A farci venire qualche dubbio sulla democrazia basterebbe il giovane Hitler che, incarcerato a Monaco, si mette a riflettere sui testi di Le Bon e alla fine scopre che per impadronirsi del potere non è necessario fare un colpo di Stato ma basta conquistare l’elettorato, e si appropria della nazione più colta del mondo. E quando il generale pakistano Iskander Mirza si rese conto che la democrazia non funzionava la abolì seraficamente e si giustificò con rigurgiti illuministi a un giornalista: “La democrazia è una bella cosa, ma non adatta a un paese dove il settanta per cento non sa leggere e scrivere. Non le pare che io conosca meglio di tutta questa gente che cosa va bene per il nostro paese?”.
Mezzo secolo dopo l’abolizione dei Fratelli Musulmani in Egitto dimostrò che forse non aveva tanto torto. Per questo è sempre pericoloso fare della democrazia solo un fatto di numeri e non un fatto di peso. Il problema, con certe forme politiche, è che poi bisogna vedere come sostituirle, e che chi crede di avere l’alternativa e si sente sempre di essere investito un po’ come un filosofo platonico. Ma di questi filosofi platonici ne abbiamo già visti tantissimi in Italia negli ultimi anni venuti a fare miracoli e che hanno lasciato danni ancora più grandi, e per fortuna che c’era il voto per toglierceli dai piedi: Dini, Monti, Renzi, il Migliore per antonomasia Draghi, accolti da ovazioni plebiscitarie e cacciati a bestemmie. Adesso ce ne è un altro che, siccome l’ovazione plebiscitaria non ce l’ha mai avuta e si è dovuto accontentare di un “misero” scranno parlamentare, allora comincia a lamentarsi dicendo che è il popolo ad essere deficiente e non capire quello che lui rappresenta, che lui (è un altro che, aggiungiamo noi) ce l’avrebbe la soluzione per questo paese. E dopo l’ennesima sconfitta dobbiamo assistere stavolta ai deliri di Carlo Calenda che, se prima riusciva a pensarli solo, stavolta lo dice espressamente.
Di gente che ha soluzioni per salvare questo paese ce ne è tanta che dal numero dei loro libri si potrebbe riformare la biblioteca di Alessandria: solo ci si chiede come mai questo fortunato paese che pullula di geni abbia un debito pubblico così spaventoso. Adesso, poiché da quando non gli vengono più imposti la gente non si degna motu proprio di votarli, passa anche per deficiente: hai qui davanti a te la ricchezza e non ti preoccupi neanche di allargare il braccio per appropriartene. Orbene, noi naturalmente non crediamo che consensus facit veritatem, ma questo, naturalmente, lo aveva già detto il più grande difensore della democrazia, Hans Kelsen: noi crediamo nella democrazia proprio perché non crediamo nella verità e in tutti i suoi venditori a buon mercato. Però non crediamo neanche che il popolo sia quel deficiente dipinto a tinte fosche dagli sconfitti. C’è una grossa quota di ingenui, sì, ma questo fa parte della natura umana, ma poi la gente sa bene quello che vuole, o a volte anche solo quello che vuole evitare.
Se Mussolini vinse fu perché fu l’unico in grado di garantire la fine della guerra civile mentre i suoi avversari si accapigliavano; se per quarant’anni la Democrazia Cristiana, pur con tutto il suo squallore, rimase al potere, fu perché dall’altro lato c’era la dittatura, e allora molti elettori si turarono il naso. Ma non perché non vedevano, ma solo perché finsero di non sentire. C’è poi molta gente che, come Calenda, ha la tendenza a credere che i cretini stiano sempre dall’altra parte. Molto squallore personalistico degli ultimi anni non è stato mai eletto, ma solo imposto, e quanto si era montato la testa gonfiato da certa stampa accondiscendente lo ha scoperto quando le urne gli hanno dato percentuali miserevoli. Dini, Monti, Renzi, il Migliore erano solo creature da prima pagina, generali senza esercito (e senza strategia). Adesso un esercito lo pretende, e si lamenta facendo i capricci con l’elettorato, Carlo Calenda, che nonostante abbia goduto ancora una volta di largo appoggio massmediatico, dopo questa nuova sconfitta non riesce a spiegarla se non con la stupidità di chi va a votare.
Ma ancora una volta l’elettorato, crediamo, ci ha visto giusto. Non quello che è andato a votare, quella minoranza che si è scomodata e, tra lo squallore generale, gli ha dato una minoranza tra la minoranza, ma la parte maggioritaria che, dando uno sguardo alle liste non ha le ha degnate neanche di una decina di minuti del suo tempo. È il partito dei rassegnati che, a differenza dei tempi prefascisti e democristiani, non vedendo all’orizzonte pericoli di guerra civile o di dittature, non ha ritenuto di doversi scomodare. Naturalmente gli eletti e i cosiddetti “governatori” ci saranno comunque e tutto sarà fatto passare per una grande vittoria che rafforza il governo, ma noi crediamo che, come non c’era da sperare nulla sulle grandi armate che andavano a combattere con le fanfare e le suole di cartone, anche i buchi compariranno allo sciogliersi della neve. Forse il popolo non avrà grande cultura, ma quella saggezza mista a furbizia che gli ha sempre fatto capire dove una persona l’avrebbe portata, di chi fidarsi e chi no, che se avesse potuto scegliere molti non li avremmo visti in giro negli ultimi anni, di quelli che sono stati scelti tra i vertici altissimi che a noi ci gira la testa solo a sentir nominare i loro titoli, ma poi ancora i loro danni li dobbiamo riparare.