Il fastidio di pensare – Il comizio ex cathedra

Riserve che il compito di una preside sia quello di dare lezioni di vita o di etica sociale ai ragazzi, sia pure a due che se le davano

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Naturalmente ognuno ha la sua idea della società, e ciascuno è libero, senza aiutarsi con i pugni, di edificarla tentando di convincere gli altri che la sua è quella migliore. Così da sempre ci sono conservatori, reazionari, liberali, socialisti e ci saranno sempre anche i comunisti a raccontarci che fino ad ora la loro idea è fallita solo perché non si è saputa applicare bene. Ma quelli più rappresentati, e distribuiti dappertutto, sono gli stupidi, che sono anche i più ignoranti (per quanto leggano è rarissimo ne venga fuori qualcosa, perché la cultura richiede senso critico, che non si coniuga con la stupidità) e che sono anche i più dannosi di tutti. Uno dei drammi sociali della stupidità è che un cretino può rivestire diverse cariche pubbliche: il buonsenso direbbe che dovrebbe esser messo dove non fa danno, ma spesso capita anche di vederlo con incarichi di capoufficio, di direttore, ma ci sono imbecilli che fanno anche i generali, i ministri, e più un cretino ha cariche di responsabilità più danni produce, che poi pagano gli altri.

Leggiamo adesso la lettera che la preside fiorentina non si è trattenuta dallo scrivere ai due alunni. Noi, a dire il vero, avremmo molte riserve che il compito di una preside sia quello di dare lezioni di vita o di etica sociale ai ragazzi, sia pure a due che se le davano. E ci sembra disdicevole approfittare di un biasimevole episodio per edificarne sopra tutta una morale su come si deve essere e su come si deve costruire la società. Perché, appunto, ognuno ha le sue idee, la sua concezione di vita, e riteniamo che sia sbagliato tentare di imporla anche agli altri da dietro non la cattedra, ma addirittura l’ufficio di una direzione scolastica. Una cosa è rimproverare, un’altra è dire che se non si vogliono vedere certe cose lo Stato deve essere come dico io. Se poi queste idee sono anche tenute assieme con qualche passata di scotch di ignoranza, allora la cosa ci spaventa anche un po’.

Parte dal presupposto, quella lettera, abbastanza diffuso nel sentire comune che il “fascismo” non sia una precisa ideologia politica, ma una sorta di atteggiamento dell’animo, un modo di essere di fronte al reale. Io sono un fascista quando faccio il prepotente o non condivido le tue idee. Non sono rare nel quotidiano affermazioni del tipo: “Quello lo ha aggredito, ha fatto il fascista” o “Cerca di rispettare le mie idee, non comportarti da fascista”. “Fascista” per chi usa così la lingua sarebbe un sinonimo di prepotente, violento o irriguardoso. Si tratta di un modo di esprimersi del tutto inappropriato, oltre che strampalato, ma l’uomo della strada che lo adopera, oltre che ignorante, è anche troppo accidioso per andarlo a scoprire. Chi non può permettersi di essere entrambe le cose è chi dirige un Liceo. Cosa significhi fascista è qualcosa di storicamente determinato, e non si identifica con un atteggiamento ma con un preciso sentire politico che la storia ha identificato. E non meno strampalata e popolaresca è la sua ricostruzione di come sia nato il fascismo in Italia. Esiste una bibliografia vastissima di ottimi studi sulla nascita del fascismo in Italia, sul suo contesto storico e culturale, per non creare la metafora macchiettistica che il fascismo nacque quando una persona ne aggredì un’altra e gli altri stettero zitti. Se la preside non li conosce, e neanche li vuol leggere, almeno non ci imponga la sua versione (ma una delle caratteristiche di questa gente è, contrariamente alle persone colte che dubitano sempre, di essere sicuri di quel poco che credono di sapere). Quanto a Gramsci, gli eventi storici ne fecero certamente un martire, ma anche qui bisogna chiarire non poche cose. Ognuno naturalmente è libero di crearsi i miti che vuole, ma non oltraggiando la storia. E certo la preside ha le idee non poco confuse se lo oppone al fascismo come esempio di libertà avversa al totalitarismo, ché anche egli era esponente di una teoria totalitaria, sia pure opposta, e quello che la storia aveva messo di fronte non era il conflitto tra un uomo libero di fronte al regime, ma tra due concezioni dittatoriali. Ma ancor di più, se Gramsci era in carcere fu proprio perché ai suoi compagni di partito conveniva che fosse così, che infatti prima lo tradirono e poi non fecero nulla per ottenerne la scarcerazione, che avrebbero anche potuto ottenere (Gramsci nel partito apparteneva alla corrente minoritaria, e mentre nel carcere fascista poté anche permettersi di scrivere, nella Russia stalinista, quella che aveva pagato un sicario fino in Messico per fare uccidere Trockij, non sarebbe durato una settimana).

Insomma, picchiarsi è brutto, ma questo lo si sapeva già. Offendere gli altri per la propria diversità invece di tentare di capirla e di farne un’occasione di cultura, non lo è meno. Ma ci sono tanti modi, molto semplici e banali di dirlo. Quello che ci dà fastidio è approfittare di questi episodi per fare discorsi fuori luogo circondati di sciocchezze, ignoranza, sermoni politici (secondo una personale concezione), il tutto su carta istituzionale.

In Italia, come detto, il partito politico più rappresentato è quello, trasversale, della stupidità, che vanta componenti anche negli alti uffici e trova subito seguaci. E infatti appena il ministro ha mostrato di non gradire, subito è partita una vastissima petizione a difendere la lettera. Non ne dubitavamo: gente che si sente, così facendo, orgogliosamente antifascista: ma il fascismo, quello vero, si è sempre servito di queste greggi.

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