“Il comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte non era infiltrato”: la piaga tutta calabrese del commissariamento selvaggio

Lo scioglimento per infiltrazioni mafiose a Sant’Eufemia d'Aspromonte era ingiustificato: chi ridarà indietro, a quella comunità, tre anni che hanno portato ad una situaione di stasi?

StrettoWeb

Torniamo sulla vicenda Eyphemos, e ci torniamo perché gli errori che hanno portato 30 innocenti in carcere, lungi dall’aver visto concludersi il loro effetto con le sentenze di assoluzione del 17 febbraio, avranno conseguenze e ricadute su Sant’Eufemia d’Aspromonte per diverso tempo. E il motivo è presto detto: in seguito agli arresti, nell’agosto 2020, “il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno Luciana Lamorgese, in esito ad approfonditi accertamenti dai quali sono emerse forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata che espongono le amministrazioni a pressanti condizionamenti e ne compromettono il buon andamento, ha deliberato lo scioglimento dei Consigli comunali di Cutro (Crotone) e di Sant’Eufemia d’Aspromonte (Reggio Calabria), a norma dell’articolo 143 del Testo unico degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267), affidandone contestualmente la gestione a una commissione straordinaria”. Così recitava il comunicato stampa diffuso in quei giorni. Quello scioglimento ha trascinato Sant’Eufemia in una situazione di stasi dalla quale la comunità sta provando a rialzarsi ma verosimilmente i contraccolpi proseguiranno per anni.

Ebbene, a distanza di tempo è evidente, oggi, che lo scioglimento per infiltrazioni mafiose a Sant’Eufemia era ingiustificato. Allo stato attuale, le quattro principali figure a causa delle quali si è deciso di sciogliere il comune, escludendo l’ex sindaco Creazzo della cui posizione abbiamo ampiamente trattato, si sono rivelati errori madornali, tra scambi di persona e fatti che non sussistono. Ma andiamo con ordine, perché questa vicenda è già così intricata da sembrare un groviglio di rovi. E allora, per rimettere ordine in questo fango mediatico che per tre anni ha travolto Sant’Eufemia, è necessario spiegare le quattro posizioni punto per punto.

I quattro appartenenti al consiglio comunale finiti loro malgrado vittime di malagiustizia sono Cosimo Idà, maresciallo dell’Esercito e all’epoca vicesindaco; Angelo Alati, presidente del Consiglio comunale; Domenico Forgione, consigliere di minoranza; Domenico Luppino, responsabile dell’ufficio appalti. Sviluppando e chiarendo, oggi, le loro posizioni, sarà possibile comprendere come Sant’Eufemia meriti altra giustizia. Perché il comune non era infiltrato, ma gestito da amministratori e tecnici onesti.

Domenico Forgione

Per Idà, Alati e Luppino, il tribunale di Palmi, lo scorso venerdì 17 febbraio, ha sancito l’innocenza. Per Domenico Forgione, come avevamo ampiamente spiegato all’epoca (In carcere per sette mesi ma era uno scambio di persona: la storia di Domenico Forgione, scrittore e ricercatore eufemiese accusato di essere uno ‘ndranghetista), la completa estraneità ai fatti era stata provata dopo otto mesi trascorsi in carcere dallo stesso Forgione, storico, ricercatore e giornalista. Da allora Forgione è impegnato nello studio e nell’analisi degli errori giudiziari, nella ricerca in materia di giustizia. E non potrebbe essere diversamente: come può un uomo di cultura, che da sempre studia e analizza eventi del passato, accettare l’idea che in Italia, in Calabria, si possa finire in carcere anche per anni da perfetti innocenti? “Al netto della gioia per chi è stato restituito ai propri affetti e con la certezza che altre posizioni verranno chiarite nei successivi gradi di giudizio, un dato va sottolineato, urlato direi: l’amministrazione comunale di Sant’Eufemia d’Aspromonte non era in mano a nessuna presunta cosca – scrive Domenico Forgione – Le figure “infiltrate” nel comune, secondo la tesi accusatoria erano cinque:

Domenico Creazzo, sindaco – assolto perché il fatto non sussiste;

Cosimo Idà, vicesindaco – assolto perché il fatto non sussiste (scambio di persona);

Angelo Alati, presidente del consiglio comunale – assolto perché il fatto non sussiste (scambio di persona);

Domenico Forgione, consigliere comunale di minoranza – archiviato al termine dell’udienza preliminare (scambio di persona);

Domenico Luppino, responsabile dell’ufficio tecnico – assolto perché il fatto non sussiste.

Il Tribunale di Palmi ha restituito l’onore al comune inteso come istituzione. 

Di questo va dato atto e per questo, come comunità, dobbiamo essere contenti e fieri. Il vestito che ci era stato cucito addosso non era della nostra misura. A farne le spese per quasi tre anni, ovviamente, è stata la comunità eufemiese. Che per questo non verrà mai risarcita.

