Le motivazioni della sentenza della Cassazione sul rito abbreviato del maxi processo svelano la grande bolla di “Gotha”: Scopelliti non venne mai sostenuto dai clan, a cui invece dava fastidio
E’ bastato il rito abbreviato per smontare il teorema della “cupola politico-mafiosa di Reggio Calabria“, teorizzata nel processo “Gotha”: la Suprema Corte di Cassazione, infatti, ha pubblicato le motivazioni della sentenza assolutoria rispetto alle 9 condanne inflitte da Tribunale e Corte d’Appello di Reggio Calabria in primo e secondo grado. Un documento da cui emerge un quadro particolarmente chiaro rispetto a quanto aleatorie fossero le accuse del maxi processo diventato un cult per giustizialisti, radical-chic e antimafia da salotto. Tutto ruota intorno alla figura di Giorgio De Stefano, avvocato 74enne scarcerato a marzo dopo che la Cassazione ha annullato (in parte senza rinvio) la condanna a 15 anni e 4 mesi di carcere emessa dalla Corte d’Appello reggina nell’ambito del processo “Gotha”.
Proprio sul ruolo di De Stefano e nei suoi rapporti con l’avvocato Paolo Romeo, gli inquirenti avevano costruito l’ipotesi della famosa “cupola” che avrebbe soggiogato la città con il coinvolgimento di politici di primo livello, in modo particolare del sindaco del “modello Reggio” e poi governatore regionale Giuseppe Scopelliti, che in “Gotha” non è mai stato neanche indagato, ma più volte è stato chiamato in causa dal punto di vista prettamente mediatico, indicato come una “pedina” del clan De Stefano che lo avrebbe sostenuto elettoralmente secondo alcune testimonianze oggi completamente smentite ufficialmente dalla magistratura. Erano soltanto chiacchiere da bar, che però hanno contribuito a determinare un’opinione pubblica avversa allo stesso Scopelliti erodendone il consenso democratico ed emarginandolo dalla scena politica.
Adesso arriva la conferma definitiva che rispetto a questa fantomatica “cupola“, (ammesso che esistesse davvero, il processo prosegue), Scopelliti fosse completamente estraneo: a sostenerlo sono proprio i magistrati della Suprema Corte di Cassazione che hanno ricostruito quanto accaduto il 20 marzo 2010 presso lo studio dell’avvocato Emidio Tonnmasini dove De Stefano venne intercettato in una conversazione con Paolo Romeo esattamente una settimana prima delle elezioni regionali del 2010 in cui uno Scopelliti apprezzatissimo in Calabria per aver reso Reggio grande negli anni precedenti, era lanciato verso una vittoria più che scontata secondo tutti i sondaggi dell’epoca. “In quella conversazione – scrivono gli ermellini nelle motivazioni – Giorgio De Stefano invita Paolo Romeo ad attivarsi insieme a lui ad appoggiare il candidato Loiero in contrapposizione a Scopelliti, mentre Paolo Romeo esprime scetticismo affermando che, mancando una settimana alle elezioni, essi potrebbero attrarre in favore del Loiero appena cinquecento o mille voti e che lo Scopelliti ha inserito nelle sue liste candidati molto forti, mentre il Loiero era appoggiato da gruppi formati da persone che avevano litigato tra loro fino a sette giorni prima della presentazione delle liste e non erano, pertanto, credibili e, quindi, non avevano capacità di attrarre voti“.
“Nella conversazione – scrivono ancora i giudici della Suprema Corte nelle motivazioni – non si fa alcun accenno all’utilizzo di metodi mafiosi per influire sul voto o ad un intervento della ‘ndrangheta nella competizione elettorale, che risulta contraddetto dalla pochezza dei voti che i due affermano di poter assicurare al Loiero in occasione delle elezioni regionali. Il voler ravvisare in tale conversazione una elaborazione della strategia della ‘ndrangheta unitaria per influire sulla competizione elettorale regionale appare un’evidente forzatura logica e nella motivazione neppure viene data risposta ai rilievi formulati in proposito nell’atto di appello. Né nella sentenza si chiarisce in cosa si sarebbe concretamente sostanziato il contributo arrecato dal De Stefano, quale componente della struttura invisibile della ‘ndrangheta unitaria, al sodalizio criminale“. La Cassazione, così, accoglie il ricorso parlando di “evidente illogicità della interpretazione della conversazione tra Giorgio De Stefano e Paolo Romeo intercettata il 20 marzo 2010“, ribaltando completamente le tesi dell’accusa.
