori della Costituzione troviamo giornalisti e professori, ex-generali e politici, variamente motivati e variamente attendibili, le cui opinioni continuano a sedurre un’opinione pubblica ancora molto incerta e propensa a illudersi che, facendoci gli affari nostri, si possano evitare i pericoli economici, politici e bellici cui ci espone la politica espansionistica russa (e, in prospettiva, quella cinese).
Non è sbagliata l’impressione che il loro scopo principale non sia la difesa della Costituzione e della pace bensì di insinuare nell’opinione pubblica un tarlo capace di rompere l’alleanza con gli Stati Uniti: per esempio, nell’elegante prosa mistificatoria di qualche ‘quotidiano’ possiamo leggere che la «NATO boicotta il negoziato» e che «i nostri padroni, Biden e Johnson, teorizzano una guerra di anni non più per difendere gli ucraini ma per sconfiggere Putin»: ottimo argomento per sostenere che gli ucraini dovrebbero fare la guerra per ‘far vincere Putin’.
Un professore piagnone ne dice di tutti i colori spiegando, con un documento storico inattaccabile, come e perché non si possa accusare Putin di voler scatenare una guerra totale: «la Seconda Guerra Mondiale non è scoppiata perché Hitler ad un certo punto ha detto ‘Voglio fare la Seconda Guerra Mondiale’, ma perché erano state stipulate alleanze militari simili o peggiori di quelle della NATO … Ogni volta che sento che un paese vuole entrare nella NATO, soprattutto se vicino ai confini con la Russia, io piango … Il mio auspicio è che escano dalla NATO paesi che confinano con l’Ucraina: la Slovacchia, la Romania, l’Ungheria. L’interesse dell’umanità è contrario a quello della NATO». Un’affermazione – quella su Hitler e la seconda guerra mondiale – che la dice lunga sulla qualità di un tale
‘esperto’ come politologo e del suo pensiero. Di cui egli stesso ci dà le coordinate: «non penso affatto di avere un ‘pensiero laterale’, magari all’inizio, quando ero assolutamente isolato, ora il mio pensiero è ‘centrale’».
Troviamo grandi giuristi lanciare appelli perché l’Europa si stacchi dagli angloamericani e assuma una iniziativa per portare al tavolo della pace i due contendenti – che per essi sono non la Russia e l’Ucraina bensì la Russia e gli Stati Uniti – ma, oltre a strillare il titolo del ‘proclama’, non dicono nulla circa la proposta da fare a Putin forse perché, in un sussulto della coscienza, provano vergogna a farci sapere che non proporrebbero altro che la resa dell’Ucraina per consegnarla, e consegnarci, a Mosca: viene il sospetto però che qualcuno tra questi in realtà intenda promuovere più la propria carriera politica che non la costituzione, cioè per esempio che – finita la sindacatura in una grande città del Mezzogiorno e fallita la spedizione in Calabria – cerchi un nuovo impiego e un piedistallo elettorale spacciandosi per defensor pacis.
Un imbolsito ma fine interprete degli Accordi di Minsk ci spiega come gli ucraini – non concedendo alle regioni del Donbass l’autonomia prevista da quegli accordi e perpetrando orrendi delitti per mano nazista nel tentativo di riappropriarsi del territorio caduto sotto controllo russo nel 2014 – abbiano di fatto provocato la ‘giusta’ reazione di Putin costringendolo a ordinare l’operazione militare speciale. Solo che l’eminente interprete fa sua la versione che ne danno i russi e non sa, o non dice, che quegli accordi prevedevano anche elezioni da tenersi dopo il ritiro delle truppe russe – entrate in Ucraina nel 2014 per fomentare e sostenere la secessione del Donbass e occupare la Crimea – e dopo il rientro di quanti erano fuggiti da quelle regioni a causa dell’invasione: solo dopo, governo centrale ucraino e governi eletti delle regioni del Donbass avrebbero dovuto definire lo statuto di autonomia, ma le truppe russe non si sono mai ritirate (forse perché l’autonomia non gli bastava e quindi lavoravano per l’annessione o per l’indipendenza) e la popolazione rifugiatasi fuori dal Donbass non vi è potuta mai rientrare.
