Messianico. Non c’è altro aggettivo per definirlo e, ironia della sorte, nella parola c’è anche il suo stesso cognome. Lionel Messi ha, per definizione letterale, “a che fare con il Messia“. In Argentina lo chiamano “D10s”, soprannome ereditato da Maradona, non proprio uno qualunque da quelle parti. Diego starà festeggiando dall’alto, nella speranza che l’Argentina possa tornare a vincere un Mondiale dall’86, l’ultima volta in cui proprio “El Pibe de Oro” alzò la coppa al cielo.
La semifinale giocata contro la Croazia è stata un sermone, la lettura delle sacre scritture, Messi ha dispensato calcio davanti ai fedeli in maglia Albiceleste che lo hanno supportato con preghiere, canti e urla di gioia per 90 minuti. Prima la rete su rigore che lo rende il capocannoniere del Mondiale, poi la ripartenza (con tanto di atterramento) per il raddoppio di Alvarez. La solida Croazia impotente davanti alle sfuriate del numero 10 sudamericano. Per finire l’assist per la doppietta di Alvarez: sgasata sulla destra, frenata, finta di corpo a destra, dribbling a sinistra, palla dentro di destro (piede debole), il compagno la deve solo spingere in porta.
È 3-0, è dominio, è un trionfo. La Croazia dell’altro Pallone d’Oro in campo, Luka Modric, si arrende per manifesta superiorità. Domenica la finale contro la vincente di Francia-Marocco. Messi ha vinto 3 finali nella sua carriera con la Seleccion (Mondiale U20, Olimpiade di Pechino, Coppa America 2021), ne ha perse 4 (3 Coppa America e il Mondiale 2014). Potrebbe pareggiare i conti, vincere l’unico grande trofeo che gli manca in carriera e sedersi, definitivamente al fianco di Maradona. E forse anche un gradino più su.