Discorso Meloni, il testo completo e integrale del suo intervento alla Camera

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Il testo completo e integrale del discorso del neo premier Giorgia Meloni alla Camera

Elogi, ringraziamenti, emozioni, qualche battuta. E tanti, tantissimi argomenti affrontati. Lungo e interessante il discorso del neo premier Giorgia Meloni alla Camera. Testo integrale del suo intervento di questa mattina che riproponiamo qui di seguito.

Signor Presidente, onorevoli colleghi,

io sono intervenuta molte volte in quest’Aula, da deputato, da Vicepresidente della Camera, da ministro della Gioventù; eppure, la solennità è tale che credo di non essere mai riuscita a intervenire senza che in me ci fosse un sentimento di emozione e di profondo rispetto. Vale ovviamente a maggior ragione oggi che mi rivolgo a voi in qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri per chiedervi di esprimervi sulla fiducia a un Governo da me guidato. Una grande responsabilità per chi quella fiducia deve ottenerla e meritarsela e una grande responsabilità per chi quella fiducia deve concederla o negarla. Sono i momenti fondamentali della nostra democrazia, ai quali non dobbiamo mai assuefarci. Per questo io voglio ringraziare, da subito, chi si esprimerà in quest’Aula secondo le proprie convinzioni, qualsiasi sia la scelta che farà.

Un ringraziamento sincero va al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che, nel dare seguito all’indicazione chiaramente espressa dagli italiani lo scorso 25 settembre, non ha voluto farmi mancare i suoi preziosi consigli. Un ringraziamento va, ovviamente, ai partiti della coalizione di Governo, ai miei Fratelli d’Italia, alla Lega, a Forza Italia, a Noi Moderati e ai loro leader , a quel centrodestra che, dopo essersi affermato nelle urne, ha dato vita a questo Governo in uno dei lassi di tempo più brevi della storia repubblicana e io credo che questo sia il segno più tangibile di una coesione che, alla prova dei fatti, riesce sempre a superare le differenti sensibilità, nel nome di un interesse più alto.

La celerità di questi giorni per noi era un fatto naturale, ma era anche doverosa, perché la condizione difficilissima nella quale l’Italia si trova non consente di titubare o di perdere tempo, e noi non intendiamo farlo. E voglio per questo ringraziare anche il mio predecessore, il Presidente Mario Draghi, che, tanto a livello nazionale quanto a livello internazionale, ha, in queste settimane, offerto tutta la sua disponibilità affinché vi fosse un passaggio di consegne veloce e sereno con il nuovo Governo, ovviamente, anche se, per ironia della sorte, quel Governo era guidato dal presidente dell’unico partito di opposizione all’Esecutivo da lui presieduto. Si è molto ricamato su questo aspetto, ma io voglio dirvi che credo non ci sia nulla di strano. Così dovrebbe essere sempre, così è nelle grandi democrazie.

E, tra i tanti pesi che sento gravare sulle mie spalle oggi, non può non esserci anche quello di essere la prima donna a capo del Governo in questa Nazione. Quando mi soffermo sulla portata di questo fatto io mi ritrovo inevitabilmente a pensare alla responsabilità che ho nei confronti di tutte quelle donne che in questo momento affrontano difficoltà grandi e ingiuste per affermare il proprio talento o, più banalmente, il diritto a vedere apprezzati i loro sacrifici quotidiani. Ma penso anche, con riverenza, a coloro che hanno costruito, con le assi del loro esempio, la scala che oggi consente a me di salire e di rompere il pesante tetto di cristallo che sta sulle nostre teste. Donne che hanno osato, donne che hanno osato per impeto, per ragione o per amore. Come Cristina, elegante organizzatrice di salotti culturali e barricate, come Rosalie, testarda al punto da partire con i Mille che fecero l’Italia, come Alfonsina che pedalò forte contro il vento del pregiudizio, come Maria o Grazia che, con il loro esempio, spalancarono i cancelli dell’istruzione alle bambine di tutto il Paese. E poi Tina, Nilde, Rita, Oriana, Ilaria, Mariagrazia, Fabiola, Marta, Elisabetta, Samantha, Chiara. Grazie! Grazie per aver dimostrato il valore delle donne italiane, come spero di riuscire a fare ora anche io.

Ma il mio ringraziamento, il più sentito, va ovviamente al popolo italiano, a chi ha deciso di non mancare all’appuntamento elettorale e ha espresso il proprio voto, consentendo la piena realizzazione del percorso democratico, che vuole nel popolo, e solo nel popolo, il titolare della sovranità, con il rammarico, però, per i moltissimi che hanno rinunciato all’esercizio di questo dovere civico, sancito nella Costituzione, cittadini che reputano sempre più spesso inutile il loro voto, perché dicono: «Tanto poi decide qualcun altro, tanto poi si decide nei palazzi o nei circoli esclusivi».

Purtroppo spesso è stato così negli ultimi 11 anni, con un susseguirsi di maggioranze di Governo pienamente legittime sul piano costituzionale, ma drammaticamente distanti dalle indicazioni degli elettori. Noi, oggi, interrompiamo questa grande anomalia italiana, dando vita a un Governo politico, pienamente rappresentativo della volontà popolare.

E intendiamo farlo assumendoci pienamente i diritti e i doveri che competono a chi vince le elezioni: essere maggioranza parlamentare e compagine di Governo per 5 anni, facendolo al meglio delle nostre possibilità, anteponendo sempre l’interesse della Nazione a quello di parte e di partito.

Non useremo il voto di milioni di italiani per sostituire un sistema di potere con un altro distinto e contrapposto.

Quello che noi vogliamo fare è liberare le migliori energie di questa Nazione e garantire agli italiani, a tutti gli italiani, un futuro di maggiore libertà, giustizia, benessere e sicurezza. E se per farlo dovremo scontentare alcuni potentati o fare scelte che potrebbero non essere comprese nell’immediato da alcuni cittadini, non ci tireremo indietro, perché il coraggio di certo non ci difetta.

Ci siamo presentati in campagna elettorale con un programma quadro di Governo della coalizione e con programmi più articolati dei singoli partiti. Gli elettori hanno scelto il centrodestra e, all’interno della coalizione, hanno premiato maggiormente determinate proposte rispetto ad altre. Manterremo quegli impegni, perché il vincolo tra rappresentante e rappresentato è l’essenza stessa della democrazia.

So bene che ad alcuni osservatori e alle forze politiche di opposizione non piaceranno molte delle nostre proposte, ma io non intendo assecondare quella deriva secondo la quale la democrazia appartiene ad alcuni più che ad altri e che un esito elettorale sgradito non vada accettato e ne vada, anzi, impedita la realizzazione, con qualsiasi mezzo.

Negli ultimi giorni sono stati in parecchi, anche fuori dai nostri confini nazionali, a dire di voler vigilare sul nuovo Governo. Direi che possono spendere meglio il loro tempo.