E, ancora, altri professori ‘pacifisti’ – che, per accreditare la propria autorità, esibiscono un pedigree attestante ascendenze bobbiane – affermano che l’UE ha interessi divergenti da quelli degli Stati Uniti e che sanzioni, spese militari, assistenza ai profughi, rischio nucleare e durata del conflitto tra Russia e Ucraina impongono all’Europa costi maggiori di quelli subiti dagli americani. Ecco perché, a loro avviso, servirebbe una ‘grande e coraggiosa’ iniziativa politica perché l’Europa si liberi dalla sua sudditanza nei confronti dell’America e imponga a Kiev il cessate il fuoco: la Russia così potrà portare la pace (abbiamo potuto apprezzarne pienamente la buona volontà e le buone intenzioni nella vicenda del grano ucraino che si svolge sotto il ricatto: o la borsa (revoca delle sanzioni) o la vita (niente grano)). Interrogati su cosa debba consistere tale iniziativa, su quali siano le concessioni che l’Ucraina dovrebbe fare alla Russia (denazificazione, smilitarizzazione, neutralità, cessioni territoriali), tali pacifisti tacciono.
Come tacciono i vari intellettuali che parlano di ‘pace proibita’ (da chi?) e, impietositi dal sangue versato dagli ucraini, invocano la cessazione dell’appoggio dei paesi occidentali all’Ucraina come passo necessario per il raggiungimento della pace.
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Quale che sia l’esito della guerra – quello meno doloroso potrebbe essere un cessate il fuoco con l’occupazione russa di una parte dell’Ucraina senza il riconoscimento della comunità internazionale – certo non potremo chiudere gli occhi sulle sue conseguenze e sul disegno nazi-putiniano di restaurazione dell’impero di Pietro il Grande e di Stalin.
Un disegno bene illustrato da Putin nel discorso del 17 giugno nel quale si spiega che «l’era dell’ordine mondiale unipolare è finita». Insomma, il suo progetto strategico non si limita alla partita dell’Ucraina, ma è inteso a rafforzare la capacità della Russia di contrapporsi agli Usa sullo scenario internazionale e riconquistare un ruolo da grande potenza. La sua visione del mondo, pur legittima, passa dunque non solo per la conquista del Donbass e di Odessa per controllare tutto il Mar Nero, passa soprattutto per la sovversione dell’equilibrio europeo: la minaccia è chiarissima soprattutto in quanto dice Lavrov che ci annuncia la scomparsa definitiva dei confini storici dell’Ucraina e fa intravedere la stessa fine per la Moldavia. Medvedev, poi, ci dà un saggio di linguaggio neohitleriano e neo-zdanovista minacciando di seppellire i ‘bastardi e i degenerati’ occidentali e di far sparire l’UE prima che l’Ucraina vi possa entrare.
Allora, il problema non è di non ‘umiliare’ la Russia ma quello del suo contenimento: Truman e Kennan ci hanno insegnato a farlo (e molti in Italia non volevano farlo già settanta anni fa). Saremo capaci di prendere le decisioni necessarie? Dipende – gas o non gas – da chi prevarrà dalle nostre parti: Chamberlain o Churchill?
Può servire a questo scopo l’idea della ‘Lega della neutralità’, partorita da Sergio Romano?
L’ex ambasciatore immagina tale ‘Lega’ come composta anzitutto dai Paesi
scandinavi e baltici, che «avevano già scelto di essere neutrali», e da quelli, come l’Ucraina, che devono la loro indipendenza al «suicidio dell’URSS»; egli dunque retrocederebbe alla neutralità paesi come Lettonia, Estonia e Lituania, che sono già membri della NATO, e chiuderebbe a Finlandia e Svezia la possibilità di entrarvi per non turbare i sonni di Putin. Secondo Romano «questa Lega garantirebbe la pace del continente molto più di un qualsiasi Trattato» in quanto consentirebbe non solo di abolire le sanzioni alla Russia, ma di costituire una novella Comunità economica dalla grande forza pacificatrice come fu la
CEE di Schuman magari però in alternativa a Stati Uniti e Gran Bretagna
Diciamo subito che l’idea di Romano non solo non è convincente ma è anche pericolosa. Forse è troppo azzardare l’ipotesi che essa sia stata da lui concepita sedotto dall’atmosfera moscovita negli anni trascorsi a Mosca ma non si sbaglia se, sotto sotto, si sente il flavore di quelle plaghe: per essere più chiari, a me sembra che questa sia un’idea di divisione dell’Occidente e la ‘novella Comunità economica’ di cui egli fantastica somiglia troppo al giocattolo con il quale Macron – ma diciamo la Francia egocentrica, di sinistra e di destra – vorrebbe trastullarsi accogliendo il suggerimento di «prendere in mano la sicurezza del Vecchio continente», magari rompendo l’alleanza atlantica, che Xi Jnping gli ha dato: disinteressatamente.