Il professore dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria Marcello Sestito ritiene che l’eventuale “rinuncia alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina rappresenterebbe una sconfitta per tutti i professionisti e progettisti”
L’attenzione degli esperti si concentra ancora intorno al Ponte sullo Stretto. Nella giornata di ieri a Riposto, in provincia di Catania, si è tenuto un dibattito sui possibili risvolti politici, sociali e ambientali che l’opera potrebbe portare sulla Sicilia e la Calabria, nonché per tutto il Meridione d’Italia. Non è stata quindi una battaglia sul “Si” o sul “No”, come avviene invece nelle aule del Parlamento o nel corso dell’attuale campagna elettorale, ma un confronto costruttivo da parte degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori del territorio etneo e delle associazioni Inarch Sicilia, ArchLife e Morfosis. Un dibattito che ha tratto spunto in particolar modo dalla pubblicazione intitolata “Il ponte incontinente” di Marcello Sestito. Ed è stato proprio il professore dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria l’ospite dell’incontro tenutosi a Palazzo Vigo di Torre Archirafi.
“La realizzazione dell’opera di oltre 3 chilometri è una vera scommessa umana che ha visto cimentarsi negli anni e nel concorso di idee del 1969 alcuni degli ingegneri e architetti più importanti d’Italia – riporta l’Agenzia di Stampa Parlamentare – una realizzazione certamente non facile, la cui rinuncia rappresenterebbe una sconfitta per tutti i professionisti e progettisti”. A seguito della raccolta di circa 400 illustrazioni, che lo ha visto impegnato per un ventennio, Sestito ritrova nel collegamento tra Sicilia e Italia una logica Heideggeriana: “il ponte vuole le sponde e le sponde vogliono il ponte. Non si tratta di una questione politica, che spesso ha strumentalizzato l’argomento, ma solo di analizzarne i risvolti economici. Si tratta di superare i dubbi progettuali, ampiamente sviscerati dagli addetti ai lavori, e quelli legati alle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata”. Il professore si è detto inoltre convinto che “bisognerebbe accantonare certe perplessità e agire come in altri Paesi, dove sarebbe già stato realizzato da almeno 40 anni”.