Leggo che il premier olandese Mark Rutte si è scusato per l’ignominia della schiavitù a cui il suo popolo ha partecipato nel passato. Si tratta di un gesto in pura sintonia con questa ondata di vittimismo che ha investito il mondo occidentale da diversi anni e sembra lungi a morire e i cui risultati a lungo raggio sono quel ripudio della storia che tutta vede macchiata di sangue e di pregiudizi e quella cancel culture che ne sarebbe la soluzione. E piena esemplificazione ne sarebbero alcuni commenti, come quello che leggo su Il Manifesto, dove Fabrizio Tonello scrive che ben vengano quelle scuse purché ne rappresentino solo l’inizio, ma che non creda di volersi fermare lì poiché, più nascostamente gli olandesi hanno messo mano anche a diversi altri fenomeni poco puliti in cui anche se la storia non ha messo il loro nome in realtà c’erano i loro mercanti ad arricchirsi. Che facciano insomma un mea culpa anche per diverse forme di colonialismo feroce praticato all’ombra di inglesi e francesi, mentre già tutto un certo mondo si agita per stabilire un risarcimento finanziario. Non penseranno mica questi olandesi di saldare le vergogne dei loro antenati con qualche parola: troppo facile uscirne fuori così, ci vuole ben altro!
Da modesto studioso, ho sempre avuto della storia una visione crociana. Lo storico, diceva il filosofo napoletano, si può mettere di fronte agli eventi del passato solo con uno sguardo analitico, e mai con spirito di giudizio. E questo non per una sua scelta, ma proprio perché è la scienza stessa che non lo consente. Detto in altri termini, quando io analizzo un fenomeno storico, posso limitarmi a chiedermi cosa è stato, cosa lo ha determinato, quali sono state le sue conseguenze, e sono già delle domande a cui è terribilmente difficile dare una risposta. Nel momento in cui mi chiedo anche se è stato bello o brutto, giusto o sbagliato allora sto uscendo dalla storia ed entro in altre scienze che con la storia non hanno più nulla a che fare: l’etica, l’estetica e via dicendo. Si tratta di confini molto labili, che non sempre gli storici rispettano, ma su cui tutti i grandi storici nelle loro lezioni di metodologia hanno insistito. Da Carr a Marrou, e potrei citarne qualche decina ancora, tutti hanno constatato come lo storico è sempre un arbitro parziale di una verità che insegue e non può essere raggiunta. E che lascia sempre aperte domande a cui noi crediamo presuntuosamente di avere delle risposte che in realtà sono solo figlie del momento: le crociate furono una illegittima invasione mascherata dalle stigmate religiose? E i briganti furono delinquenti o eroici partigiani? Ma si potrà almeno dire definitivamente che il nazismo è stato qualcosa di assolutamente vergognoso?
Il problema di questo presente occidentale è che ha abolito il senso critico della coscienza storica e ha proiettato sul passato una sorta di moralismo dogmatico, del tutto atemporale e privo di ogni riferimento contestuale. I nostri antenati erano dei delinquenti, dice Rutte, e con lui tanti altri capi di Stato (ma probabilmente se fossero vissuti in quel periodo sarebbero stati degli schiavisti anche loro e la cosa sarebbe loro sembrata del tutto ovvia). Illustri scrittori del passato vengono visti di traverso, questo maschilista, quello omofobo e chi alla stregua di un delinquente, e illustri università pensano di metterli in un angolo in virtù di un’arte purificata agli occhi di una morale eterna.
Ora Mark Rutte prosegue questo lento suicidio dell’occidente. Il problema non è il nostro giudizio sulla schiavitù o su altre cose che con gli occhi di uomini del ventunesimo secolo possiamo rifiutare (e ne potrei riempire un foglio) ma questo senso di rifiuto della storia e di volerla correggere in nome di una veritas atemporale. Non si rende conto che il suo stesso è un giudizio storico, da uomo del suo tempo, che rifiuta la schiavitù perché è figlio di un tempo e un luogo, ma questa stessa cosa è sembrata ovvia per migliaia di anni. Assolutizzare un giudizio in fieri è esso stesso storicamente sbagliato, come quelle leggi dogmatiche che in Europa mandano in carcere i revisionisti. Noi siamo, nel bene e nel male, figli della storia, di quella che ci piace e di quella che ci rende meno fieri, e bisogna accettarla nella sua interezza, senza mettersi a scartare. Quando si ignora la storia non si comprende il senso del presente. Ma c’è ancora di peggio: guardare la storia e rifiutarla. Mettersi sopra un piedistallo e guardare il passato come un mondo di gente sbagliata di arruffoni, mentecatti, delinquenti. E allora si rischia di non capire chi te lo ha edificato, quel piedistallo.