Il ministro della giustizia, Carlo Nordio, ha presentato in Senato le linee generali di riforma del sistema giudiziario che il governo intende proporre. L’impressione è che, finalmente, il governo abbia piena la consapevolezza degli annosi problemi che affliggono la giustizia in Italia, anzi il cittadino alle prese con la giustizia, a partire dalla lungaggine spropositata dei processi – civili, penali, amministrativi – che, di per sé, ha l’effetto di violare il principio costituzionale del ‘giusto processo’. Finalmente, si diceva, perché, qualunque cosa si pensi delle proposte di Nordio, non si può negare che esse tocchino problemi reali, elusi da anni dalle correnti di pensiero maggioritarie nella magistratura e dai suoi protettori politici molto interessati al connubio con essa; né si può negare che anche la celebrata ‘riforma Cartabia’, della quale è stato saggiamente detto che peggio dell’immobilismo è far finta di cambiare, ha lasciato le cose esattamente come stavano. Presentando quella riforma, l’allora Presidente del Consiglio, Draghi, diceva della ovvia necessità di un dibattito approfondito e senza pregiudiziali ma lasciava intendere che vi erano “aree dove permangono delle differenze di vedute di opinioni”.
Ora queste aree, molto vaste, sono rimaste inesplorate nella riforma Cartabia che, per questo motivo, lasciò inascoltato lo pseudo-monito che Mattarella – sebbene con sette anni di ritardo – aveva lanciato nel discorso al Parlamento per il suo bis quirinalizio: Mattarella incitava a salvaguardare i «principi, irrinunziabili, di autonomia e di indipendenza della Magistratura» per far sì che l’ordinamento giudiziario e il sistema di governo autonomo della Magistratura corrispondano «alle pressanti esigenze di efficienza e di credibilità, come richiesto a buon titolo dai cittadini … Per troppo tempo [l’amministrazione della giustizia] è divenuta un terreno di scontro che ha sovente fatto perdere di vista gli interessi della collettività… È indispensabile che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento affinché il Consiglio superiore della Magistratura possa svolgere appieno la funzione che gli è propria … superando logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono rimanere estranee all’Ordine giudiziario. Occorre per questo che venga recuperato un profondo rigore».
Ça va sans dire che, se il rigore deve essere recuperato, vuol dire che era stato perduto! Un appello rimasto disatteso anche se il ‘cervello rimpatriato da Parigi’, il segretario del Pd Enrico Letta, si disse pienamente soddisfatto felicemente twittando: “bene la proposta di riforma del CSM approvata dal Consiglio dei ministri. In linea col programma di governo e con le indicazioni contenute nel discorso del presidente Mattarella applaudito dalle Camere. Ora avanti”.
Il che la dice lunga sulla chiarezza d’idee di Letta e del suo partito dal quale, infatti, si è levata una ‘voce viva’, unanime, a sostegno del “punto di equilibrio raggiunto in Cdm”: cioè il ‘nulla’. Il loro entusiasmo e, insieme, il loro timore che questo impianto della riforma – a parere di molti, omisssivo – potesse essere alterato sono comprensibili poiché è il PD ad avere il più forte interesse a non modificare lo status quo del sistema giudiziario. Infatti, allora il ministro Cartabia si arroccò dietro il paravento della incostituzionalità per impedire qualsiasi riforma intesa a scardinare lo strumento – le ‘correnti’ – attraverso il quale il CSM (un centro di potere molto appetibile se non altro per il lauto stipendio di cui godono i suoi membri: 240.000 euro all’anno) si è appropriato di un potere politico non solo nella gestione delle carriere dei magistrati ma anche nella politica giudiziaria. ll sistema di elezione del CSM previsto dalla Cartabia è una abominevole messa in scena per lasciare le cose come stanno, cioè per continuare a consentire le cordate politiche nella magistratura; questa nuova invenzione elettorale – cosiddetto ‘binominale’ – è più ‘porcellum’ del ‘porcellum’ ed è tanto dire: un sistema elettorale sui generis e stravagante che vorrebbe spezzare il nodo scorsoio delle correnti non, come qualcuno proponeva, con il sorteggio dei candidati bensì con uno stratagemma tutto italico-bizantino: il sorteggio delle Corti d’appello che costituiranno i collegi elettorali. Come se le cordate non si possano formare dopo la costituzione dei collegi!