In quest’Aula e nel nostro Parlamento ci sono valide e battagliere forze di opposizione, più che capaci di far sentire la propria voce, senza – mi auguro – alcun soccorso esterno. Voglio sperare che quelle forze convengano con me sul fatto che chi dall’estero dice di voler vigilare sull’Italia non manca di rispetto a me o a questo Governo: manca di rispetto al popolo italiano, che non ha lezioni da prendere.

L’Italia è a pieno titolo parte dell’Occidente e del suo sistema di alleanze, Stato fondatore dell’Unione europea, dell’Eurozona e dell’Alleanza atlantica, membro del G7 e, ancor prima di tutto questo, culla, insieme alla Grecia, della civiltà occidentale e del suo sistema di valori, fondato su libertà, uguaglianza e democrazia, frutti preziosi che scaturiscono dalle radici classiche e giudaico-cristiane dell’Europa.

Noi siamo gli eredi di San Benedetto, un italiano, patrono principale dell’intera Europa.

L’Europa. Permettetemi, parlando di Europa, innanzitutto di ringraziare i vertici delle istituzioni comunitarie, il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, la Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, la Presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, il Presidente di turno del Consiglio, il mio amico Petr Fiala e, con loro, i tanti Capi di Stato e di Governo che, in queste ore, mi hanno augurato buon lavoro.

Ovviamente, non mi sfugge la curiosità e l’interesse per la postura che il Governo terrà verso le istituzioni europee o, ancora meglio, vorrei dire dentro le istituzioni europee, perché quello è il luogo in cui l’Italia farà sentire forte la sua voce, come si conviene a una grande Nazione fondatrice.

Non per frenare o sabotare l’integrazione europea, come a volte ho sentito dire, anche in queste settimane, ma per contribuire a indirizzarla verso una maggiore efficacia nella risposta alle crisi e alle minacce esterne e verso un approccio più vicino ai cittadini e alle imprese. Noi, per intenderci, non concepiamo l’Unione europea come un circolo elitario, con soci di serie A e soci di serie B o, peggio, come una società per azioni e diretta da un consiglio d’amministrazione, con il solo compito di tenere i conti in ordine.

L’Unione europea per noi è la casa comune dei popoli europei e, come tale, deve essere in grado di fronteggiare le grandi sfide della nostra epoca, a partire da quelle che gli Stati membri difficilmente possono affrontare da soli.

Penso agli accordi commerciali certo, ma anche all’approvvigionamento di materie prime e di energia, alle politiche migratorie, alle scelte geopolitiche, alla lotta al terrorismo, grandi sfide di fronte alle quali non sempre l’Unione europea si è fatta trovare pronta. Perché, colleghi, come è stato possibile che un’integrazione che nasceva nel 1950, 70 anni orsono, come Comunità economica del carbone e dell’acciaio, a 70 anni di distanza si ritrovi, dopo aver allargato a dismisura le sue sfere di competenza, a essere maggiormente esposta proprio in tema di approvvigionamento energetico e di materie prime?

Chi si pone questi interrogativi non è un nemico o un eretico, ma un pragmatico, che non teme di dire quando qualcosa non funziona come potrebbe. Serve un’integrazione più efficace nell’affrontare le grandi sfide, nel rispetto di quel motto fondativo che recita: uniti nella diversità, perché è questa la grande peculiarità europea, Nazioni con storie millenarie, capaci di unirsi portando ciascuna la propria identità come valore aggiunto.

Una casa comune europea vuol dire certamente regole condivise anche in ambito economico-finanziario.

Questo Governo rispetterà le regole attualmente in vigore e, nel contempo, offrirà il suo contributo per cambiare quelle che non hanno funzionato, a partire dal dibattito in corso sulla riforma del Patto di stabilità e crescita. Per la sua forza e la sua storia, l’Italia ha il dovere, prima ancora che il diritto, di stare a testa alta in questi consessi internazionali, con spirito costruttivo, ma senza subalternità o complessi di inferiorità, come troppo spesso ci è parso che accadesse in passato, coniugando l’affermazione del proprio interesse nazionale con la consapevolezza di un destino comune europeo e occidentale.

L’Alleanza atlantica garantisce alle nostre democrazie un quadro di pace e sicurezza che troppo spesso diamo per scontato; è dovere dell’Italia contribuirvi pienamente, perché, ci piaccia o no, la libertà ha un costo e quel costo, per uno Stato, è la capacità che ha di difendersi e l’affidabilità che dimostra nel quadro delle alleanze di cui fa parte. L’Italia, negli anni, ha saputo dimostrarla, a partire dalle tante missioni internazionali delle quali siamo stati protagonisti, e voglio per questo ringraziare le donne e gli uomini delle nostre Forze armate per aver tenuto alto il prestigio dell’Italia nei contesti più difficili, anche a costo della propria vita: la Patria vi sarà sempre riconoscente!

L’Italia continuerà a essere partner affidabile in seno all’Alleanza atlantica, a partire dal sostegno al valoroso popolo ucraino che si oppone all’invasione della Federazione russa, non soltanto perché non possiamo accettare la guerra di aggressione e la violazione dell’integrità territoriale di una nazione sovrana, ma anche perché è il modo migliore di difendere il nostro interesse nazionale. Soltanto un’Italia che rispetta gli impegni può avere l’autorevolezza per chiedere, a livello europeo e occidentale, ad esempio, che gli oneri della crisi internazionale siano suddivisi in modo più equilibrato ed è quello che intendiamo fare, a partire dalla questione energetica.

La guerra ha aggravato la situazione già molto difficile causata dagli aumenti del costo dell’energia e dei carburanti, costi insostenibili per molte imprese che potrebbero essere costrette a chiudere e a licenziare i propri lavoratori e per milioni di famiglie che già oggi non sono più in grado di fare fronte al rincaro delle bollette.

Ma sbaglia chi crede che sia possibile barattare la libertà dell’Ucraina con la nostra tranquillità. Cedere al ricatto di Putin sull’energia non risolverebbe il problema, lo aggraverebbe, aprendo la strada a ulteriori pretese e ricatti, con futuri aumenti dell’energia ancora maggiori di quelli che abbiamo conosciuto in questi mesi. I segnali arrivati dall’ultimo Consiglio europeo rappresentano un passo avanti raggiunto anche grazie all’impegno del mio predecessore e del Ministro Cingolani, ma sono ancora insufficienti. L’assenza ancora oggi di una risposta comune lascia, come unico spazio, quello delle misure dei singoli Governi nazionali che rischiano di minare il mercato interno e la competitività delle nostre imprese.

Sul fronte dei prezzi, se, da un lato, è vero che il solo aver discusso di misure di contenimento ha frenato momentaneamente la speculazione, dall’altro, è evidente che, se non si darà rapidamente seguito agli annunci con meccanismi concreti, la speculazione ripartirà.

