“Sono il presidente, non userò la”: lo schiaffo di Giorgia Meloni alle devianze femministe

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Giorgia Meloni chiarisce che si farà chiamare “il presidente, non la”: dal primo premier donna della storia d’Italia uno schiaffo culturale e morale alle devianze linguistiche del femminismo di facciata

Fosse sventuratamente stata Laura Boldrini, si sarebbe chiamata “Presidenta” in piena coerenza con l’ignorante delirio grammaticale di “Sindaca“, “Assessora“, “Avvocata” che da anni dilaga tra le donne della sinistra che, evidentemente incapaci di imporsi per merito sui contenuti, hanno spostato le loro battaglie sui meri formalismi. Prima erano le quote rosa, poi i titoli professionali storpiati con la “a” finale forzata anche laddove sono neutri.

Ma per fortuna il primo Presidente del Consiglio donna della Storia d’Italia è arrivato da destra, così ci risparmieremo la barbarie di un orribile “Presidenta” che saremmo stati costretti a sentire se analogo traguardo fosse stato raggiunto da sinistra, con tanto di successivo ok da parte di un’Accademia della Crusca ormai sempre meno a difesa della lingua italiana e sempre più nella trincea di fantomatiche battaglie culturali che diventano linguistiche.

Giorgia Meloni ha dato uno schiaffo a questo femminismo di facciata chiarendo che lei sarà “il presidente” e si definirà così, in piena coerenza con la lingua italiana che non prevede che il termine “presidente” (così come “sindaco“, “assessore“, “avvocato“, “direttore“, “autore“, “ingegnere“, “architetto“, “curatore“) sia riferito ad una figura di sesso maschile, ma al contrario è neutro e si deve usare tanto per gli uomini quanto per le donne che ricoprono quel ruolo. Non solo Giorgia non sarà “Presidenta“, ma ci risparmierà anche l’obbrobrioso “la presidente“, come in molti l’avevano già definita in questi giorni sulla stampa e in tv calpestando la grammatica italiana che prevede la concordanza tra l’articolo e il sostantivo. Forte dei propri successi ottenuti per pieno merito, e consapevole che le battaglie si fanno sui contenuti e non sulla facciata, Giorgia Meloni difende così la lingua italiana e la cultura della meritocrazia, della serietà e della professionalità: “sono il presidente“, ha chiarito il premier, richiamando quello che un’altra grande donna di destra come Beatrice Venezi ha ribadito nel 2021 a Sanremo rivendicando con orgoglio il proprio titolo di “direttore d’orchestra, non direttrice“.

In fondo è qualcosa che dovrebbe essere banale e scontato: la “cancel culture” ha portato negli ultimi anni anche a questo ridicolo revisionismo linguistico che prevede le storpiature dei termini corretti con inutili forzature femminili anche laddove sono neutro. Per far capire il livello del raccapriccio, è come se un uomo che faccia il camionista, o il giornalista, o l’astronauta, o il ciclista, o il geometra, o il commercialista, pretendesse di farsi chiamare “camionisto“, o “giornalisto“, o “astronauto“, o “ciclisto“, o “geometro“, o “commercialisto“. State ridendo? Ebbene: non c’è nulla da ridere. “Sindaca“, “Assessora“, “Avvocatasono la stessa identica devianza eppure li sentiamo blaterare ormai quotidianamente. Altro che ridere: ci sarebbe da piangere. A meno che non avessimo oggi un Presidente del Consiglio donna che ci riporta alla normalità.

Giorgia Meloni si è fatta da sola: non ha mai usufruito delle quote rosa, non ha mai storpiato i titoli della lingua italiana, non ha mai incontrato alcun ostacolo che da donna le impedisse di avere gli stessi diritti e le stesse opportunità degli uomini. Semplicemente è stata brava ed ha avuto successo. Ha capovolto tutti i teoremi sulla società “maschilista e patriarcale” che tanti radical chic additano pretestuosamente alle comunità di destra, ha rivaleggiato alla pari con uomini anche molto più forti e potenti, e li ha battuti. Era nel PdL Giorgia Meloni quando ha deciso di andare via e fondare Fratelli d’Italia rompendo con Silvio Berlusconi che pure l’aveva scelta come Ministro nel 2008, quando segnò il primato di ministro più giovane della storia della Repubblica. Ci sono voluti dieci anni, ma Giorgia ha superato Berlusconi, poi anche Salvini ed è diventata il primo Presidente del Consiglio della storia del nostro Paese non perché qualcuno l’abbia nominata, non perché c’era una legge sulla parità di genere che imponeva una candidatura femminile (sigh!), non perché abbia usufruito delle “quote rosa” concepite da chi considera le donne come degli esemplari in via d’estinzione. Giorgia ce l’ha fatta lottando alla pari. E in un secondo ha ucciso decenni di vuoto femminismo di facciata quando ha guidato le consultazioni della coalizione di governo circondata da uomini. Tutti ai piedi del Presidente donna.

