Il francese Louis Braille, dopo aver frequentato l’Istituto Valentin Hauy di Parigi, ed aver imparato a leggere dei caratteri di stampa in nero (scrittura utilizzata dai vedenti), a quindici anni inventò una barra che permise ai non vedenti ed agli ipovedenti, di poter leggere e scrivere. Louis Braille trovò la sua ispirazione grazie a Charles Barbier, un militare francese che gli mostrò come decodificare dodici punti scritti a rilievo, metodo utilizzato dalle forze armate per inviare, di notte, alcuni messaggi. Purtroppo Louis Braille morì di tubercolosi nel 1852, prima di aver potuto vedere il primo libro, stampato con il sistema di lettura e scrittura da lui inventato, evento realizzato nel 1827. Ogni punto del sistema Braille, ha un diametro preciso circa 1,5 millimetri perché, i polpastrelli delle dita debbono poter sentire gli stimoli necessari e trasferirli ai neuroni.
Il cervello traduce questi impulsi e li interpreta consentendo al non vedente di riconoscere ciò che ha scritto e che si trova sotto il dito. Per tantissimi anni, i non vedenti per leggere utilizzavano una tavoletta munita di righello che delimitava il rigo e, un punteruolo per punzonare la carta utilizzata che aveva ed ha una grammatura molto più pesante rispetto a quella utilizzata nei quaderni dei ragazzi vedenti. La fatica era notevole perché la punzonatura richiedeva una forza costante in modo da non bucare la carta e quindi, non permettere di riconoscere la parola scritta. Adesso, l’informatica, ha fornito un grande aiuto ai non vedenti che, sia attraverso la sintesi vocale che, utilizzando un display braille, (un piccolo righello che si colloca in basso rispetto alla tastiera del computer), riescono a leggere quello che i vedenti, normalmente vedono nel monitor. Il tutto sembra di una facilità unica ma, non è così perché occorre grande impegno, dedizione ed esercitazione.
Per questo motivo, i non vedenti debbono faticare il doppio rispetto ai vedenti, per potersi realizzare e integrarsi, a pieno titolo, nella società. Una vera e completa inclusione deve prevedere la presa di coscienza da parte di coloro che vedono, delle difficoltà e delle esigenze di chi è costretto a vivere l’intera esistenza, con un problema non dipeso certamente dalla sua volontà. Compassione e pietismo sono atteggiamenti inutili ed inaccettabili in quanto, non rappresentano la soluzione per un vero processo di inclusione che dev’essere vissuto insieme alla persona che non vede. Proprio per sensibilizzare i cittadini anche su questi problemi, il parlamento italiano con la legge n. 126 del 3 agosto 2007, ha istituito la giornata nazionale del braille che si celebra il 21 febbraio.
Simona Ceraolo è una ragazza non vedente trentatreenne, psicologa e responsabile dell’equipe pluridisciplinare della UICI di Messina. Ha perso la vista a tredici anni e, passare dalla condizione di vedente a quella di non vedente non è certo stato facile. Ridisegnare la sua vita alla nuova condizione, ha comportato sacrifici, rinunce e soprattutto consapevolezza che doveva reagire per dimostrare agli altri e a sé stessa, di essere una ragazza coriacee, intelligente e desiderosa di realizzare un progetto: aiutare coloro che si trovavano in una condizione di disagio. Adesso, svolge l’attività professionale anche presso l’Anffas di Patti, è docente presso i corsi Asacom, ha insegnato all’Università di Messina, è animatrice e catechista nella parrocchia San Giuseppe a Capo D’Orlando e soprattutto, volontaria con esperienza in terra d’Africa dove ha portato il suo coraggio e le sue competenze scientifiche, per donare un po’ di “luce” a persone che non possiedono neanche un banale collirio e un occhiale per correggere lievi difetti della vista che, se non curati, portano inevitabilmente alla cecità.
Sorriso smagliante, consapevolezza di preparazione e professionalità secondi a nessuno. Non ha bisogno di “regali” ma di convinti apprezzamenti. Simona Ceraolo ritiene che “nonostante siano passati più di 200 anni dalla sua invenzione, rimane un valido strumento utilizzato dalle persone con disabilità visiva, per l’integrazione e l’inclusione non solo scolastica ma anche sociale, di conseguenza, culturale nonostante la tecnologia e quindi vengono associate alla classica scrittura braille la tecnologia assistiva”. La psicologa Ceraolo parla di “inclusione che, in determinate situazioni discriminano le persone con disabilità visiva; anche la scuola crea qualche difficoltà ai ragazzi in quanto, alcune di loro, non sono pronte ad accogliere e quindi a mettere a disposizione dei non vedenti quelli che sono gli strumenti necessari affinché possa intraprendere un percorso scolastico in maniera funzionale ed adeguato ai suoi bisogni”.
Simona Ceraolo parla anche della sua attività presso l’Anffas di Patti centro diurno con ragazzi con disabilità intellettive e/o relazionali. Con una serenità ed una calma glaciale, la psicologa Ceraolo riferisce che, “nonostante sia una non vedente, ha ritenuto opportuno mettersi a disposizione di chi si trova in difficoltà in quanto ciò che conta veramente è la “persona” al di là del limite che si ha ma, ciò che conta veramente, sono le caratteristiche peculiari che ogni persona possiede”. Parla poi della sua esperienza in Africa “molto bella ed edificante che le ha permesso di comprendere, ancora una volta, la bellezza della vita, ma soprattutto che le difficoltà non sono un ostacolo che “impedisce” lo svolgimento “normale” della vita ma, vanno affrontati e superati”.
Infine Simona Ceraolo parla “delle relazioni che è riuscita a crearsi nonostante gli impegni e le problematicità legata alla mobilità autonoma, relazioni che, insieme a lei, costruiranno un futuro fatto di condivisione, accettazione e donazione”. Pensiamo che guardare alla disabilità avendo come esempio Simona Ceraolo, ci fa porre degli interrogativi soprattutto riferiti a chi è “veramente cieco” non riuscendo a vedere ciò che va oltre il suo naso. Simona riesce a “vedere oltre il buio dei suoi occhi”, per costruire un mondo più luminoso dove pregiudizi e barriere dovrebbero essere un lontano ricordo.