Anche per questo sarà necessario mantenere e rafforzare le misure nazionali a supporto di famiglie e imprese, sia sul versante delle bollette, sia su quello del carburante, un impegno finanziario imponente che drenerà gran parte delle risorse reperibili e ci costringerà a rinviare altri provvedimenti che avremmo voluto avviare già nella prossima legge di bilancio.

Ma la nostra priorità oggi deve essere mettere un argine al caro energia e accelerare, in ogni modo, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e la produzione nazionale, perché voglio credere che dal dramma della crisi energetica possa emergere, per paradosso, anche un’occasione per l’Italia.

I nostri mari possiedono giacimenti di gas che abbiamo il dovere di sfruttare appieno e la nostra Nazione, in particolare il Mezzogiorno, è il paradiso delle rinnovabili, con il suo sole, il vento, il calore della terra, le maree, i fiumi, un patrimonio di energia verde troppo spesso bloccato da burocrazia e veti incomprensibile.

Insomma sono convinta che l’Italia, con un po’ di coraggio e di spirito pratico, potrebbe uscire da questa crisi più forte e autonoma di prima.

Oltre al caro energia, le famiglie italiane si ritrovano a dover fronteggiare un livello di inflazione che ha raggiunto l’11,1 per cento su base annua e ne sta erodendo inesorabilmente il potere d’acquisto, nonostante una parte di questi aumenti sia stata assorbita dalle aziende.

È indispensabile intervenire con misure volte a crescere il reddito disponibile delle famiglie, partendo dalla riduzione delle imposte sui premi di produttività, dall’innalzamento ulteriore della soglia di esenzione dei cosiddetti fringe benefit, dal potenziamento del welfare aziendale, riuscendo ad allargare la platea dei beni primari che godono dell’IVA ridotta al 5 per cento. Misure concrete che affronteremo anche con la prossima legge di bilancio, sulla quale siamo già al lavoro.

Il contesto nel quale si troverà ad agire il Governo è un contesto molto complicato, forse il più difficile dal secondo dopoguerra ad oggi. Le tensioni geopolitiche e la crisi energetica frenano la speranza di una ripresa economica post-pandemia. Le previsioni macroeconomiche per il 2023 indicano un marcato rallentamento dell’economia italiana, europea e mondiale, in un clima per di più di assoluta incertezza. La Banca centrale europea, nel mese di settembre, ha rivisto le previsioni di crescita 2023 per l’area euro, con un taglio di ben 1,2 punti percentuali rispetto alle previsioni del mese di giugno, prevedendo una crescita di appena lo 0,9 per cento. Rallentamento e revisioni al ribasso che riguardano anche ovviamente l’andamento dell’economia italiana per il prossimo anno. Nell’ultima nota di aggiornamento al DEF, la previsione di crescita del PIL per il 2023 si ferma allo 0,6 per cento, esattamente un quarto del 2 virgola 4 per cento previsto nel Documento di economia e finanza di aprile e le previsioni del MEF sono addirittura ottimistiche rispetto a quelle più recenti del Fondo Monetario Internazionale, secondo le quali per l’economia italiana il 2023 sarà un anno di recessione: meno 0,2 per cento, il peggior risultato tra le principali economie mondiali dopo quello della Germania.

E non si tratta, purtroppo, di una congiuntura isolata, i dati sono chiari. Negli ultimi 20 anni l’Italia è cresciuta complessivamente del 4 per cento, mentre Francia e Germania di più del 20 per cento; negli ultimi 10 anni la nostra Nazione si è collocata negli ultimi posti in Europa per crescita economica e occupazionale, con la sola eccezione del rimbalzo registrato dopo il crollo del PIL nel 2020. Non a caso 10 anni durante i quali si sono succeduti Governi deboli, eterogenei, senza un chiaro mandato popolare, incapaci di risolvere le carenze strutturali di cui soffrono l’Italia e la sua economia e di porre le basi per una crescita sostenuta e duratura. Crescita bassa o nulla, quindi, accompagnata dall’impennata dell’inflazione che ha superato il 9 per cento nell’area euro e ha indotto la Banca centrale europea, al pari di altre banche centrali, per la prima volta dopo 11 anni, a rialzare i tassi di interesse. Una decisione da molti reputata azzardata e che rischia di ripercuotersi sul credito bancario a famiglie e imprese e che si somma a quella già assunta dalla stessa Banca centrale di porre fine a partire dal 1° luglio 2022 al programma di acquisto di titoli a reddito fisso sul mercato aperto, creando una difficoltà aggiuntiva a quegli Stati membri che, come il nostro, hanno un elevato debito pubblico.

Siamo dunque nel pieno di una tempesta. La nostra imbarcazione ha subito diversi danni e gli italiani hanno affidato a noi il compito di condurre la nave in porto in questa difficilissima traversata. Eravamo consapevoli di quello che ci aspettava, come lo sono tutte le altre forze politiche, anche quelle che, governando negli ultimi 10 anni, hanno portato – perché questo dicono i numeri – un peggioramento dei principali fondamentali macroeconomici, e oggi diranno ovviamente che hanno le ricette risolutive e sono pronte a imputare al nuovo Governo le difficoltà che l’Italia affronta. Eravamo consapevoli del macigno che ci stavamo caricando sulle spalle. Ci siamo battuti lo stesso per assumerci questa responsabilità perché, in primo luogo, non siamo persone abituate a scappare e, in secondo luogo, perché la nostra imbarcazione, l’Italia, con tutte le sue ammaccature, rimane «la nave più bella del mondo», per citare la celebre espressione che usò la portaerei americana Independence quando incontrò la nave scuola Amerigo Vespucci. Un’imbarcazione solida alla quale nessuna meta è preclusa se decide di riprendere il viaggio.

Allora noi siamo qui per tentare di ricucire le vele strappate, fissare le assi dello scafo, superare le onde che si infrangono su di noi, con la bussola delle nostre convinzioni a indicarci la rotta verso la meta prescelta e con un equipaggio che è capace di svolgere al meglio i propri compiti.

Ci è stato chiesto come intendiamo tranquillizzare gli investitori a fronte di un debito al 145 per cento del PIL, secondo in Europa soltanto a quello della Grecia. Potremmo rispondere citando alcuni fondamentali della nostra economia che rimangono solidi nonostante tutto: siamo tra le poche Nazioni europee in costante avanzo primario, vale a dire lo Stato spende meno di quanto incassa, al netto degli interessi sul debito; il risparmio privato delle famiglie italiane ha superato la soglia dei 5 mila miliardi di euro e in un clima di fiducia potrebbe sostenere gli investimenti nell’economia reale. Ma, ancor più di questi dati, già significativi, sono importanti le potenzialità ancora inespresse che ha l’Italia. Mi sento di dire che, se questo Governo riuscisse a fare ciò che ha in mente, scommettere sull’Italia potrebbe essere non solo un investimento sicuro, ma forse addirittura un buon affare, perché l’orizzonte al quale vogliamo guardare non è il prossimo anno o la prossima scadenza elettorale.

