La memoria aiuta a capire il presente. Quando essa si stratifica, diventa lucida, inanella periodi, fatti e date, mettendoli in ordine, e passando a “storia”. A quel punto essa diviene preziosa per persone e contesti sociali, giacché da esperienze che emergono si proiettano fasci di luce a supporto di scelte e di linee di azione che si vogliono intraprendere. Questi pensieri mi vengono richiamati da un libro, uscito in questi giorni, dal titolo: “Memorie di un Ragioniere Generale tra scena e retroscena”. Esso si sviluppa attraverso una intervista rilasciata da Andrea Monorchio, per qualche decennio Ragioniere Generale dello Stato, al giornalista, e già Consigliere Parlamentare, Luigi Tivelli. L’opera è sostenuta ed impreziosita dalla prefazione di Gianni Letta e dalla post fazione di Giuseppe De Rita. Dalle loro parole traspare l’alta considerazione verso il professionista. Afferma Gianni Letta: “La ragioneria generale, che svolge un’azione altissima, è rimasta legata al suo nome, alla sua storia, alla sua esperienza, alla sua “lezione”. Quando si parla del Ragioniere Generale dello Stato viene naturale per tutti fare un solo nome: quello di Andrea Monorchio”. È “un libro di storia – continua Letta – che riscostruisce con sobrietà, rigore e precisione (ma anche con eleganza), oltre 40 anni di vita istituzionale, politica, economica del Paese. E contiene spunti molto interessanti ed originali sulle questioni ancora aperte e sulle quali tanto si affanna la politica degli anni nostri tormentati e difficili”.
Giuseppe De Rita, nella postfazione, aiuta a capire ancora più a fondo la figura di Monorchio, parlandone come di un operatore civile, amico, che ha aiutato, lui e vari leader della società civile, a fare cose buone, “in quel po’ di oligarchia che è comunque necessaria nella troppo frammentata realtà italiana”. Tali considerazioni sono il preludio di una mia osservazione sul Testo. Esso consente, in maniera chiara e ricca di contenuti, di attraversare 20 anni della vita del Paese, anni difficili e complicati ma che, se attentamente valutati, ci conducono ai nostri giorni, chiarendo aspetti e situazioni a volte poco comprensibili, se non contraddittorie. Nella lettura, per avere idee più chiare, basta passare dalla espansione della spesa pubblica degli anni ’80 tra Governo e Parlamento, da Carli e il Trattato di Mastricht, da “mani pulite”, dal Governo Amato, con la manovra dei 93 mila Miliardi, dal Governo Ciampi, a quello di Berlusconi, di Prodi, D’Alema, per sprofondare, senza fare sconti, ai ritardi e alla lentezza dell’Amministrazione Pubblica ed alla prolificazione delle leggi che bloccano il Paese. La pubblicazione termina con uno sguardo sull’attuale situazione, delineando possibili futuri scenari. Quest’ultima parte è di grande interesse in quanto, nelle obiettive e precise considerazioni, traspare appieno la sapienza e la lucidità di interpretazione e giudizio di Monorchio. Egli prende spunto dal grande Leonardo che scriveva: “Ci sono tre categorie di persone: quelle che vedono, quelle che vedono quando qualcuno mostra loro cosa vedere e quelle che non vedono affatto”. L’auspicio di Monorchio è che le persone che gestiscono la cosa pubblica e prendono decisioni, sia a livello nazionale che sovra nazionale, appartengano alla prima categoria. “Per questo il mio sentimento nel futuro è di ottimismo, ma un ottimismo sub condicione”.
Questo è l’uomo pubblico. Non posso, al termine di detti pensieri, privarmi della gioia, ma anche dell’orgoglio, di essergli amico da lunga data, come, con generosità, egli mi considera, dedicandomi il libro. Forte di questa situazione, voglio ricordare alcuni passaggi del nostro comune percorso di vita, per aiutare a completare il suo profilo, con quello umano, di cui sono stato fortunato testimone. Entrambi nasciamo a Reggio Calabria (mi si passi la civetteria: io sono di due anni più giovane, o meglio, per non esagerare, meno anziano) e ci frequentiamo, con il gemello Domenico, la sua famiglia ed i miei fratelli dalla seconda parte degli anni ’50 ai primi degli anni ’60. Nel 1964 mi trasferisco a Roma per l’inizio della mia attività lavorativa, città nella quale rimango. Quegli anni giovanili vennero vissuti, con Andrea, in calorosa, fraterna amicizia, intensamente, con incontri che passavano dalla frequentazione dello stesso Istituto scolastico “Raffaele Piria” (Andrea, indirizzo “geometra”, io ragioniere) allo sport, attivo nel calcio e con l’amore per la “Reggina”, alla pesca, agli incontri al bar, sul Corso Garibaldi, alle mitiche feste da ballo in casa Vigilante, casa di mio zio.
Periodo favoloso che ha dato ad entrambi, con la serenità assicurata dalle famiglie, la possibilità di affrontare, al meglio, la nostra avventura romana di lavoro. Ci siamo impegnati su fronti diversi: Andrea, con una vita intensa e di successo al servizio dello Stato, come si evince dal libro, io sul fronte industriale e finanziario, con qualche risultato. Non abbiamo mai perso l’occasione di frequentarci per fatti familiari ovvero culturali. La figura di Andrea è emersa sempre per competenza, eleganza, arricchita dal suo accattivante sorriso. L’ironia ed il senso della goliardia, al momento giusto, lo hanno sempre accompagnato. Queste qualità esplodevano negli incontri della “festa del maiale” che, per più di venti anni, è stata celebrata a casa mia, in quel di Ansedonia (Orbetello), alla presenza di altri carissimi amici, che mi piace ricordare come Piero Larizza ed Antonio Catricalà, oggi non più con noi, ed anche Corrado Calabrò, Beniamino Quintieri, ed altri di origine “terronica”. Raccolgo quanto detto in un caloroso applauso, di ringraziamento, per quanto Andrea rappresenta, sotto il profilo umano, di cittadino, e professionale, di fedele servitore dello Stato.