Medici cubani, l’obbligo vaccinale imposto dal governo Draghi li allontana dalla Calabria: a Cuba non hanno usato i vaccini occidentali e i loro prodotti non sono stati riconosciuti dall’OMS e dall’UE
L’operazione dei medici cubani in Calabria annunciata nei giorni scorsi dal Governatore Occhiuto rischia di saltare ancor prima di iniziare. E non per le polemiche, in gran parte pretestuose e speculative, sulla scelta di rivolgersi all’estero per trovare le professionalità che in Calabria per vari motivi non ci sono davvero (tantissimi i concorsi a tempo indeterminato andati deserti negli ultimi anni), ma per una questione puramente tecnica. I medici cubani, infatti, non possono lavorare negli ospedali italiani alla luce del decreto del governo Draghi che impone, fino al 31 dicembre 2022, l’obbligo vaccinale per tutti gli operatori sanitari.
L’obbligo vaccinale disposto dal governo italiano è relativo esclusivamente ai vaccini occidentali riconosciuti dall’Ue. I medici cubani con ogni probabilità sono vaccinati: Cuba ha uno dei tassi di vaccinazione più alto al mondo, ma ha utilizzato prodotti autoctoni, i vaccini Soberana e Abdala che non sono mai stati approvati dall’OMS e dall’UE, quindi in Italia un vaccinato cubano è considerato a tutti gli effetti un “no vax“. Cuba è stata durante la pandemia un esempio straordinario di vaccinazione: nonostante l’embargo economico dal resto del mondo, il governo dell’Avana è riuscito ad avere in poco tempo non uno ma ben due vaccini fatti in casa e ha vaccinato in poco tempo quasi tutta la popolazione, compresi i bambini a partire dai 2 anni di età. Secondo i dati ufficiali, sugli 11 milioni e mezzo di abitanti di Cuba ha ricevuto la prima dose il 94,3% e la seconda dose l’88%, numeri molto più alti dell’Italia (rispettivamente 84% e 79,4%) o di qualsiasi altro Paese europeo.
Cuba, però, non ha usato né Pfizer, né Moderna, né AstraZeneca o Johnson & Johnson. Il vaccino più utilizzato sull’isola caraibica è il Soberana, un vaccino proteico, quindi basato su una tecnologia ampiamente consolidata, realizzato dall’Istituto Finlay di Cuba e già donato a Siria ed altri Paesi del mondo. Le autorità europee e occidentali, però, non lo hanno riconosciuto e quindi i milioni di cubani vaccinati sono considerati a tutti gli effetti dei “no vax” dalla burocrazia europea e anche italiana. Non hanno il “Super Green Pass“, ancora oggi necessario per alcune attività come viaggiare sulle navi da Crociera, o in Italia visitare parenti in case di cura e ospedali, e soprattutto per svolgere la professione medico-sanitaria.
I medici cubani, quindi, non potranno lavorare in Italia fino al 31 dicembre 2022, data in cui scade finisce l’obbligo vaccinale per medici e infermieri italiani. A meno che il Governo che nascerà dalle elezioni del 25 settembre non decida di abolire prima questo obbligo voluto da Draghi, ma in ogni caso non potrà farlo prima di metà-fine ottobre dopo i tempi tecnici di giuramento e insediamento. L’unica alternativa per consentire ai medici cubani di operare durante l’obbligo vaccinale, sarebbe una deroga ad hoc che Occhiuto dovrebbe chiedere al Governo. Ma un’operazione di questo tipo rischierebbe di scatenare la rabbia feroce dei medici e operatori sanitari calabresi che ancora oggi sono sospesi per aver scelto di non vaccinarsi.
A prescindere dall’operazione dei medici cubani, che ben vengano se possono aiutare la sanità calabrese, proprio alla luce delle carenze di organico e delle difficoltà degli ospedali della Calabria, Occhiuto per prima cosa dovrebbe chiedere di abolire quest’obbligo anti scientifico e socialmente criminale per consentire ai medici sospesi di tornare a lavorare: anche loro, esattamente come tutti gli altri, con la loro competenza e professionalità, contribuiscono a garantire il diritto alla cura dei cittadini. E da ormai quasi un anno si ritrovano a casa senza stipendio non per concorsi a vuoto o per difficoltà oggettive, ma per una precisa scelta adottata dal governo di Roma, per giunta in tempi in cui ancora era diffusa l’errata convinzione che i vaccini evitassero il contagio. Adesso che l’evidenza ha dimostrato il contrario, perseverare con l’obbligo senza alcuna base scientifica e ragione logica, ma contro la praticità delle esigenze della sanità, sembra un infantile accanimento ideologico.