Un ‘maquillage’, anzi un ‘travestimento’ indecente che non risolve le degenerazioni – logiche clientelari, lottizzazione delle cariche, avanzamenti di carriera per appartenenza politica, divisioni per gruppi, faziosità, lotte fratricide, accaparramento di voti, mercato delle nomine e dei favori – che hanno trasformato il CSM in un terreno di scontro, spartizione e clientelismo. Sui problemi da affrontare, il ministro Nordio ha invece le idee chiare, talmente chiare da suscitare subito le reazioni più aspre. Dai banchi dell’opposizione, dall’ANM e dai giornaloni affiliati – primo fra tutti ‘La Repubblica’, che ha definito il guardasigilli in carica come un novello Nerone, e ‘La Stampa’, che ha catalogato il progetto di Nordio come il “solito progetto salvifico berlusconiano”, (non citiamo ‘Il Fatto Quotidiano’ per non promuoverlo a ‘giornalone’) – abbiamo sentito levarsi un’accusa gravissima contro Nordio, di volere cioè impedire le ‘intercettazioni’ per garantire l’impunità ai politici corrotti e alla criminalità in generale e di volere modificare la legge Severino in modo da permettere la candidatura dei condannati in primo grado alle cariche pubbliche. L’argomento delle ‘intercettazioni’ – telefoniche, ambientali, etc. – è da sempre al centro di una disputa riguardante il diritto alla riservatezza delle comunicazioni, per la cui garanzia questo strumento di indagine – ma non di prova – è circondato da limitazioni imposte dal segreto istruttorio, che invece viene regolarmente violato. Nordio è stato molto chiaro nella individuazione del meccanismo perverso che ha permesso lo stravolgimento di questo mezzo d’indagine in mezzo di prova; è così, infatti che si rende possibile la divulgazione per mano giudiziaria sfuggendo alle limitazioni imposte dal segreto istruttorio: «intercettazioni pilotate, selezionate, spesso arbitrarie, che dovrebbero essere strumento di ricerca della prova, sono diventate strumento di prova e come tali, essendo state inserite nelle ordinanze di custodia cautelare [senza alcuna eliminazione delle parti non essenziali per l’indagine e riguardanti terze persone non coinvolte], sono state divulgate nei giornali». È per questo che il ministro ha detto che, in caso di violazione del segreto istruttorio, manderà «gli ispettori dove avverrà» e che è pronto a dimettersi “per questo principio”.
