Il fastidio di pensare – Con noi, l’umanità

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Di fronte alle rinnovate promesse dell’Occidente di non abbandonare l’Ucraina al suo destino Dimitry Medvedev, uno degli alti vertici della politica russa reputato il delfino di Putin ha risposto minaccioso che facciano pure ma tengano presente che hanno di fronte una potenza atomica che, qualora questa guerra dovesse cominciare ad andarle male, si cominci pure a considerare il peggio perché chi detiene questo tipo di armi, ha sottolineato, una guerra non la può perdere. Parole tragiche e inquietanti, che finora erano apparse solo in romanzi di scrittori distopici che al comparire dell’arma nucleare si erano chiesti cosa mai potesse capitare se uno strumento così nefasto, che richiede un uso estremamente saggio, sarebbe mai potuto cadere in mano di un governante folle. Sembrava una ipotesi angosciante, che s’era andata dissolvendosi dopo i tremori della guerra fredda, ed invece eccoci qua con uno dei capi di una delle più grandi potenze della terra che lancia minacce all’umanità come se niente fosse. Se non altro i dittatori sovietici erano molto più prudenti quando erano dietro un microfono. E che fa invece capire come un paese geograficamente sterminato e con un potenziale militare gigantesco abbia poi dei limiti a selezionare la sua classe dirigente.

La frase, ripulita dai suoi sottintesi, ha dei sottofondi addirittura puerili, che indicano una visione poco matura della politica. Ha infatti due precisi significati. Il primo è che poiché si possiede un armamento nucleare allora si è anche autorizzati a fare quello che si vuole e nessuno deve pensare di opporsi. Come dire: sono il più forte e questo basta a consentirmi tutto. E tutto il resto del mondo dovrebbe stare a guardare in silenzio. Ma se già questa minaccia sembra di uno squallore etico estremo, l’altra lettura va ancora oltre lo squallore, e abbraccia la follia. Può capitare, dice infatti il simpatico politico, che questa guerra la Russia cominci a perderla (le guerre infatti si possono vincere o perdere, indipendentemente dalla ragione o dal torto, e si combattono proprio perché ogni Stato crede di avere ragione ma non considera le ragioni degli altri e allora rimanda tutto all’uso della forza). Ma in Russia non si può contemplare questa ipotesi: la Russia le guerre le deve solo vincere, e se dovesse capitare che questa guerra andasse male, allora scatenerà una sorta di devastazione nucleare, e a perdere saremmo tutti. Una sorta di monito verso quei rompiscatole che si stanno opponendo ai loro piani di occupazione.

Naturalmente chi teme una guerra nucleare smette di pensare in termini settoriali ma ragiona in una prospettiva umana: in quel caso non ci sarebbero più ucraini o russi, occidentali o orientali, americani o slavi, ma solo uomini, nella loro dimensione biologica. Sembrerebbe ovvio, ed è questo uno dei motivi, se non il motivo fondamentale, per cui questa ipotesi non si dovrebbe neanche nominare: a perdere si perde tutti, e basta. Ma non è un motivo che sfiora un figlio della vecchia cultura russa, erede di quel mondo stalinista che per modernizzarsi mandò all’ammasso venti milioni di connazionali e poi disse seraficamente che tanto un morto è una tragedia, ma quando i morti cominciano a diventare milioni allora sono solo un dato statistico. Ai russi della morte degli uomini non gliene frega niente: per loro i morti non hanno passaporto. Sono come quei bambini dispettosi che prima dicono “questo è mio e basta” e poi, se qualcuno gli fa capire che ci sono anche gli altri, allora dicono che  “se non posso averlo io, allora non deve averlo nessun altro”, e rompono il giocattolo.

L’umanità, di fronte a questo modo di ragionare da bambino viziato, dovrebbe semplicemente stare a guardare, non perché non avrebbe da contrastarlo, ma perché è un bambino in grado di causare danni giganteschi, e quindi bisogna farlo sempre contento. Ma poiché l’Occidente, accanto alle armi, ha prodotto, per essere quello che è, anche una filosofia e dei valori, ha sempre creduto in un’etica che dice che la libertà e il rispetto sono imprescindibili di fronte alle minacce arroganti. A un certo punto una certa Europa si è trovata a dovere rispondere alla domanda su quale sia il confine dietro cui non è consentito accontentarsi di stare zitti e abbassare la testa dietro la minaccia della violenza. Lo saprebbero anche i russi, naturalmente, se avessero letto qualcuna delle scritte che i dissidenti hanno potuto lasciare in oltre mezzo secolo sui muri della Lubjanka prima di essere mandati all’ammasso. Da noi, che la dissidenza ha un po’ più di ascolto, diceva Panagulis che a un certo punto ci si deve battere anche se si ha la certezza di perdere, proprio perché bisogna avere il coraggio di morire in piedi.

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