Quello che ci interessa è come sarà l’Italia tra 10 anni, e sono pronta a fare quello che va fatto, a costo di non essere compresa, a costo perfino di non venire rieletta, per essere certa di avere reso con il mio e il nostro lavoro il futuro di questa Nazione più agevole.

La strada per ridurre il debito non è la cieca austerità imposta negli anni passati e non sono neppure gli avventurismi finanziari più o meno creativi. La strada maestra, l’unica possibile, è la crescita economica, duratura e strutturale. E per conseguirla siamo naturalmente aperti a favorire gli investimenti esteri: se, da un lato, contrasteremo logiche predatorie che mettano a rischio le produzioni strategiche nazionali, dall’altro, saremo aperti ad accogliere e stimolare quelle imprese straniere che sceglieranno di investire in Italia, portando sviluppo, occupazione e know-how, in una logica di benefìci reciproci.

In questo contesto si inserisce il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Fondi raccolti con l’emissione di debito comune europeo per fronteggiare crisi di portata globale. Una proposta avanzata a suo tempo dal Governo di centrodestra, con l’allora Ministro Giulio Tremonti, per anni avversata, talvolta derisa, poi attuata.

Il PNRR è un’opportunità straordinaria di ammodernare l’Italia: abbiamo tutti il dovere di sfruttarla al meglio. La sfida è complessa a causa dei limiti strutturali e burocratici che da sempre rendono difficoltoso per l’Italia riuscire ad utilizzare interamente persino i fondi europei della programmazione ordinaria. Basti pensare che la Nota di aggiornamento al DEF 2022 ha ridotto la spesa pubblica attivata dal PNRR a 15 miliardi rispetto ai 29,4 previsti nel DEF dell’aprile scorso.

Il rispetto delle scadenze future richiederà ancor più attenzione, considerato che finora si sono per lo più rendicontate opere già avviate in passato, cosa che non si potrà continuare a fare nei prossimi anni. Spenderemo al meglio i 68,9 miliardi a fondo perduto e i 122,6 miliardi concessi a prestito all’Italia dal Next Generation EU, senza ritardi e senza sprechi, concordando con la Commissione europea gli aggiustamenti necessari per ottimizzare la spesa, alla luce soprattutto del rincaro dei prezzi delle materie prime e della crisi energetica, perché queste materie si affrontano con un approccio pragmatico e non con un approccio ideologico.

Il PNRR non si deve intendere soltanto come un grande piano di spesa pubblica, ma come l’opportunità di compiere una vera svolta culturale: archiviare finalmente la logica dei bonus, per alcuni, utili spesso soprattutto alle campagne elettorali, in favore di investimenti di medio termine destinati al benessere dell’intera comunità nazionale; rimuovere tutti gli ostacoli che frenano la crescita economica e che da troppo tempo ci siamo rassegnati a considerare mali endemici dell’Italia, ma non lo sono.

Uno di questi è certamente l’instabilità politica. Negli ultimi 20 anni l’Italia ha avuto, in media, un Governo ogni due anni, cambiando spesso anche la maggioranza di riferimento. È la ragione per la quale i provvedimenti che garantivano sicuro e immediato consenso hanno sempre avuto la meglio sulle scelte strategiche. È la ragione per la quale le burocrazie sono spesso diventate intoccabili e impermeabili al merito. È la ragione per la quale la capacità negoziale dell’Italia nei consessi internazionali è stata debole. Ed è la ragione per la quale gli investimenti stranieri, che mal sopportano la mutevolezza dei Governi, sono stati scoraggiati.

È la ragione per la quale siamo fermamente convinti del fatto che l’Italia abbia bisogno di una riforma costituzionale in senso presidenziale, che garantisca stabilità e restituisca centralità alla sovranità popolare. Una riforma che consenta all’Italia di passare da una «democrazia interloquente» a una «democrazia decidente». Vogliamo partire dall’ipotesi di un semipresidenzialismo sul modello francese, che in passato aveva ottenuto un ampio gradimento anche da parte del centrosinistra, ma rimaniamo aperti anche ad altre soluzioni.

Vogliamo confrontarci su questo con tutte le forze politiche presenti in Parlamento, per arrivare alla riforma migliore e più condivisa possibile. Ma sia chiaro che non rinunceremo a riformare l’Italia se ci trovassimo di fronte opposizioni pregiudiziali. In questo caso noi ci muoveremo secondo il mandato che ci è stato conferito su questo tema dagli italiani: dare all’Italia un sistema istituzionale nel quale chi vince governa per cinque anni e alla fine viene giudicato dagli elettori per quello che è riuscito a fare.

Parallelamente alla riforma presidenziale, intendiamo dare seguito al processo virtuoso di autonomia differenziata già avviato da diverse regioni italiane secondo il dettato costituzionale e in attuazione dei principi di sussidiarietà e solidarietà, in un quadro di coesione nazionale.

Per la provincia di Bolzano tratteremo del ripristino degli standard di autonomia che nel 1992 hanno portato al rilascio della quietanza liberatoria ONU. È nostra intenzione completare il processo per dare a Roma Capitale i poteri e le risorse che competono a una grande capitale europea e dare nuova centralità ai nostri comuni. Perché ogni campanile, ogni borgo è un pezzo della nostra identità da difendere. Penso in particolare a quelli che si trovano nelle aree interne, nelle zone montane e nelle terre alte, che hanno bisogno di uno Stato alleato per favorire la residenzialità e combattere lo spopolamento.

Sono convinta che questa svolta che abbiamo in mente sia anche l’occasione migliore per tornare a porre al centro dell’agenda Italia la questione meridionale. Il Sud non più visto come un problema, ma come un’occasione di sviluppo per tutta la Nazione. Lavoreremo sodo per colmare un divario infrastrutturale inaccettabile, eliminare le disparità, creare occupazione, garantire la sicurezza sociale e migliorare la qualità della vita. Dobbiamo riuscire a porre fine a quella beffa per cui il Sud esporta manodopera, intelligenze e capitali che sono invece fondamentali proprio in quelle regioni dalle quali vanno via. Non è un obiettivo facile, ovviamente, ma il nostro impegno su questo sarà totale.

E se le infrastrutture al Sud non sono più rinviabili, anche nel resto d’Italia è necessario realizzarne di nuove, per potenziare i collegamenti di persone e merci, ma anche di dati e comunicazioni. Con l’obiettivo di ricucire non solo il Nord al Sud, ma anche la costa tirrenica, la costa adriatica e le isole al resto della Penisola.

Servono investimenti strutturali per affrontare l’emergenza climatica, le sfide ambientali, il rischio idrogeologico e l’erosione costiera, e per accelerare i processi di ricostruzione dei territori colpiti in questi anni da terremoti e calamità naturali, come la drammatica alluvione che nella notte tra il 15 e il 16 settembre ha sconvolto la regione Marche. Consentitemi, insieme a tutti voi, di rinnovare qui il cordoglio per le vittime e la vicinanza a tutta la comunità: siamo al vostro fianco, non vi abbandoneremo, contate su di noi.