Io mi auguro che questo caso eclatante dell’ingiustizia delle misure di prevenzione antimafia possa essere di aiuto per la revisione di una legge, quella sullo scioglimento dei comuni, che è semplicemente barbara e ingiusta. Fino ad ora non ne potevamo nemmeno accennare, perché si sa come funziona in questi casi: non se ne deve parlare, bisogna aspettare che la giustizia faccia il suo corso… insomma, si va avanti per frasi fatte, anche quando, soprattutto in piccoli centri come il nostro, chi ci vive conosce la verità dei fatti al di là di ciò che si legge nelle ordinanze di custodia cautelare, si scrive sui giornali, si pontifica nelle televisioni.

Io stesso, nelle interviste rilasciate dopo la mia archiviazione, un anno e mezzo fa avevo dichiarato che il comune era stato sciolto sulla base di tre scambi di persona: quella parte di intervista non è mai andata in onda. Tuttavia comprendo la cautela dei giornalisti.

Occorre trovare un modo per fare sentire il grido di dolore di un Sud che ha sì i suoi problemi, ma subisce una criminalizzazione quotidiana e indistinta. Serve una classe politica con le palle, che faccia il bene del proprio territorio, che sappia amarlo e difenderlo, senza retorica e concretamente, pronto a pagare per questo anche un prezzo molto alto”, conclude Forgione.

Domenico Luppino

All’epoca dei fatti Domenico Luppino era responsabile dell’ufficio appalti del Comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Arrestato a febbraio 2020 per partecipazione ad associazione mafiosa, per l’ingegnere del Comune di Sant’Eufemia è stata ora disposta la scarcerazione perché “‘il fatto non sussiste”. Luppino, difeso dagli avvocati Andrea Alvaro e Luigi Luppino, si era detto fin da subito estraneo ai fatti che gli venivano imputati. Eppure per l’ingegnere Luppino la procura aveva chiesto l’abnorme condanna a 15 anni di reclusione, pur in assenza di prove tangibili di questa presunta partecipazione ad associazione mafiosa. Il Tribunale, ora, lo ha assolto e ne ha disposto l’immediata scarcerazione. Eppure la figura di Luppino è stata cruciale.

L’innocenza di Domenico Luppino, provata dopo tre anni durante i quali l’ingegnere è rimasto in carcere, dapprima a Palmi e in un secondo momento in Campania, è emblematica del grave danno, sociale e morale, subito dalla comunità eufemiese e dalle famiglie travolte da questo tsunami giudiziario.

Angelo Alati

Altra figura cardine di questa vicenda è quella dell’ex presidente del consiglio comunale Angelo Alati, accusato addirittura di avere la carica di ‘mastro di giornata’ in una cosca. Tutto Falso. Per Alati, che fu tra i primi ad essere scarcerato dal Tribunale della Libertà il 7 aprile i giudici reggini avevano accolto la richiesta di scarcerazione dei difensori, gli avvocati Guido Contestabile e Girolamo Curti. Gli elementi a carico di Angelo Alati erano riconducibili a sole 5 intercettazioni ambientali nelle quali, secondo il gip di Reggio Calabria, altri indagati parlano di un tale Angelo (a quanto pare non meglio specificato) e del suo ruolo di “mastro di giornata” ricoperto in uno dei presunti gruppi ‘ndranghetistici eufemiesi. Nel caso di Alati si è trattato di un palese e clamoroso scambio di persona.

Per dirla come l’avvocato Guido Contestabile, “se c’era un modo per rovinargli la vita quello è stato ampiamente arato dalla giustizia terrena, perché Angelo Alati è una persona inserita nei circuiti civili di Sant’Eufemia d’Aspromonte, persona pulita, incensurata, titolare legittimo di porto d’armi – ha spiegato il legale in aula – che viene a un certo punto sbattuto in carcere. Quella notte neanche capiva perché lo stavano arrestando”. Ad aver influito sulla vita di Angelo Alati, assicuratore, negli ultimi tre anni “non è tanto l’incarcerazione, quanto la sporcizia dovuta all’idea di essere ritenuto un soggetto mafioso, anche in relazione al ruolo pubblico che costui aveva”, spiega Contestabile in aula.

Per fortuna, chiosa il legale che si è visto assolvere il suo assistito con formula piena, “la giustizia funziona, la giustizia rimedia ma la vita gli è stata completamente rovinata e devastata”. Tra l’altro, precisa Contestabile, in aula uno degli stessi investigatori che si sono occupati dell’indagine ha ammesso che Angelo Alati non è il ‘mastro di giornata’ di cui si parla, ma che “questo Angelo è soggetto diverso da quello segnalato nell’informativa“. E allora, si chiede il legale, perché lo hanno arrestato? Tant’è che, spiega ancora, in una delle tante intercettazioni viene esplicitamente rivelato che non si tratta di Alati Angelo. “Per questi motivi il Tribunale della Libertà, sconcertato, lo scarcera immediatamente. Però la richiesta del rinvio a giudizio viene fatta ugualmente. Non è giustizia questa, ma ingiustizia”, chiosa Contestabile.

