Guerra Ucraina: c’è un prima e c’è un dopo

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Il prima, è contrassegnato da un Paese libero, che aspira ad entrare in Europa, e forse, nella Nato. Il dopo è fatto da numerosi problemi

C’è un prima e c’è un dopo, ponendo come linea di demarcazione il 24 febbraio di quest’anno, data in cui cominciava l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Il prima, è contrassegnato da un Paese libero, che aspira ad entrare in Europa, e forse, nella Nato. Il dopo è fatto da numerosi problemi, in esplosione a grappolo, che vanno da un’inflazione galoppante, alla carenza ed al costo delle materie prime, al calo della disponibilità di cereali e del grano, con il rischio di carestie, soprattutto in Africa, all’aumento del costo del denaro a livello globale e cessazione del sostegno della Bei ai Paesi più indebitati (ricordiamoci il quantitative easing e il whatever it takes, di draghiana memoria), alla caduta delle Borse, all’export in tilt e al collasso dei trasporti, con congelamento dell’import, alla crisi dell’energia, il tutto acuito nel nostro Paese da una involuzione ed esasperazione polemica che è figlia di un cinico ed ottuso tornaconto politico. E dobbiamo sperare che la recente sorte del referendum ed i risultati elettorali non creino una masochistica rivoluzione tellurica. Leggi le dichiarazioni di Giorgia Meloni che, forte del risultato elettorale, chiede a Lega e a FI di staccare la spina al governo Draghi.

Questa situazione, ricca di segnali inquietanti, rischia di esplodere e di finire fuori controllo dopo l’estate, se non prima. Come se ciò non bastasse a farci perdere il sonno, andiamo ad intrupparci noi occidentali, con slancio e contorcimenti ideologici, nel problema della transizione energetica, e specificatamente nell’orientamento che dal 2035 non si produrranno più vetture tradizionali, diesel ed a benzina, inquinanti, escludendo i produttori del lusso, che hanno una presenza di nicchia.

Tale situazione, che rende incerta le proiezioni dei grandi gruppi industriali dell’automotive, merita qualche riflessione. Il settore è fortemente preoccupato per una transizione “green” che si presenta troppo veloce, incentrata sul taglio del CO2 del 100% al 2035, e che vede nell’automobile una delle rappresentazioni più significative. Questo orientamento rischia di generare, nel nostro Paese, la chiusura di circa 450 imprese nazionali, con scomparsa di 70.000 posti di lavoro. L’Anfia, che è l’Associazione delle imprese della filiera dell’automotive, sostiene “che è giusto giustificare obiettivi per la decarbonizzazione come ha fatto l’UE, è un errore invece imporre una unica tecnologia per arrivarci”. E poi, “bisogna stimolare le imprese ad investire sulle nuove tecnologie per conquistare spazi in un mondo, quello della componentistica auto, in fortissima trasformazione”.

In questo senso, l’attenzione è rivolta al mondo delle batterie che vede, oggi, la Cina in testa nella relativa produzione. In un mondo pacifico e globalizzato non sarebbe una iattura, ma si rientrerebbe nelle regole del gioco: libera concorrenza e vinca il migliore. Ma la situazione ucraina ci mette difronte a condizionamenti, se non a ricatti, come nell’utilizzo che fa la Russia dell’arma “grano”. Vogliamo dipendere da altri sistemi, a noi non particolarmente congeniali, per il nostro futuro?

Da condividere il pensiero del Ministro Cingolani: “mentre facciamo rapidamente crescere la domanda e l’offerta di energia verde, potremmo trovare soluzioni di passaggio che ci consentano di minimizzare l’impatto ambientale delle auto, senza costringere la gente che non ha i soldi a comprare una macchina nuova”. È la proposta di una terza via, che passa attraverso i carburanti sintetici e meno inquinanti. Il Parlamento europeo, sotto la spinta di paesi che non hanno la stessa tipologia di industria automobilistica, hanno deciso di non percorrerla.

Non arrendiamoci e sosteniamo il Governo Draghi in questa azione a tutela dei nostri interessi. Facciamo, in tale azione a difesa delle nostre posizioni, che il dopo Ucraina valga da testimonianza di fatti che potevano essere previsti e anticipati con orientamenti diversi, incentrati molto su una forte azione diplomatica, e meno su una reazione “muscolare”, che sta lasciando ferite sempre più profonde e purulente. In sostanza, se siamo nel giusto, come lo siamo a tutela della nostra economia, e non solo, non molliamo!

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