Intendiamo tutelare le infrastrutture strategiche nazionali assicurando la proprietà pubblica delle reti, sulle quali le aziende potranno offrire servizi in regime di libera concorrenza, a partire da quella delle comunicazioni. La transizione digitale, fortemente sostenuta dal PNRR, deve accompagnarsi alla sovranità tecnologica, al cloud nazionale e alla cyber-security. E vogliamo finalmente introdurre una clausola di salvaguardia dell’interesse nazionale, anche sotto l’aspetto economico, per le concessioni di infrastrutture pubbliche, come autostrade e aeroporti. Perché il modello degli oligarchi seduti su pozzi di petrolio ad accumulare miliardi senza neanche assicurare investimenti non è un modello di libero mercato degno di una democrazia occidentale.

L’Italia deve tornare ad avere una politica industriale, puntando su quei settori nei quali può contare su un vantaggio competitivo. Penso al marchio, fatto di moda, lusso, design, fino all’alta tecnologia. Fatto di prodotti di assoluta eccellenza in campo agroalimentare, che devono essere difesi in sede europea e con una maggiore integrazione della filiera a livello nazionale, anche per ambire a una piena sovranità alimentare non più rinviabile. Che non significa, ovviamente, mettere fuori commercio l’ananas, come qualcuno ha detto, ma più banalmente garantire che non dipenderemo da Nazioni distanti da noi per dare da mangiare ai nostri figli.

Penso alla favorevole posizione dell’Italia nel Mediterraneo e alle opportunità legate all’economia del mare, che può e deve diventare un asset strategico per l’Italia intera e in particolare per lo sviluppo del meridione. E penso alla bellezza. Sì, perché l’Italia è la Nazione che più di ogni altra al mondo racchiude l’idea di bellezza paesaggistica, artistica, narrativa, espressiva. Tutto il mondo lo sa, ci ama per questo e per questo vuole comprare italiano, conoscere la nostra storia e venire in vacanza da noi. È un orgoglio certo, ma soprattutto è una risorsa economica di valore inestimabile, che alimenta la nostra industria turistica e culturale. E aggiungo che tornare a puntare sul valore strategico dell’italianità vuol dire anche promuovere la lingua italiana all’estero e valorizzare il legame con le comunità italiane presenti in ogni parte del mondo che sono parte integrante della nostra.

Perché tutti gli obiettivi di crescita possano essere raggiunti serve una rivoluzione culturale nel rapporto tra Stato e sistema produttivo, che deve essere paritetico e di reciproca fiducia. Chi oggi ha la forza e la volontà di fare impresa in Italia va sostenuto e agevolato, non vessato e guardato con sospetto, perché la ricchezza la creano le aziende con i loro lavoratori, non lo Stato con decreti o editti.

Il motto di questo Governo sarà: «non disturbare chi vuole fare». Le imprese chiedono soprattutto meno burocrazia, regole chiare e certe, risposte celeri e trasparenti. Affronteremo il problema partendo da una strutturale semplificazione e deregolamentazione dei procedimenti amministrativi per dare stimolo all’economia, alla crescita e agli investimenti, anche perché tutti sappiamo quanto l’eccesso normativo, burocratico e regolamentare aumenti esponenzialmente il rischio di irregolarità, contenziosi e corruzione. Un male che abbiamo il dovere di estirpare.

Abbiamo bisogno di meno regole, più chiare per tutti e di un nuovo rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, perché il cittadino non si senta parte debole di fronte a uno Stato tiranno che non ne ascolta le esigenze e ne frustra le aspettative.

Da questa rivoluzione copernicana dovrà nascere un nuovo patto fiscale che poggerà su tre pilastri. Il primo: ridurre la pressione fiscale su imprese e famiglie attraverso una riforma all’insegna dell’equità; penso, ad esempio, alla progressiva introduzione del quoziente familiare, ma penso anche all’estensione della tassa piatta per le partite IVA dagli attuali 65 mila euro a 100 mila euro di fatturato.

Accanto a questa, partire per una tassa piatta, dall’introduzione della tassa piatta sull’incremento di reddito rispetto al massimo raggiunto nel triennio precedente: una misura virtuosa con limitato impatto per le casse dello Stato che può essere un forte incentivo alla crescita.

Il secondo pilastro: una tregua fiscale per consentire a cittadini e imprese, in particolare PMI, in difficoltà di regolarizzare la propria posizione con il fisco.

In ultimo, una serrata lotta all’evasione che deve partire da evasori totali, grandi imprese e grandi frodi sull’IVA, e soprattutto deve essere vera lotta all’evasione, non caccia al gettito.

È la ragione per la quale intendiamo partire da una modifica dei criteri di valutazione dei risultati dell’Agenzia delle entrate, che vogliamo ancorare agli importi effettivamente incassati e non alle semplici contestazioni, come incredibilmente è avvenuto finora.

Imprese e lavoratori chiedono da tempo come priorità non rinviabile la riduzione del cuneo fiscale e contributivo. L’eccessivo carico fiscale sul lavoro è uno dei principali ostacoli alla creazione di nuova occupazione e alla competitività delle nostre imprese sui mercati internazionali. L’obiettivo che ci diamo è intervenire gradualmente per arrivare a un taglio di almeno cinque punti del cuneo in favore di imprese e lavoratori per alleggerire il carico fiscale delle prime e aumentare le buste paga dei secondi. Per incentivare le aziende ad assumere abbiamo in mente un meccanismo fiscale che premi le attività ad alta densità di lavoro – «più assumi meno paghi», lo avevamo sintetizzato – ma ovviamente questo non deve far venir meno il necessario sostegno all’innovazione tecnologica.

Parlando di impresa e di lavoro, il pensiero va alle decine di tavoli di crisi ancora aperti, a cui dedicheremo il massimo impegno, e a quelle migliaia di lavoratori autonomi che non si sono più rialzati dopo la pandemia. A loro, che sono stati spesso ingiustamente trattati come figli di un Dio minore, vogliamo riconoscere tutele adeguate, in linea con quelle giustamente garantite ai lavoratori dipendenti, perché siamo sempre stati al fianco di quei quasi 5 milioni di lavoratori autonomi, tra artigiani, commercianti e liberi professionisti, che costituiscono un asse portante dell’economia italiana e non smetteremo ora.

Per noi, un lavoratore è un lavoratore.