Il presidente dell’ANM, Santalucia, ha reagito all’ipotesi delle ispezioni definendo ingeneroso il ministro perché avrebbe un pregiudizio, cioè che siano i magistrati a diffonderle, e ha ricordato che, poiché le intercettazioni in un processo finiscono di mano in mano, i responsabili vanno cercati tra gli avvocati o, al massimo, tra i cancellieri e i tecnici che intercettano. Ma, a parte la ‘culpa in vigilando’ adombrata da Nordio a carico dei magistrati, come prima abbiamo visto il ministro ha individuato proprio in questo passaggio di mano in mano il meccanismo processuale perverso che permette tale diffusione: secondo Nordio, è proprio la disciplina attuale a “rendere possibile il trapasso di mano in mano delle intercettazioni. Ma è questo il problema: la diffusione, che da sempre viola le norme del Codice di procedura penale, è mal governata da alcuni magistrati e sottolineo alcuni”. È quindi Santalucia ad essere ingeneroso nel non distinguere il momento delle intercettazioni investigative, che Nordio ritiene necessarie, da quello del loro abuso e della violazione dei diritti dei singoli, che egli intende invece eliminare. Forse è più discutibile l’idea di Nordio che prospetta un ampliamento dell’uso delle intercettazioni preventive, “curate dalla polizia con l’avallo del magistrato, che sono segretissime, servono come spunto d’indagine e vengono conservate nella cassaforte di chi le ha autorizzate sotto la sua responsabilità». L’utilizzo delle intercettazioni preventive può portare ad abusi – che già sono tanti e costosi –e alla violazione delle liberà individuali dei cittadini, previste dall’articolo 15 della Costituzione. Per questo motivo esse sono limitate a casi molto specifici (terrorismo e mafia), in cui l’interesse alla sicurezza nazionale deve essere bilanciato con i diritti dei singoli e il primo prevale solo nel caso in cui ci siano già gravi indizi che il reato sia stato commesso o stia per essere commesso e solo se siano indispensabili per procedere nelle indagini: la natura assolutamente eccezionale delle intercettazioni preventive, autorizzate dall’autorità giudiziaria, richiede dunque la massima attenzione nella loro utilizzazione per le indagini e, soprattutto, che non siano considerate come ‘prove’ nel processo penale «fatti salvi i fini investigativi”.
La parte più decisa e anche più controversa del progetto di Nordio riguarda la riforma dell’ordinamento della magistratura. Nordio sa che il nodo da sciogliere è anzitutto quello delle separazione delle carriere tra ‘inquirenti’ e ‘giudicanti’; che, in secondo luogo, si deve regolare in modo più preciso l’attività investigativa dei pm (obbligatorietà dell’azione penale che – perché tale – nasconde l’arbitrarietà più sfrenata, tempi e modi dell’indagine, protezione dei diritti degl’indagati); in terzo luogo che è necessaria la definizione rigorosa dei poteri del CSM, dei loro limiti e delle modalità del loro esercizio – per esempio se esso abbia o no il potere di non eseguire una sentenza del Consiglio di stato, come è accaduto di recente con una sentenza di annullamento della nomina di un magistrato; che, in quarto luogo, è necessario attribuire la funzione disciplinare a una Alta corte non elettiva anziché al Csm in modo da ridurre drasticamente la possibilità di una distorsione politica di tale funzione. Un altro problema cui Nordio dovrebbe volgere la propria attenzione è quello delle porte girevoli tra magistratura e università, tra magistratura e politica; degl’incarichi fuori-ruolo (ministeri e dintorni) che non solo sottraggono un’infinità di magistrati alla loro propria funzione giurisdizionale ma li espongono anche alla tentazione politica (per non parlare degli arbitrati privati, molto lucrosi, cui molti magistrati sono chiamati e cui essi accorrono volentieri sottraendo tempo alla loro funzione), della responsabilità civile dei giudici non solo verso i cittadini – spesso vittime di ingiusta detenzione, di lunga durata dei processi, di decisioni giudiziarie errate colposamente (e, talvolta, dolosamente) – ma anche verso lo stato, spesso dissanguato finanziariamente a causa di indagini lunghe, costose e infondate nonché dei risarcimenti (sia pure irrisori) che lo stato deve sborsare ai cittadini danneggiati nei procedimenti giudiziari, sia in sede civile che penale.
L’unico consenso politico trasversale che Nordio si è finora assicurato riguarda l’impegno da lui preso con l’Anci per riformare il reato di abuso d’ufficio (e si capisce bene perché la sinistra sia interessata a questa revisione), in modo da dare ai sindaci maggiori garanzie nello svolgimento dell’attività amministrativa; invece ha sollevato un vespaio la succitata idea di riforma in senso garantista della legge Severino là dove prevede l’incandidabilità a cariche pubbliche dopo una condanna di primo grado. Infatti, i cosiddetti difensori dei diritti umani, spinti dall’ansia forcaiola degna delle tricoteuses giacobine, si oppongono a una tale ipotesi che prevede l’applicazione della sanzione solo dopo la condanna di secondo grado.