Ieri sera Napoli-Cremonese di Coppa Italia è stata una partita storica: per la prima volta una terna arbitrale tutta al femminile ha guidato una gara ufficiale tra due squadre di calcio della massima serie. L’arbitro, Maria Sole Ferrieri, con i guardalinee Francesca Di Monte e Tiziana Trascatti, in campo se l’è cavata più o meno bene come accade ai colleghi maschietti. Di certo s’è notato il rispetto dei calciatori che, di fronte ad un arbitro donna, hanno protestato molto meno e in modo molto meno feroce di come sono soliti fare quando hanno di fronte un direttore di gara maschio.
Quello che è mancato ieri sera però è stata la ciliegina sulla torta: il quarto uomo donna. Non si sa perché, l’ultimo tassello dello staff arbitrale, il quarto uomo appunto, era l’arbitro Marco Di Bello e non, come ci saremmo aspettati a questo punto, un’altra femmina. Non tanto per il ruolo in sé, quanto per il significato simbolico che avrebbe avuto la scelta al femminile in un ruolo maschile per definizione, andando così a stroncare definitivamente e una volta per tutte l’abominio linguistico delle storpiature femminili di ruoli e professioni. Un quarto uomo donna sarebbe stato il colpo finale per tutto quel mondo fatto di disagio che tre mesi fa ha duramente polemizzato contro il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni quando, appena insediata, aveva chiesto di farsi chiamare “il Presidente” come previsto dalla lingua italiana, per poi stancarsi delle solite menate degli inutili formalismi sinistroidi chiudendo la discussione con un laconico “ma chiamatemi come volete, anche Giorgia va bene“, preferendo volare alto rispetto a questioni così futili e insignificanti.
Non possiamo neanche immaginare come riuscirebbero a definire un quarto uomo donna, dato che il “quarto uomo” si chiama così non perché è un maschio ma perché è un ruolo previsto dai regolamenti calcistici a prescindere se a compierlo sia un maschio o una femmina. Certo, prassi e abitudini vogliono che sia uomo com’erano uomini tutti gli arbitri e i guardalinee un tempo. Ma oggi vivaddio anche le donne possono svolgere questa professione, possono farlo con successo senza bisogno di cambiarne il nome. L’arbitro donna resta arbitro, il guardalinee donna resta guardalinee e il quarto uomo resta quarto uomo. Anche se è femmina. Almeno così dovrebbe essere. In questo caso, infatti, anche la “quarta uoma” che certamente auspicherebbero la Boldrini e le sue seguaci non potrebbe andare bene: dovrebbe essere la quarta donna, creando così ulteriore imbarazzo a protocolli, regolamenti e tabellini. Anche perché in quel caso il quarto uomo potrebbe essere donna soltanto se fossero donne anche gli altri tre arbitri principali (direttore di gara e guardalinee), perché ci risulta complicato immaginare una coerenza linguistica tra “quarta donna” e una realtà in cui anche solo uno dei primi tre sia maschio. Perché sarebbe sì donna, ma non quarta. E forse proprio per questo motivo in Lega hanno scelto Di Bello: meglio non affrontare il problema. Almeno per ora. Con buona pace di tutte le fanatiche che ancora nel 2023 per sentirsi rispettate hanno bisogno di farsi chiamare “sindaca”, “assessora”, “avvocata” o “direttora” (sigh!).