Le tutele adeguate vanno riconosciute anche a chi, dopo una vita di lavoro, va in pensione o vorrebbe andarci. Intendiamo facilitare la flessibilità in uscita con meccanismi compatibili con la tenuta del sistema previdenziale partendo, nel poco tempo a disposizione per la prossima legge di bilancio, dal rinnovo delle misure in scadenza a fine anno, ma la priorità per il futuro dovrà essere un sistema pensionistico che garantisca anche le giovani generazioni e chi percepirà l’assegno solo in base al regime contributivo, perché è una bomba sociale che noi continuiamo a ignorare, ma che in futuro investirà milioni di attuali lavoratori che si ritroveranno con assegni addirittura molto più bassi di quelli, già inadeguati, che vengono percepiti oggi.

C’è un tema di povertà dilagante che noi non possiamo ignorare. Sua Santità Papa Francesco, a cui rivolgo un affettuoso saluto, ha di recente ribadito un concetto importante: «La povertà – ha detto – non si combatte con l’assistenzialismo, la porta della dignità di un uomo è il lavoro». È una verità profonda che soltanto chi la povertà l’ha conosciuta da vicino può apprezzare davvero. È questa la strada che intendiamo percorrere; vogliamo mantenere e laddove è possibile migliorare il doveroso sostegno economico per i soggetti effettivamente fragili non in condizioni di lavorare: penso ai pensionati in difficoltà, agli invalidi, a cui va aumentato in ogni modo il grado di tutela, e anche a chi privo di reddito ha figli minori di cui farsi carico. A loro non sarà negato il doveroso aiuto dello Stato, ma per gli altri, per chi è in grado di lavorare, la soluzione non può essere il reddito di cittadinanza, ma il lavoro, la formazione e l’accompagnamento al lavoro, anche sfruttando appieno le risorse e le possibilità messe a disposizione dal Fondo sociale europeo, perché per come è stato pensato e realizzato il reddito di cittadinanza ha rappresentato una sconfitta per chi era in grado di fare la sua parte per l’Italia, oltre che per se stesso e per la sua famiglia.

E se sul reddito di cittadinanza in quest’Aula esistono posizioni diversificate, sono certa che tutti concordiamo sull’importanza di porre fine alla tragedia degli incidenti, anche mortali, sul lavoro. Il tema, qui, non è introdurre nuove norme, ma piuttosto garantire la piena attuazione di quelle che esistono, perché come ha ricordato anche il sindacato, da ultimo con la manifestazione di sabato scorso, non possiamo accettare che un ragazzo di 18 anni come Giuliano De Seta – e cito lui per ricordare tutte le vittime – esca di casa per andare al lavoro e non vi faccia mai più ritorno.

Serve colmare il grande divario esistente tra formazione e competenze richieste dal mercato del lavoro con percorsi formativi specifici, certamente, ma ancora prima grazie a una formazione scolastica e universitaria più attenta alle dinamiche del mercato del lavoro.

L’istruzione è il più formidabile strumento per aumentare la ricchezza di una Nazione, sotto tutti i punti di vista, perché il capitale materiale non è niente se non c’è anche il capitale umano. Per questo la scuola e l’università torneranno centrali nell’azione di Governo, perché rappresentano una risorsa strategica fondamentale per l’Italia, per il suo futuro e per i suoi giovani. Si è polemizzato sulla nostra scelta di rilanciare la correlazione tra istruzione e merito. Rimango francamente colpita. Diversi studi dimostrano come, oggi, chi vive in una famiglia agiata abbia una chance in più per recuperare le lacune di un sistema scolastico appiattito al ribasso, mentre gli studenti dotati di minori risorse vengono danneggiati da un insegnamento che non dovesse premiare il merito, perché quelle lacune non le colmerà nessun altro.

L’Italia non è un Paese per giovani. La nostra società nel tempo si è sempre più disinteressata del loro futuro, persino del diffuso fenomeno di quei giovani che si autoescludono dal circuito formativo e lavorativo, così come della crescente emergenza delle devianze, fatte di droga, alcolismo, criminalità. E la pandemia ha decisamente peggiorato questa condizione e, di fronte a questo scenario preoccupante, la proposta principe di certa politica in questi mesi è stata promettere a tutti la cannabis libera, perché era la risposta più facile. Ma noi, a differenza di altri, non siamo qui per fare la cosa più facile. Intendiamo: lavorare sulla crescita dei giovani a 360 gradi, promuovere le attività artistiche e culturali e, accanto a queste, lo sport, straordinario strumento di socialità, di formazione umana e di benessere; lavorare sulla formazione scolastica, per lo più affidata all’abnegazione e al talento dei nostri insegnanti, spesso lasciati soli a nuotare in un mare di carenze strutturali, tecnologiche e motivazionali; garantire salari e tutele decenti, borse di studio per i meritevoli; favorire la cultura di impresa e il prestito d’onore. Lo dobbiamo a questi ragazzi, ai quali abbiamo tolto tutto per lasciar loro solo debiti da ripagare. E lo dobbiamo all’Italia, che 161 anni fa è stata unificata dai giovani eroi del Risorgimento e che oggi, dall’entusiasmo e dal coraggio dei suoi giovani, può e deve essere ricostruita.

Sappiamo che ai giovani sta particolarmente a cuore la difesa dell’ambiente naturale. Ce ne faremo carico, perché, come ebbe a scrivere Roger Scruton, uno dei più grandi maestri del pensiero conservatore europeo, «l’ecologia è l’esempio più vivo dell’alleanza tra chi c’è, chi c’è stato e chi verrà dopo di noi». Proteggere il nostro patrimonio naturale ci impegna esattamente, come la tutela del patrimonio di cultura, tradizioni e spiritualità, che abbiamo ereditato dai nostri padri perché lo potessimo trasmettere ai nostri figli. Non c’è un ecologista più convinto di un conservatore; ma quello che ci distingue da certo ambientalismo ideologico è che noi vogliamo difendere la natura con l’uomo dentro, coniugando sostenibilità ambientale, economica e sociale.

Accompagnare le imprese e i cittadini verso la transizione verde, senza consegnarci a nuove dipendenze strategiche e rispettando il principio di neutralità tecnologica: sarà questo il nostro approccio.

Io penso di conoscere abbastanza bene l’universo dell’impegno giovanile, una palestra di vita meravigliosa, indipendentemente dalle idee politiche che si sceglie di difendere e promuovere. Confesso che difficilmente riuscirò a non provare un moto di simpatia anche per coloro che scenderanno in piazza per contestare le politiche del nostro Governo, perché inevitabilmente tornerà nella mia mente una storia che è stata anche la mia. Io ho partecipato a tantissime manifestazioni, ho organizzato tantissime manifestazioni nella mia vita, e penso che ciò mi abbia insegnato molto più di quanto non mi abbiano insegnato molte altre cose. Quindi, voglio parlare a questi ragazzi che inevitabilmente scenderanno in piazza anche contro di noi.

Ricordo una frase di Steve Jobs, che diceva: «Siate affamati, siate folli». Vorrei aggiungere anche: «Siate liberi», perché è nel libero arbitrio la grandezza dell’essere umano.