Sempre nelle motivazioni, la Cassazione spiega che l’avvocato De Stefano veniva accusato di influenzare la vita politica proprio per quella telefonata intercettata il 20 marzo 2010 “alla quale l’accusa e poi la sentenza di primo grado avevano attribuito rilievo sulla base di una sua interpretazione fallace come sostenuto dalla difesa nei suoi atti ai quali la sentenza di secondo grado non ha dato risposta, limitandosi a reiterare la motivazione della sentenza appellata. In motivazione la Corte territoriale afferma che dalla conversazione intercettata emerge la capacità del Romeo e del De Stefano di governare ed orientare lo scenario politico locale incidendo sull’esito delle elezioni e stabilendo chi, tra i candidati, dovesse prevalere, anche grazie al ruolo verticistico da essi svolto all’interno del sodalizio criminale. In particolare, si afferma che De Stefano aveva aderito al progetto dell’associazione criminale, risalente al 2002, volto a sostenere l’elezione dello Scopelliti. In realtà, la difesa aveva obiettato che da tale conversazione e da altri dialoghi intercettati emergeva l’ostilità politica del De Stefano verso lo Scopelliti, tanto che egli nel 2002 non aveva preso parte alla campagna elettorale in favore di quel politico e nemmeno alle campagne elettorali successive. Dalla conversazione del 20 marzo 2010 emerge che il De Stefano aveva consultato il Romeo onde vagliare se fosse possibile sostenere la candidatura del Loiero in contrapposizione a quella dello Scopelliti ed il Romeo aveva risposto che lo Scopelliti era sostenuto da così tante liste da far ritenere certa la sconfitta del Loiero. Da tale conversazione non poteva quindi ritenersi dimostrata la capacità del De Stefano di spostare migliaia di voti da un candidato ad un altro. La Corte di appello non ha dato risposta a tali obiezioni, limitandosi anche in questo caso a ribadire la motivazione della sentenza di primo grado, secondo la quale tale possibilità di incidere sui risultati elettorali poteva ritenersi compatibile solo con il coinvolgimento della ‘ndrangheta nella sua componente unitaria nella contesa elettorale, non potendo ritenersi plausibile che una sola cosca fosse in grado, a soli sette giorni dal voto, di influire sull’esito di una competizione elettorale a base regionale. In realtà, nella conversazione nessuno dei soggetti intercettati aveva ipotizzato appoggi della ‘ndrangheta“.
“Peraltro – proseguono gli ermellini nelle motivazioni – mentre nella sentenza di primo grado era stato sostenuto che il De Stefano avesse finto di voler sostenere il Loiero temendo di essere intercettato, nella sentenza di appello si afferma che i due conversanti avevano dialogato in tranquillità, senza il timore che il loro colloquio potesse essere ascoltato da terzi. La sentenza di appello evita, però, in tal modo di confrontarsi con l’avversione manifestata dal De Stefano nei confronti dello Scopelliti limitandosi a sostenere in modo apodittico che egli era in grado di spostare cinquecento o mille voti coinvolgendo in tale operazione tutta la ‘ndrangheta e non solo la cosca De Stefano, il che è di per sé illogico considerata l’esiguità dei voti indicati rispetto al potere delle cosche. Il Giudice dell’udienza preliminare era arrivato anche ad ipotizzare che i due conversanti intendessero appoggiare il Loiero per indurre lo Scopelliti a temere per la sua elezione e quindi a richiedere alla ‘ndrangheta il suo appoggio, ma tale ragionamento era stato fortemente contestato dalla difesa e la sentenza di appello non lo aveva neppure considerato. La sentenza di secondo grado è anche arrivata a sostenere in modo assolutamente illogico la irrilevanza della circostanza che il De Stefano non comparisse in alcuna delle indagini che negli ultimi venti anni avevano coinvolto la cosca De Stefano o che egli non fosse coinvolto in interessi economici o la rarità dei suoi contatti con Paolo De Stefano, atteso – concludono le motivazioni – che anche tali circostanze erano elementi di prova a favore dell’imputato che non potevano essere liquidati con un’apodittica affermazione della loro irrilevanza“.
La Cassazione, quindi, evidenzia non solo come De Stefano non abbia mai sostenuto Scopelliti, ma addirittura tentava di ostacolarne l’ascesa e il progetto politico contrastandolo e tentando di impegnarsi in favore dei suoi avversari. Quello che si può ipotizzare, eventualmente, non è che Scopelliti fosse sostenuto dai clan ma al contrario che la sua ascesa politica desse fastidio proprio alla ‘ndrangheta.