Il fastidio di pensare – L’ora d’aria

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Qualche riflessione, adesso che la tempesta è terminata, sul governo che è terminato

Qualche riflessione, adesso che la tempesta è terminata, sul governo che è terminato. Per fortuna che Draghi si è stancato di comandare (i catanesi, che pur ne hanno fanno una forma di culto, in una famosa espressione antepongono il comandare al copulare stesso, ma da come se n’è andato si vede che per l’italico nonno le brame si vanno proprio spegnendo) e ha restituito a quei pochi italiani che ancora non si erano stancati di volerla la loro libertà (agli altri ormai non gliene fregava più nulla). In questo paese chi si mette a comandare prima o poi i servi li trova; se poi ha una fama abbastanza prestigiosa o giù di lì, sarà difficile anche togliergli davanti: fa parte del costume nazionale, come la pizza e il limoncello.

In Italia, si sa, la democrazia come sistema politico si sposa abbastanza male col costume nazionale: lo aveva capito già Vincenzo Cuoco nel Settecento, che pure non era proprio un’anima candida: roba troppo di importazione per una nazione di servi. In effetti a guardare questa democrazia del Dopoguerra ci si stupisce che sia riuscita ad arrivare fin qui intatta, sia pure un po’ sbrindellata: tra quel simpaticone di Nenni che voleva entrare a tutti i costi nel Patto di Varsavia da dove quelli che già c’erano dentro volevano uscirci tutti; quei compagni che sbagliavano, anche se ogni volta che sbagliavano moriva sempre qualcuno (ma sono i rischi del mestiere); la mafia che aiutava a tenere in piedi la baracca, alla fine in qualche modo, con qualche cerotto qua e là, fino a qua c’eravamo arrivati. Lo Stato era quello che era, mezzo anarchico probabilmente, ma a nessuno gli era venuto in mente di rimettere in piedi una dittatura. Ci avevano provato anche quella, a dire il vero, tanto per non lasciare nulla di intentato, perché a qualcuno prudevano le mani, come Pietro Secchia o Valerio Borghese, ma credevamo che ormai gli italiani fossero troppo innamorati alla loro anarchia, al loro diritto di fare quello che vogliono per poi protestare con lo Stato che glielo lascia fare, per accettare un po’ troppo d’ordine. Sbagliavamo: era solo questione di metodo. Lo avrebbero accettato, ma condottici in maniera più suadente. Come quegli animali che, a seguire quei percorsi dorati, alla fine, non si sa neanche come ci s’è introdotti, si ritrovano in mezzo al macello.

Le prove, a dire il vero, c’erano già state, li chiamano con squisita semantica “governi tecnici”, ed erano andate bene: si poteva fare bene l’allestimento finale. La Costituzione s’era messa da parte, tanto a nessuno gliene era mai fregato niente e poi, in fondo, ognuno la sente sempre nominare ma nessuno sembra sapere bene a che cosa serve.

Adesso godiamoci questi mesi di libertà come i carcerati si godono la loro ora d’aria, fino a che non ci sarà il nuovo governo. Ogni nuova elezione in questo paese si porta dietro un po’ di speranze che si tramutano presto in delusioni e poi, dopo qualche mese ancora, in angosciosa sopportazione. Ma pensare che se allora avesse vinto l’altro è solo uno stupido rimpianto. Manuel Azaña Díaz, l’ultimo presidente della repubblica spagnola travolto dalla guerra civile, scriveva negli anni del conflitto che tutti in quegli anni combattevano per la grandezza e la libertà della Spagna ma ormai sia la grandezza sia la libertà in Spagna erano terminate per decenni: bisognava solo vedere se ci sarebbe stata una oppressione fascista o comunista. Era un uomo a cui le parole altisonanti che sentiva dappertutto in giro scivolavano addosso senza illusioni. Non vorrei trasmettere questo sentimento sconsolato a chi tra un paio di mesi si troverà tra le mani la scheda elettorale. La democrazia, in fondo, è essere artefici del proprio destino e lui era in mezzo a una guerra civile. Solo che io come cittadino non mi sento moralmente responsabile neanche di un’oncia degli ultimi decenni di scempio con quest’inganno della democrazia, quasi a dire che ne sono responsabile da elettore. Alcuni intellettuali con cui amo discorrere mi comunicano con una certa fierezza che non votato da diversi anni, che è come dire che subiscono la tortura, ma non se ne sentono responsabili in quanto non sono loro a scegliere il torturatore. Longanesi diceva che in Italia non manca la libertà ma gli uomini liberi: oddio, di uomini liberi ce ne sono davvero pochi in questo paese e questo spiega tante cose, ma negli ultimi tempi, non perché non se ne è accorto quasi nessuno, ma è anche la libertà che è cominciata a mancare.

 

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