C’è poi un’altra istituzione formativa importante, accanto a scuola e università, forse la più importante di tutte, ed è ovviamente la famiglia, nucleo primario delle nostre società, culla degli affetti e luogo nel quale si forma l’identità di ognuno di noi; intendiamo sostenerla e tutelarla e, con questa, sostenere la natalità, che nel 2021 ha registrato il tasso di nascite più basso dall’Unità d’Italia a oggi; per uscire dalla glaciazione demografica e tornare a produrre quegli anni di futuro, quel PIL demografico di cui abbiamo bisogno serve un piano imponente, economico ma anche culturale, per riscoprire la bellezza della genitorialità e rimettere la famiglia al centro della società.

È, allora, un nostro impegno, preso anche in campagna elettorale, quello di aumentare gli importi dell’assegno unico universale e aiutare le giovani coppie a ottenere un mutuo per la prima casa, lavorando progressivamente anche per l’introduzione del quoziente familiare e, visto che i progetti familiari vanno di pari passo con il lavoro, vogliamo incentivare in ogni modo l’occupazione femminile , premiando quelle aziende che adottano politiche che offrono soluzioni efficaci per conciliare i tempi casa-lavoro e sostenendo i comuni per garantire asili nido gratuiti e aperti fino all’orario di chiusura dei negozi e degli uffici.

L’Italia ha bisogno di una nuova alleanza intergenerazionale, che abbia nella famiglia il suo pilastro e rafforzi il legame che unisce le generazioni, i figli con i nonni, i giovani con gli anziani, che vanno, a loro volta, protetti valorizzati e sostenuti, perché rappresentano le nostre radici e la nostra storia. Diceva Montesquieu che «la libertà è quel bene che fa godere di ogni altro bene».

La libertà è il fondamento di una vera società delle opportunità, è la libertà che deve guidare il nostro agire, libertà di essere, di fare, di produrre. Un Governo di centrodestra non limiterà mai le libertà esistenti di cittadini e imprese.

Vedremo, alla prova dei fatti, anche su diritti civili e aborto, chi mentiva e chi diceva la verità in campagna elettorale su quali fossero le nostre reali intenzioni.

Libertà, libertà. Libertà e democrazia sono gli elementi distintivi della civiltà europea contemporanea, nei quali da sempre mi riconosco e, dunque, anche qui, a dispetto di quello che strumentalmente si è sostenuto, non ho mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici; per nessun regime, fascismo compreso, esattamente come ho sempre reputato le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre.

I totalitarismi del Novecento hanno dilaniato l’intera Europa, non solo l’Italia, per più di mezzo secolo, in una successione di orrori che ha investito gran parte degli Stati europei e l’orrore e i crimini, da chiunque vengano compiuti, non meritano giustificazioni di sorta e non si compensano con altri orrori e altri crimini; nell’abisso non si pareggiano mai i conti: si precipita e basta.

Ho conosciuto giovanissima il profumo della libertà, l’ansia per la verità storica e il rigetto per qualsiasi forma di sopruso o discriminazione proprio militando nella destra democratica italiana, una comunità di uomini e donne che ha sempre agito alla luce del sole e a pieno titolo nelle nostre istituzioni repubblicane, anche negli anni più bui della criminalizzazione e della violenza politica, quando, nel nome dell’antifascismo militante, ragazzi innocenti venivano uccisi a colpi di chiave inglese. Quella lunga stagione di lutti ha perpetuato l’odio della guerra civile, allontanato una pacificazione nazionale che proprio la destra democratica italiana, più di ogni altro, da sempre auspica. Da allora, la comunità politica da cui provengo ha compiuto sempre passi in avanti, verso una piena e consapevole storicizzazione del Novecento, ha assunto importanti responsabilità di Governo, giurando sulla Costituzione repubblicana, come abbiamo avuto l’onore di fare ancora poche ore fa. Ha affermato e incarnato, senza alcuna ambiguità, i valori della democrazia liberale, che sono la base dell’identità comune del centrodestra italiano e da cui non defletteremo un solo centimetro. Combatteremo qualsiasi forma di razzismo, antisemitismo, violenza politica e discriminazione.

E di libertà molto si è discusso in epoca di pandemia. Il COVID è entrato nelle nostre vite quasi tre anni fa e ha portato la morte di oltre 177 mila persone in Italia. Se siamo usciti al momento dall’emergenza è soprattutto merito del personale sanitario, della professionalità e dell’abnegazione con le quali ha salvato migliaia di vite umane. A loro, ancora una volta, va la nostra gratitudine. E con loro il mio ringraziamento va ai lavoratori dei servizi essenziali, che non si sono mai fermati, e alla straordinaria realtà del nostro Terzo settore, rappresentante virtuoso di quei corpi intermedi che consideriamo vitali per la società.

Purtroppo, non possiamo escludere una nuova ondata di COVID o l’insorgere in futuro di una nuova pandemia, ma possiamo imparare dal passato per farci trovare pronti. L’Italia ha adottato le misure più restrittive dell’intero Occidente, arrivando a limitare fortemente le libertà fondamentali di persone e attività economiche; nonostante questo, è tra gli Stati che hanno registrato i peggiori dati in termini di mortalità e contagi. Qualcosa decisamente non ha funzionato e, dunque, voglio dire, fin d’ora, che non replicheremo in nessun caso quel modello.

L’informazione corretta, la prevenzione e la responsabilizzazione sono più efficaci della coercizione in tutti gli ambiti e l’ascolto dei medici sul campo è più prezioso delle linee guida scritte da qualche burocrate quando si ha a che fare con pazienti in carne ed ossa. Soprattutto, se si chiede responsabilità ai cittadini, i primi a doverla dimostrare sono coloro che la chiedono. Occorrerà fare chiarezza su quanto avvenuto durante la gestione della crisi pandemica: lo si deve a chi ha perso la vita e a chi non si è risparmiato nelle corsie degli ospedali, mentre altri facevano affari milionari con la compravendita di mascherine e respiratori.

La legalità sarà la stella polare dell’azione di Governo. Io ho iniziato a fare politica a 15 anni, come ormai molti sanno, all’indomani della strage di via D’Amelio, nella quale la mafia uccise il giudice Paolo Borsellino. Ho cominciato a fare politica allora spinta dall’idea che non si potesse rimanere a guardare, che la rabbia e l’indignazione andassero in qualche modo tradotte in impegno civico. Il percorso che mi ha portato oggi a essere Presidente del Consiglio italiano nasce dall’esempio di quell’eroe. Quando, dopo aver letto la lista dei Ministri, sono venuta a trovare il Presidente Fontana, un paio di giorni fa, sono entrata a Montecitorio e, quando ho trovato, all’inizio dello scalone e alla fine dello scalone, una foto di Paolo Borsellino, ho pensato che si chiudesse un cerchio.