E ancora l’ha fatto quando in mondovisione il suo compagno Andrea Giambruno è salito al Quirinale con la figlia per assistere al giuramento della mamma premier. Il padre e la figlia ad ammirare e sostenere la carriera della madre, e non il contrario come molto più spesso siamo abituati a vedere.

Foto Ansa

E’ con questi messaggi che le donne hanno il migliore stimolo possibile a realizzarsi ed avere carriera: si può fare, e Giorgia Meloni lo dimostra. Con i fatti, con dignità, con serietà, senza bisogno di storpiare le parole o chiedere diritti aggiuntivi. Che non sono necessari ad una donna, se è in gamba. La parità di genere c’è già da molto tempo (vivaddio) ed è anche lessicale: proprio perché pari, una donna è “presidente“, “sindaco“, “assessore“, “avvocato” esattamente come un uomo è “camionista“, “astronauta“, “ciclista“, “giornalista” etc. L’unica diversità, l’unica sopraffazione, è quella di storpiare la lingua italiana calpestando secoli di storia e di cultura.

Particolarmente bizzarro, infine, che qualche osservatore evidentemente fazioso vada addirittura a rilanciare proprio in questo contesto lo stereotipo della società “maschilista e patriarcale“, addirittura nella comunità della destra che ha dato all’Italia il primo premier donna della sua storia. Lo ha fatto la giornalista Maria Latella su SkyTg24, in buona compagnia su molti media. Proprio la foto delle consultazioni con la delegazione del centrodestra composta da dieci uomini e due donne dimostrerebbe che “c’è ancora molta strada da fare“, così come se fossero tutti e 12 alla pari e non ci fosse un Presidente che comanda su tutti gli altri, un Presidente che ha preso la parola e che è di sesso femminile. Tra l’altro da che pulpito arriva la predica? Per tutti i partiti di sinistra il capodelegazione è stato un uomo! Spesso e volentieri circondato da donne, in una sorta di gineceo politico. E hanno anche il coraggio di parlare?

In molti hanno addirittura sindacato che nel nuovo Governo ci sarebbero poche donne (!!!), soltanto sei ministri di sesso femminile (ovviamente le chiamavano “ministre”, doppio sigh!) e “poco importanti“. Perbacco! La destra ha portato a Palazzo Chigi la prima donna della storia e adesso avrebbe la colpa di non essere riuscita nel primato di un Consiglio dei Ministri tutto al femminile?!?! Magari prendendo esempio dai predecessori Draghi, Conte, Gentiloni, Renzi… (triplo sigh!).

Il numero di donne nei Ministri nei Governi degli ultimi 30 anni in Italia

  • Governo Meloni 6 (3 con portafoglio, 3 senza portafoglio)
  • Governo Draghi 8 (3 con portafoglio, 5 senza portafoglio)
  • Governo Conte II 8 (5 con portafoglio, 3 senza portafoglio)
  • Governo Conte I 6 (2 con portafoglio, 4 senza portafoglio)
  • Governo Gentiloni 5 (3 con portafoglio, 2 senza portafoglio)
  • Governo Renzi 8 (5 con portafoglio, 3 senza portafoglio)
  • Governo Letta 7 (5 con portafoglio, 2 senza portafoglio)
  • Governo Monti 3 (3 con portafoglio)
  • Governo Berlusconi IV 6 (2 con portafoglio, 4 senza portafoglio)
  • Governo Prodi II 7 (2 con portafoglio, 5 senza portafoglio)
  • Governo Berlusconi III 2 (1 con portafoglio, 1 senza portafoglio)
  • Governo Amato II 4 (1 con portafoglio, 3 senza portafoglio)
  • Governo D’Alema II 5 (2 con portafoglio, 3 senza portafoglio)
  • Governo D’Alema I 6 (3 con portafoglio, 3 senza portafoglio)
  • Governo Prodi I 3 (1 con portafoglio, 2 senza portafoglio)
  • Governo Dini 1 (1 con portafoglio)
  • Governo Berlusconi I 1 (1 con portafoglio)
  • Governo Ciampi 3 (2 con portafoglio, 1 senza portafoglio)
  • Governo Amato I 2 (2 con portafoglio)
Immagine tratta dal web
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