“O’ Rei” è morto. Addio a Pelè, la stella che ha reso leggendario il Brasile

Morto Pelè, il calciatore più rappresentativo della storia del Brasile: fatali le complicazioni dovute al tumore al colon

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Brasile, terra di calcio e sorrisi. Se manca uno, probabilmente è perché manca anche l’altro. Oggi in Brasile è impossibile sorridere, una parte del calcio è scomparsa per sempre. Il verde e l’oro delle maglie lascia spazio al nero del lutto, musiche e balli si fermano in rispettoso silenzio, anche il pallone smette di rotolare: “O’ Rei esta morto”, Pelè non c’è più.

Una lunga battaglia quella contro il tumore al colon che lo ha portato via, iniziata l’anno scorso. Nelle ultime settimane le complicazioni, i ricoveri sempre più frequenti, le notizie che si rincorrevano e non facevano presagire nulla di buono. “Pelè non reagisce alla chemioterapia”, aveva annunciato il quotidiano “Folha de S. Paulo” dichiarando che le metastasi avevano ormai raggiunto anche polmoni e fegato. “Si passa alle cure palliative”, un percorso di accompagnamento verso una morte priva di sofferenze.

Le figlie avevano provato a fare chiarezza, smentendo (almeno in parte), la versione del giornale, dando la colpa al Covid e al sistema immunitario reso debole dalla chemioterapia. Pelè, intanto, dal suo letto d’ospedale, sosteneva il suo Brasile impegnato nella Coppa del Mondo. Trascorso il Natale con la famiglia al suo capezzale, ha da pochi minuti ha esalato l’ultimo respiro, siamo sicuri, pensando ai suoi cari e al suo amato futebol. A dare l’annuncio la figlia Kely attraverso Instagram: “tutto quello che siamo è grazie a te. Ti amiamo infinitamente. Riposa in pace“.

Il calcio fa parte di lui, lui farà sempre parte del calcio. Espressione massima del talento, quello divino, che benedice il corpo di un essere umano. Velocità di gambe e di pensiero, ambidestro, dotato di un ottimo colpo di testa e di una buona forza fisica pur essendo alto appena 1.73 cm. Celebre il “Drible de vaca”, la finta con la quale ipnotizzava difensori e portieri facendo passare la palla da un lato, mentre lui sgusciava via dall’altro. Banale? Provate a farla alla sua maniera, in corsa e senza toccare la palla, sfruttando solo il movimento del corpo per ingannare l’avversario.

Fantasia e cinismo, giocate da numero 10 e gol, tanti, tantissimi gol. La FIFA gli riconosce il record di reti realizzate in carriera, ben 1281 in 1363 partite, in gare ufficiali sono 757 in 816 (media di 0.93 a partita). Segnò 5 gol in una singola partita per 6 volte, 4 gol in una singola partita per 30 volte, e se questi vi sembrano numeri stratosferici, le triplette furono 92! Con il Brasile 92 partite e 77 gol. Suo il gol più bello di una finale del Mondiale, quello realizzato contro la Svezia nel 1958. Fu l’anno della sua prima Coppa del Mondo, 1962 e 1970 quelle successive: è l’unico calciatore ad aver vinto 3 Mondiali in carriera.

A livello di club una carriera dedicata al Santos, 580 partite e 568 gol fra il 1957 e il 1974 vincendo (fra le tante coppe) 10 volte il Campionato Paulista, 6 volte il Campeonato Brasileiro, 5 Taça Brasil, 2 Copa Libertadores e 2 Coppe Intercontinentali. Poi una breve parentesi negli USA, ai N.Y. Cosmos. Non fece mai il salto in Europa, un rimpianto per il calcio Vecchio Continente.

Fa parte della Soccer Hall of Fame, la FIFA lo ha eletto “Calciatore del Secolo” premiandolo con il Pallone d’Oro del Secolo, il Time lo ha inserito fra i 100 Eroi e Icone del XX secolo, il Brasile lo ha dichiarato “Tesoro nazionale”, dal 2011 è “Patrimonio storico-sportivo dell’umanità”. Ritroverà presto Diego Armando Maradona, Paolo Rossi, Gerd Muller, Johan Cruijff e tutti i grandi campioni del passato che ci hanno lasciato in questi anni. Il suo talento è sempre appartenuto a una dimensione superiore, in Paradiso sai che partite… Adeus Rei, obrigado.

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