Affronteremo il cancro mafioso a testa alta, come ci hanno insegnato i tanti eroi che con il loro coraggio hanno dato l’esempio a tutti gli italiani, rifiutandosi di girare lo sguardo o di scappare anche quando sapevano che quella tenacia probabilmente li avrebbe condotti alla morte. Magistrati, politici, agenti di scorta, militari, semplici cittadini, sacerdoti; giganti come Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rosario Livatino, Rocco Chinnici, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Piersanti Mattarella, Emanuela Loi, Libero Grassi, Don Pino Puglisi, e con loro un lunghissimo elenco di uomini e donne che non dimenticheremo.

La lotta alla mafia ci troverà in prima linea, da questo Governo criminali e mafiosi avranno solo disprezzo e inflessibilità.

E legalità vuol dire anche una giustizia che funzioni, con un’effettiva parità tra accusa e difesa e una durata ragionevole dei processi, che non è solo una questione di civiltà giuridica e di rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini, ma anche di crescita economica. La lentezza della giustizia ci costa almeno un punto di PIL l’anno secondo le stime di Bankitalia. Lavoreremo per restituire ai cittadini la garanzia di vivere in una Nazione sicura, rimettendo al centro il principio fondamentale della certezza della pena, grazie anche a un nuovo piano carceri. Dall’inizio di quest’anno sono stati 71 i suicidi in carcere. Non è degno di una Nazione civile, come indegne sono spesso le condizioni di lavoro dei nostri agenti di Polizia penitenziaria.

Con la stessa determinazione rivedremo anche la riforma dell’ordinamento giudiziario per mettere fine alle logiche correntizie che minano la credibilità della magistratura italiana. E permettetemi di dire un’altra cosa: noi abbiamo assunto l’impegno di limitare l’eccesso di discrezionalità nella giustizia minorile con procedure di affidamento e di adozione garantite e oggettive perché non ci siano mai più casi Bibbiano.

Intendiamo portare a termine questo impegno. Gli italiani avvertono il peso insopportabile di città insicure, in cui non c’è tutela immediata, in cui si percepisce l’assenza dello Stato. Vogliamo prendere l’impegno di riavvicinare i cittadini alle istituzioni, ma anche di riportare in ogni città la presenza fisica dello Stato. Vogliamo fare della sicurezza un dato distintivo di questo Esecutivo, al fianco delle nostre Forze dell’ordine, che voglio ringraziare oggi qui per l’abnegazione con la quale svolgono il proprio lavoro, in condizioni spesso impossibili e con uno Stato che a volte ha dato l’impressione di essere più solidale con chi minava la nostra sicurezza di quanto lo fosse con chi invece quella sicurezza rischiava la vita per garantirla. Sicurezza e legalità, certo, riguardano anche una corretta gestione dei flussi migratori. Secondo un principio semplice: in Italia, come in qualsiasi altro Stato serio, non si entra illegalmente; si entra legalmente attraverso i decreti flussi. In questi anni di terribile incapacità nel trovare le giuste soluzioni alle diverse crisi migratorie, troppi uomini, donne e bambini hanno trovato la morte in mare nel tentativo di arrivare in Italia. Troppe volte abbiamo detto «mai più», per poi ripeterlo ancora e ancora. Questo Governo vuole quindi perseguire una strada poco percorsa fino ad oggi: fermare le partenze illegali, spezzando finalmente il traffico di esseri umani nel Mediterraneo. La nostra intenzione è sempre la stessa, ma, se non volete che si parli di blocco navale, lo dico così: è nostra intenzione recuperare la proposta originaria della missione navale Sophia dell’Unione europea, che nella terza fase, prevista e mai attuata, prevedeva proprio il blocco delle partenze dei barconi dal Nordafrica. Intendiamo proporlo in sede europea, attuarlo in accordo con le autorità del Nordafrica, accompagnato dalla creazione sui territori africani di hotspot, gestiti da organizzazioni internazionali, dove poter vagliare le richieste di asilo e distinguere chi ha diritto a essere accolto in Europa da chi quel diritto non ce l’ha, perché non intendiamo in alcun modo mettere in discussione il diritto di asilo per chi fugge da guerre e persecuzioni. Tutto quello che noi vogliamo fare in rapporto al tema dell’immigrazione è impedire che la selezione di ingresso in Italia la facciano gli scafisti.

E allora mancherà un’ultima cosa da fare, forse la più importante: rimuovere le cause che portano i migranti, soprattutto i più giovani, ad abbandonare la propria terra, le proprie radici culturali e la propria famiglia per cercare una vita migliore in Europa. Il prossimo 27 ottobre ricorrerà il sessantesimo anniversario della morte di Enrico Mattei, un grande italiano che fu tra gli artefici della ricostruzione postbellica, capace di stringere accordi di reciproca convenienza con Nazioni di tutto il mondo. Ecco, credo che l’Italia debba farsi promotrice di un “piano Mattei” per l’Africa, un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione europea e Nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area subsahariana. E ci piacerebbe così recuperare finalmente, dopo anni in cui si è preferito indietreggiare, il ruolo strategico che l’Italia ha nel Mediterraneo.

Mi avvio a concludere, colleghi, ringraziandovi ovviamente per la pazienza. Non sarà una navigazione facile, quella del Governo che si appresta a chiedere la fiducia al Parlamento, per la gravosità delle scelte che saremo chiamati ad affrontare, ma anche per, diciamo così, un pregiudizio politico, che spesso colgo nelle analisi che ci riguardano. Credo però che, in parte, sia giustificato, in fondo io sono la prima donna che arriva alla Presidenza del Consiglio, vengo da una storia politica che è stata spesso relegata ai margini nella storia repubblicana e non ci arrivo tra le braccia di un contesto familiare favorevole o grazie a amicizie importanti; sono quello che gli inglesi definirebbero un underdog, diciamo così, lo sfavorito, quello che, per riuscire, deve stravolgere tutti i pronostici.

È quello che intendo fare ancora, stravolgere i pronostici, con l’aiuto di una valida squadra di Ministri e sottosegretari, con la fiducia e il sostegno di chi sceglierà di votare per noi, con le critiche che arriveranno da chi voterà contro questo Governo, perché, alla fine di questa avventura, a me interesserà una cosa sola: sapere che abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare per dare agli italiani una Nazione migliore.

A volte riusciremo, a volte falliremo, ma state certi che non indietreggeremo, non getteremo la spugna, non tradiremo.

Nel giorno in cui il nostro Governo ha giurato nelle mani del Capo dello Stato ricorreva la memoria liturgica di Giovanni Paolo II, un Pontefice, uno statista, un Santo che io ho avuto l’onore di conoscere personalmente. Mi ha insegnato una cosa fondamentale della quale io ho sempre fatto tesoro. «La libertà – diceva – non consiste nel fare ciò che ci piace, ma nell’avere il diritto di fare ciò che si deve».

Io sono sempre stata una persona libera, sarò sempre una persona libera e, per questo, intendo fare esattamente quello che devo. Grazie.

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