A Sant’Eufemia d’Aspromonte ci sono più microspie che esseri umani” ha detto l’avvocato in aula e questa considerazione è emblematica, perché evidenzia ancora di più come i tanti errori commessi in fase di indagine siano pressoché ingiustificati e ingiustificabili.

Cosimo Idà

Dell’ex vicesindaco Cosimo Idà accusato di essere nientemeno che un capo cosca abbiamo parlato in più occasioni (Il vicesindaco di Sant’Eufemia torna libero: Cosimo Idà non era il capo ‘ndrangheta “u diavulu”, smontata l’accusa dell’operazione Eyphemos), ma alla luce della giusta sentenza di assoluzione, a fronte della clamorosa richiesta di 18 anni di reclusione da parte della procura, abbiamo sentito in merito l’avvocato di Idà, Girolamo La Rosa, che ha assistito l’ex vicesindaco di Sant’Eufemia insieme all’avvocato Carlo Morace.

Cosimo Idà, alias u diavulu è un’espressione che viene scritta numerose volte nell’ordinanza, persino su un documento attestante lo stato di famiglia, sul quale compare a penna la dicitura ‘alias u diavulu’”, ci spiega l’avvocato La Rosa, a sottolineare come questa identificazione, che ora si sa essere del tutto fuorviante, venisse in realtà considerata dagli inquirenti la svolta cardine della loro inchiesta. “Per contro – spiega l’avvocato – ciò che provava l’innocenza di Idà era nascosto (il riferimento è alle famose intercettazioni secretate di cui abbiamo parlato in un articolo del 17 febbraio, ndr). Non ci sono dubbi sul fatto – sostiene La Rosa – che chi sbaglia debba andare in carcere e pagare, perché mette a rischio la collettività. Ma chi non sbaglia non deve e non può pagare”.

L’avvocato La Rosa, che ha vissuto in maniera empatica i momenti concitati che negli ultimi tre anni hanno segnato la vita di Cosimo Idà, parla ai microfoni di StrettoWeb anche del lato umano della vicenda, quello sul quale è necessario porre l’attenzione prima che su tutto il resto, perché la vita di persone oneste è stata letteralmente travolta e devastata sulla base del nulla. Ero convinto che lo avrebbero mandato a casa con l’interrogatorio di garanzia, perché è un onesto servitore dello Stato che ha fatto diverse missioni all’estero, ed è stato un amministratore integerrimo, anzi oserei dire che era la coscienza stessa di quell’amministrazione”. Eppure Idà fu sbattuto in galera, nonostante le prove schiaccianti a suo favore. E solo oggi è stata sancita la sua innocenza. “Noi abbiamo avuto la fortuna di avere davanti un grande tribunale – chiosa Girolamo La Rosa -, perché il processo è nato in un clima ostile tra accusa e difesa, ma il tribunale è riuscito ad incardinare il processo con il giusto rispetto delle parti. Io faccio questo lavoro da anni, e non è sempre così. Il tribunale è riuscito ad andare incontro a tutte le esigenze di accusa e difesa. Assolvere 30 persone è un atto di coraggio, ma è evidente che il tribunale ha veramente compreso come siano andati i fatti. Fondamentali, per l’esito del processo e per chiarire le posizioni dei tanti innocenti, sono state le consulenze: i contributi dei trascrittori Scarcella di Palmi, Pititto di Vibo e Milicia di Locri, e il prof. Mirko Grimaldi di Lecce, sono stati indispensabili per provare l’innocenza di Cosimo Idà”.

Il caso di Sant’Eufemia non è l’unico in Calabria di commissarimento selvaggio e arbitrario. Uno strumento diventato ormai il ‘jolly’ per chi, non riuscendo a sconfiggere la ‘ndrangheta consegnando alla giustizia solo chi si macchia del reato di associazione mafiosa, decide di ‘punire’ un’intero popolo, quello calabrese, come se ogni cittadino dovesse pagare ed espiare le colpe di pochi. A maggior ragione se si pensa che il Comune è stato sciolto, ma non è mai stata inviata una commissione di accesso, al fine di verificare se vi fossero incongruenze a livello amministrativo. Questa ‘mancanza’ è dovuta al fatto che si sia data per certa l’infiltrazione mafiosa,  ritenendo dunque superflua una commissione di accesso, che invece avrebbe potuto fare chiarezza. La trasparenza dell’amministrazione Creazzo, dunque, non si poteva e non si può mettere in dubbio, se non sulla base dell’indagine Eyphemos, smontata di fatto dalle sentenze della scorsa settimana.

A proposito dell’arbitrarietà del ricorso allo scioglimento dei comuni, tre anni fa avevamo intervistato Tito Squillaci, ex consigliere comunale di Bova Marina, uscito anch’egli da un lungo periodo di gogna mediatica. Leggi l’articolo: Fatta giustizia per Bova Marina: amministrazione Squillaci assolta dopo 8 anni di calvario giudiziario per la vertenza Panzera, ha difeso gli interessi pubblici nel rispetto della legge.

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