Guerra e siccità…quando il pane riconquista la sua sacralità?

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Purtroppo nel 2022 altri nuovi drammatici scenari si aprono all’orizzonte della sostenibilità alimentare rischiando seriamente di dar vita a vere e proprie carestie in alcune parti del mondo già colpite da preoccupanti situazioni economico-social

di Antonio Paolillo- Assieme alla violenza, la “fame” è sempre stata il sintomo più noto ed esplicito di una crisi umanitaria. Quasi sempre accompagnata da guerre e, spesso, da epidemie. Pur essendo passati ottant’anni dall’ultima grande carestia europea e quasi ottant’anni dalla seconda guerra mondiale, il ricordo della crisi del Biafra nel 1967-1971 e quello della carestia Etiopica del 1984-1985 hanno segnato almeno due generazioni, mantenendo in vita, anche nell’Occidente ricco e ben nutrito, la memoria della fame.

Purtroppo nel 2022 altri nuovi drammatici scenari si aprono all’orizzonte della sostenibilità alimentare rischiando seriamente di dar vita a vere e proprie carestie in alcune parti del mondo già colpite da preoccupanti situazioni economico-sociali.

Ma cos’è una carestia?

Cominciamo ad esaminare le emergenze alimentari a partire dalla loro forma più grave, la carestia, quando la malnutrizione raggiunge livelli di massima gravità per un altissimo numero di persone. Un gran numero delle peggiori carestie dell’ultimo secolo è stato causato dalle guerre o dai cambi violenti di regime. In questo tipo di crisi, l’interruzione del mercato, la perdita di valore della valuta e l’accaparramento da parte di pochi sottraggono immediatamente il cibo alla disponibilità dei più.

La fame, drammaticamente, comincia subito.

Tra il 1914 e il 1918, negli anni della prima guerra mondiale, il Libano fu colpito da una carestia che uccise un terzo della popolazione, effetto combinato della confisca del cibo da parte dei Turchi ottomani, di una infestazione di locuste e delle sanzioni imposte al paese dagli alleati occidentali.

Nel 1916 la malnutrizione colpì centinaia di migliaia di tedeschi, per effetto del blocco imposto dal Regno Unito. Tra il 1917 e 1919, 9 milioni di persiani morirono di fame in Iran per effetto della guerra tra turchi e russi su quel territorio, e del conseguente intervento britannico che ne prese il controllo. Tra il 1017 e il 1933 la Rivoluzione Sovietica, con l’effetto sommato di guerra, riforme agrarie e disordine economico portò la carestia in Tuekestan, in Tatarstan, tra i tedeschi del Volga, in Russia (5 milioni di morti), e nel ’33 in Ucraina e nel Caucaso del Nord, con 7-10 milioni di morti. Nello stesso periodo la rivoluzione cinese uccise per fame 8 milioni di persone.

La seconda guerra mondiale si caratterizzò per la carestia imposta dai nazisti del Ghetto di Varsavia, che causò 100.000 morti, e per l’assedio di Leningrado che uccise per fame 1 milione di suoi abitanti. Tra il 1941 e il 1944 la carestia colpì anche la Grecia occupata da Asse, uccidendo 300.000 cittadini. Nel 1943 i britannici sequestrarono il raccolto del Bengala occidentale per alimentare le proprie truppe sul fronte asiatico. In mancanza di statistiche affidabili, la stima dei morti varia tra 1,5 e 7 milioni. L’occupazione giapponese causò la carestia a java nel ’44, uccidendo 2,4 milioni di persone, e in Vietnam nel 1945, con 2 milioni di morti. 20.000 ne morirono in Olanda occupata dai Tedeschi.*

Oggi, il blocco dei porti ucraini sta creando gravi conseguenze economiche in tutto il mondo. Senza gli scali sul Mar Nero, il mancato export soprattutto di grano e mais rischia di avere risvolti drammatici in molti Paesi del mondo che si riforniscono da qui. L’Italia, rispetto ad altri Paesi, ha una dipendenza più limitata dai cereali di Russia e Ucraina: è del 2,5% per il grano duro, del 5% per il grano tenero e del 15% per il mais.

L’inizio della guerra in Ucraina è coinciso con un balzo del prezzo del grano. Rispetto a inizio 2022, si è raggiunto un costo del 30% superiore e gran parte dell’Ucraina che sta subendo un forte calo del volume di produzione agricola, in particolare per quanto riguarda il frumento. Meno campi coltivati e soprattutto porti chiusi: basti pensare che il 95% dell’export passava per il porto di Odessa.

A gravare ancora di più l’emergenza grano si sommano la siccità e il caro petrolio che fanno perdere il raccolto italiano fino al 30%

Nel dettaglio, in Emilia Romagna e Veneto le prime previsioni parlano di un calo intorno al 10%, mentre per le regioni centrali la diminuzione potrebbe attestarsi intorno al 15-20%. **

Scenari poco rassicuranti che si spera possano servire, quanto meno, a farci riflettere sull’importanza che il pane ricopre nella nostra vita e come, purtroppo, ancora oggi, non ostante le crisi e le carestie del passato, non si affronti in maniera seria e definitiva l’importante aspetto della food security intesa come garanzia e sicurezza degli approvvigionamenti alimentari, ed è quello che comunemente s’intende come contrario alla malnutrizione. Guerra è sinonimo di fame e insieme alla fame di malnutrizione. Nessuno è oggi del tutto autosufficiente e qualcuno è costretto a importare gran parte dei beni di cui ha bisogno. Ecco perché la soddisfazione del fabbisogno alimentare della popolazione coinvolge molti ambiti e, di conseguenza, differenti attività governative quali: agricoltura, commercio, economia, energia, relazioni internazionali ma soprattutto preghiamo ed auspichiamo ad una completa e definitiva pace tra i popoli.

Per approfondimenti

*Gianni Rufini in “Cibo e Guerra” Caritas Italiana – quinto rapporto sui conflitti dimenticati – IL MULINO

** Rosaria Amato scrive a pag. 7 di Repubblica con un articolo dal titolo “Siccità e caro petrolio fermano il grano il raccolto italiano perde fino al 30% – 01/06/2022)

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