Medici cubani in Calabria, intervista al commissario del GOM Gianluigi Scaffidi
L’accordo firmato dal governatore Occhiuto con Cuba per fornire alla Calabria 500 medici cubani per sopperire alle carenze della sanità calabrese, ha scatenato un polverone di polemiche soprattutto da parte di sindacati e professionisti del settore che sostengono di non trovare lavoro in Calabria. Com’è possibile, però, che ci siano così tanti volenterosi lavoratori sanitari e che, invece, le autorità vadano a Cuba a trovare i medici anziché assumere i calabresi? Per fare chiarezza abbiamo contattato Gianluigi Scaffidi, medico reggino, oggi commissario del GOM di Reggio Calabria e per poco più di un anno fino a pochi mesi fa commissario dell’Asp di Reggio Calabria. Oltre ad essere un grande esperto del settore, Scaffidi è testimonianza vivente e decennale delle condizioni della sanità calabrese e la sua posizione è molto schietta.
“Tutti parlano, ma pochi sanno. E’ facile scrivere, fare note, comunicati stampa, blaterare, quando non si consoce la realtà: queste persone che scrivono lamentele mentre lavorano in aziende sanitarie private del Nord, se davvero amassero la Calabria dovrebbero dimostrarlo tornando in Calabria e lavorando qui da noi. Il problema della carenza di medici e professionisti sanitari c’è ed è enorme: la Calabria non è appetibile, le persone scelgono di andare a lavorare fuori e noi abbiamo le strutture che fanno fatica per carenze di organico. La causa di questa situazione è una varietà di fattori: in Calabria ci sono ospedali periferici, penso a quelli di Locri e Polistena nella nostra provincia, in cui non vuole andare nessuno per questioni geografiche e ambientali. Chi lavora lì, lo fa in condizioni certamente disagiate. Stiamo parlando di ospedali pubblici, in quanto la figura del medico ospedaliero è a tutti gli effetti un pubblico impiego, e i contratti stabiliti dai Governi non sono mai appetibili, non siamo competitivi con i privati. C’è una carenza enorme di specialisti: non è che basta essere laureati in medicina per essere assunti, ci sono competenze ben precise e noi abbiamo carenze enormi di pronto soccorso e anestesia, su cui c’è stato un grave difetto di programmazione che parte dalle baronie Universitarie. Tutti ambiscono a lavorare nel privato, perché è più remunerativo, e sul privato c’è da anni una grande apertura politica bipartisan: ricordate gli annunci durante la pandemia con le promesse di potenziamento della sanità pubblica? Ecco, adesso sono tutti scomparsi“.
Per far capire in modo ancor più chiaro quant’è profonda la criticità sanitaria calabrese, Scaffidi racconta la sua esperienza: “io nei 14 mesi in cui sono stato commissario Asp ho fatto – ad esempio – il concorso per anestesisti: proponevo 7 posti a tempo indeterminato negli ospedali di Locri e Polistena. La prima volta è andato deserto nonostante 18 domande, cioè i candidati non si sono proprio presentati alla convocazione e allora l’ho dovuto fare una seconda volta. La seconda volta sono riuscito a prenderne solo uno, ma poi non so neanche se ha accettato nell’iter successivo al concorso. I posti disponibili erano 7, perché avevo disperata necessità di 7 anestesisti. Che mancano ancora oggi. Sempre in quei mesi ho fatto un altro concorso per 4 pediatri estensibili a 8, anche qui a tempo indeterminato. Sono riuscito a recuperarne soltanto 2. Non si candida quasi nessuno, e tra coloro che si candidano, molti non si presentano o non accettano l’assunzione dopo aver vinto il concorso. Paradigmatica la vicenda della cardiologia dell’Ospedale di Polistena, dove avevo la necessità di assumere 4 cardiologi, anche qui a tempo indeterminato: a termini di legge ho proceduto con lo scorrimento di graduatoria del settore, e c’erano 28 persone nella graduatoria di cardiologia dell’ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro. Li ho contattati tutti, uno ad uno: nessuno ha accettato. Quindi di fronte a questa situazione, ben venga un tentativo di soluzione da parte dei vertici regionali. La sanità calabrese è in una situazione disperata ed è fin troppo facile parlarne da parte di chi non conosce i problemi enormi con cui ci scontriamo ogni giorno“.