Gomorra, Saviano condannato per plagio: “copiate parti di tre articoli di giornale”

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Una vicenda giudiziaria che prosegue dal 2015, con la Suprema Corte che nel 2021 ha rinviato alla Corte d’Appello la quantificazione del danno: “troppo pochi i 6mila euro indicati nella sentenza di secondo grado”

E’ prevista il prossimo 27 settembre 2022 la prima udienza davanti alla Corte d’Appello di Napoli per la rideterminazione delle somme che lo scrittore Roberto Saviano e Arnoldo Mondadori Editore dovranno risarcire alla Libra Editrice, società proprietaria dei quotidiani Cronache di Napoli Cronache di Caserta, per l’illecita riproduzione nel libro “Gomorra” di alcune parti di tre articoli che sono stati pubblicati dai quotidiani nel 2005. La riproduzione illecita dei testi è stata accertata in via definitiva dalla Corte di Cassazione nel 2015, con il rinvio alla Corte d’appello per la quantificazione del danno da risarcire.

Con sentenza del 2016, la sezione specializzata in materia di impresa della Corte d’Appello di Napoli ha quantificato in 6mila euro la somma che Arnoldo Mondadori e Saviano dovevano pagare alla Libra editrice, ma l’azienda, attraverso gli avvocati Marco Cocilovo e Mauro di Monaco ha presentato un nuovo ricorso in Cassazione. A dicembre 2021 la Suprema Corte ha così nuovamente rinviato alla Corte d’Appello la quantificazione del danno, per la quale però stavolta andrà tenuto conto degli utili derivanti dall’enorme successo ottenuto dal romanzo “Gomorra”: “troppo pochi i 6mila euro indicati nella sentenza di secondo grado”, secondo quanto stabilito dai giudici della Cassazione.

“Storia processuale infinita, un modo per tenere scrittore sotto scacco”

“La vicenda giudiziaria che mi vede “colpevole di plagio” ai “danni” di due quotidiani (giudicati dal Gip di Roma) contigui agli ambienti camorristici che ho denunciato in Gomorra è una storia infinita, infinita quasi come quella di Atreju, con cui in effetti qualcosa questi giornalisti e questi editori hanno a che fare”. E’ quanto aveva affermato Roberto Saviano nel dicembre dello scorso anno, dopo la sentenza della sentenza della Suprema Corte. “Furbescamente mi si vuol far passare per falsario, ma chiunque abbia una copia di Gomorra in casa può verificare che non mi sono mai attribuito la paternità di quei due articoli vergognosi… Vedete, mi facevano talmente schifo quelle due testate, che esaltavano le gesta amatorie del mandante dell’omicidio di Don Peppe Diana, che definivano Don Diana “camorrista”, che non ho voluto macchiare la mia penna facendo i loro nomi”.

“Questa storia processuale infinita è solo un modo per tenere sotto scacco uno scrittore, e nella maniera più vile per giunta: insinuando che io abbia copiato. Ho solo riportato quelle parole vergognose attribuendole a ignoti quotidiani locali, rifiutandomi di citare gli autori: quotidiani che hanno agito da megafono dei clan. Svelati i loro metodi e i rapporti ambigui con la malavita, mi hanno fatto causa. Ma io sono qui, come sempre, a pagare per le scelte che faccio. Mi chiamate “falsario”, “plagiatore”, “truffatore”, ma la verità è che vi ho sputtanato e questo non me lo perdonerete mai. Vi ho sputtanato e ne sono fiero”, scriveva lo scrittore napoletano.

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