Nel dibattito nazionale sull’uso delle intercettazioni per le indagini, anche per reati di mafia, entra a pieno titolo il ‘caos’ dell’operazione Eyphemos. Questa sera nel programma televisivo di Rete Quattro, Controcorrente, si è parlato in particolare del caso di Domenico Forgione, eufemiese, che per sette mesi è stato chiuso in un carcere per quello che si è poi rivelato un clamoroso scambio di persona. Non l’unico, nel contesto di questa indagine, ma sicuramente il primo appurato e l’unico per il quale l’indagato non ha poi dovuto rispondere a processo.
Forgione, storico, ricercatore e all’epoca dell’arresto consigliere di minoranza del comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte, era stato arrestato sulla base di un’intercettazione: peccato però che la voce non fosse la sua. Fin dall’interrogatorio di garanzia lo storico aveva dichiarato di essere completamente estraneo ai fatti, ma ci sono voluti sette mesi perché la sua versione venisse dimostrata e provata, trascorsi tra il carcere di Palmi e quello di Santa Maria Capua Vetere.
“Io credo che occorra un alto livello di umanità, quando si affrontano temi che incidono fortemente sulla libertà, sulla dignità e sulla rispettabilità degli individui”, ha scritto di recente lo stesso Forgione sulle pagine de “Il dubbio”, proprio in tema di intercettazioni. “Sono stato arrestato il 25 febbraio 2020, sulla base di una conversazione (11 pagine sulle 3651 complessive dell’indagine) intercettata tramite il trojan installato sul telefonino di un altro indagato, che si trovava a cena con due persone, ad una delle quali era stata attribuita la mia identità. Nonostante la mia dichiarazione di assoluta estraneità, già in sede di interrogatorio di garanzia (due giorni dopo l’arresto e senza avere ancora ascoltato l’audio della conversazione), e la contestuale richiesta di effettuare una comparazione fonica (non accordata nell’immediato; mentre in nessuna considerazione il Tribunale della libertà ha tenuto la perizia fonica presentata dalla difesa), ho dovuto subire sette mesi di custodia cautelare in carcere, fino a quando il Ris di Messina, su incarico della Procura di Reggio Calabria, non ha stabilito che la voce intercettata non era la mia”, scrive Forgione.
“Può la lotta alla mafia giustificare la sospensione dello stato di diritto in vaste aree del Paese? L’Italia è uno stato di diritto o uno stato di polizia, nel quale le garanzie individuali possono essere calpestate? Sono queste le domande per le quali io e migliaia e migliaia di altre vittime attendiamo risposte, anche per riuscire ad avere nuovamente fiducia nella giustizia”, scrive ancora lo storico.
E l’inchiesta Eyphemos, che in questi giorni vedrà la conclusione del primo grado di giudizio, è un esempio lampante di questo dilemma che, da qualche settimana, infiamma l’opinione pubblica: lo scambio di persona di Domenico Forgione non è l’unico, e nel corso del dibattito processuale gli errori sono emersi uno dopo l’altro. Errori per i quali c’è ancora chi sta scontando pene che, verosimilmente, spetterebbero ad altri.