di Filippo Arillotta – Una delle ricchezze calabresi che andrebbe rivalutata, è quella delle piante officinali. Componente fondamentale della farmacopea fino all’introduzione dei prodotti sintetici, hanno mantenuto un piccolo presidio nelle farmacie domestiche sotto forma di foglie di alloro, scorze di limone e semi di finocchio. Qualche fortunato riusciva, al più, a procurarsi camomilla di campo, ma l’utilizzo di fermava lì.
Oggi, complice il ritorno a terapie meno aggressive e impattanti sull’organismo, si potrebbero recuperare a scopi commerciali tutte le varietà che una volta entravano di diritto in tutti gli scaffali degli speziali, i quali poi le preparavano secondo le necessità dei pazienti. Ovviamente, ogni zona produceva quello che le serviva, e stava all’abilità ed esperienza degli esperti dei paesi, quelli che “conoscevano le erbe”, o i farmacisti dei conventi, che curavano l'”orto dei semplici”, selezionare le piante giuste; tuttavia devo ricordare come, nel mio gironzolare fra le notizie di tanti secoli fa, la Calabria era universalmente nota per alcuni prodotti di punta.
In alcuni casi si trattava di prodotti ancora oggi noti, come gli agrumi (il Cedro aveva un posto privilegiato) e la liquirizia, ancor oggi eccellenza calabrese; mi ha però sorpreso (evidentemente per mia ignoranza) la grande popolarità che aveva la manna calabrese. La manna, ricavata da un particolare frassino, è oggi un PAT siciliano, dato che in tale regione se ne continua la raccolta; tuttavia nei sacri testi della farmacopea europea, quando si parla di manna, ci si raccomanda che sia “manna calabrese”, riconosciuta come la migliore, sia dal punto di vista della purezza che dell’efficacia: le testimonianze in tal senso risalgono a tempi molto antichi.
Usata come lassativo, anti catarrale e dolcificante, entrava spesso in composizione con altri elementi: da qui un utilizzo notevole, che ne giustificava un prezzo alto e remunerativo per i produttori. Poi la pratica della lavorazione della manna scomparve dall’agricoltura calabrese; ma oggi penso che potrebbe essere ripresa per favorire la riantropizzazione di aree marginali, garantendo anche una adeguata remunerazione.
Quanto questo sia realizzabile, non saprei dire: certo è che riprendere il filo interrotto della nostra storia può fornire spunti interessanti, come sta accadendo con le fibre tessili, i cereali, gli agrumi e molto altro ancora. La nostra è una terra vocata per l’agricoltura di qualità: e forse oggi ci sono nuovamente le condizioni perché si riparta da dove… ci eravamo lasciati. Agli organi politici il compito di svolgere le analisi e prendere le decisioni del caso; ai ricercatori il compito di leggere e trovare spunti per cambiare l’idea della nostra terra e, auspicabilmente, dare valide alternative per i nostri concittadini.
P.s. a quanto leggo sul web, la manna ha un prezzo che va dai 100 euro al kg per la meno pregiata “manna drogheria” fino ai 190-200 euro al kg: interessante, no?