La pandemia e quindi, il forzato isolamento, ha certamente fatto aumentare il numero dei casi di violenza sulle donne messi in atto da componenti del nucleo familiare; una violenza nascosta, non visibile ai più, proprio perché maturata dentro le mura domestiche. L’isolamento che doveva servire ai cittadini per preservarli dalla diffusione del contagio del virus, ha portato tanti uomini violenti ad abusare delle proprie compagne ed anche di minori indifesi.
Di tutti questi abusi, solo alcuni sono venuti alla luce mentre molti altri, sono rimasti celati da quelle donne che, per paura o per altro tipo di ripercussione, hanno preferito tacere. A tale proposito l’Onu ha evidenziato che in tutto il mondo, i casi di violenza durante la pandemia, sono aumentati del 20%. Proprio per evitare che le donne continuino a vivere isolate, esistono i centri antiviolenza; a Messina uno dei più attivi è certamente il CeDAV (centro donne antiviolenza).
La Presidente Maria Gianquinto ha dichiarato che, “negli ultimi anni, sono aumentate le segnalazioni e la necessità delle donne di uscire fuori dalla spirale della violenza. Molte donne non denunciano, ha detto la Gianquinto, perché vittime o di pregiudizio, o di stereotipo; non denunciano perché raccontare l’interno, l’intimità del nucleo familiare è ancora molto difficile da superare e quindi, molto spesso la vittima di violenza prima ancora di rendersi conto di essere vittima, ha necessità di arrivare quasi alla esasperazione. A volte non denunciano per amore della famiglia, per amore dei figli per il fatto che ancora credono al matrimonio, perché l’uomo che hanno scelto come compagno non può essere considerato un carnefice. Ancora, non si lasciano aiutare perché molte di loro, non lavorano, sono casalinghe e, prima di lasciare il compagno pensano alle difficoltà che dovranno affrontare; abbandonare la famiglia, senza una casa, senza punti di riferimento significherebbe aver fallito su tutti i fronti“.
Secondo l’avvocato Gianquinto, “le donne hanno anche paura di denunciare perché accanto alla violenza fisica ed economica temono la solitudine e, soprattutto, hanno paura di non essere credute. Molti mariti, utilizzano i figli come arma di ricatto, se vai via, se mi lasci, ti porto via i figli, questa è l’intimidazione usata per continuare ad abusare della loro compagna. Quando le donne vittime di violenza si avvicinano alle associazioni antiviolenza, dice la Presidente del CeDAV, viene loro spiegato che non debbono avere paura di perdere i figli ma, qualche volta, i giudici non danno ragione alle donne. Elemento fondamentale per combattere gli atti di violenza di genere – afferma la Gianquinto – è la prevenzione fatta soprattutto nei banchi di scuola. Far capire ai ragazzi quanto importante sia tenere sempre gli occhi aperti diventa elemento fondamentale per aiutare le donne a reagire, ad avere coraggio di denunciare”.
Proprio nel campo della prevenzione, la Presidente Gianquinto parla di un protocollo d’intesa sottoscritto proprio nel 2022, con il Provveditorato agli Studi di Messina per la prevenzione e il contrasto del fenomeno della violenza di genere e per la sensibilizzazione contro ogni forma di abuso sulle donne. “Grazie a questo protocollo si vuole sfatare l’opinione che la violenza maschile contro le donne interessi prevalentemente solo strati sociali emarginati, soggetti patologici, famiglie multiproblematiche mentre, in realtà non è così, è un fenomeno che appartiene più alla normalità che alla patologia e riguarda uomini e donne di tutti gli strati sociali, esiste in tutti i paesi, attraversa tutte le culture, le classi, le etnie, i livelli di istruzione, di reddito e tutte le fasce d’età. La scuola rappresenta, un punto di vista, un importante contenitore culturale su cui agire per implementare la disponibilità ad apprendere nuovi modelli comportamentali, percorrendo strade diverse da quelle aggressive nella risoluzione dei conflitti, promuovendo relazioni empatiche, aprendo spazi di pensiero e di riflessione nello sforzo di comprendere i bisogni dell’altro/a. Ci si propone di sperimentare un modo di comunicare alternativo tra uomini e donne, ragazzi e ragazze partendo dalle differenze soggettive e tenendo conto dei bisogni reciproci, valorizzando le differenze senza creare posizioni di subalternità”.
“Con questo protocollo – dichiara la Presidente Gianquinto – si è voluto usare un target di riferimento diverso rispetto a quello abituale cioè, gli studenti che rappresentano la base dove costruire una società più consapevole e solidale; già sono iniziati dei seminari, piccolo moduli che si svolgeranno durante l’orario scolastico per sensibilizzare, per piantare un piccolo semino e far capire cos’è la violenza di genere all’interno delle mura domestiche e come potersi tutelare. Proprio parlando di ragazzi, dice l’avvocato Gianquinto, molti fenomeni di bullismo nascono all’interno del nucleo familiare; un compagno che manifesta atti violenti, parole di screditamento nei confronti della moglie e lo fa davanti ai figli, produce in essi la convinzione che possono usare lo stesso tipo di prevaricazione nei confronti dei compagni di classe. Occorre, pertanto, afferma la Gianquinto, che si intervenga immediatamente e a farlo, debbono essere i servizi sociali“.
Concludendo, la Presidente del CeDAV, dichiara che “l’umiliazione, l’indifferenza, l’atteggiamento di molti mariti che considerano la donna come un soggetto inferiore, provoca molti più danni della violenza fisica in quanto, si manifesta con maggiore semplicità. Un uomo meschino, non picchia una donna ma, per tutti i giorni della sua vita, la apostrofa con epiteti volgari umilianti facendole perdere stima ed autodeterminazione, questa è un’arma subdola non facilmente dimostrabile giuridicamente“.
La Gianquinto fa appello soprattutto alle persone che stanno accanto alle donne vittime di violenza affinché facciano loro capire che le sono vicine, che la credono; questo è il primo passo per trasmettere coraggio, per uscire dalla porta e chiamare un centro antiviolenza o rivolgersi alle forze di polizia, ai servizi sociali, alle case protette che danno una grossa mano d’aiuto. Tutti insieme debbono capire che le istituzioni ci sono. La stampa è fondamentale per rendere più visibile il sommerso rappresentato dalla violenza di genere ma, ciò che la stampa non dovrebbe fare è spettacolarizzare i fenomeni di violenza; non serve a nessuno, serve solo rispetto e comprensione delle situazioni, ed entrare nel problema con la giusta sensibilità.