Messina, la docente Farinella: “Santina Parisi, dopo il trapianto, non doveva tornare a vivere nella baracca” | INTERVISTA

Intervista a Domenica Farinella sociologa economica presso l’Università di Messina

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Tornando al caso della signora Santina Parisi, deceduta il 12 gennaio a causa di toxoplasmosi, contagiata dai topi che popolavano la sua baracca di Giostra, abbiamo sentito la professoressa Domenica Farinella, associata di Sociologia Economica presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche dell’Università di Messina esperta dei fenomeni legati all’evoluzione storica dell’insediamento delle baracche a Messina,  autrice di diverse pubblicazioni tra le quali “The Endless Reconstruction and Modern Disasters – The Management of Urban Space Through an Earthquake – Messina 1908-2018” uno studio, che mette sotto la lente d’ingrandimento, anche alcuni dei processi di speculazione urbana nati alla fine dell’Ottocento. Farinella ha messo in evidenza l’avanzamento di una classe “marginale” della società messinese che si è sviluppata, non fuori della città ma dentro il tessuto abitativo. Col passare del tempo, questa classe sociale, ha acquisito maggiori spazi fino a diventare quasi un simbolo di una urbanizzazione che si è sviluppata attorno alle baracche, luogo di riproduzione di una parte importante della società e, spazio dove si sono sviluppate importanti relazioni.

La professoressa Domenica Farinella ha collaborato con Caritas diocesana e con Arisme nella redazione di report che mettono in luce, tra l’altro, l’emergenza abitativa a Messina e la presenza di nuclei familiari nelle baracche. Esaminando la fine drammatica della signora Santina Parisi, la prof. Farinella ha le idee molto chiare infatti, ritiene che “la signora Parisi, anche se può sembrare un caso a sé stante, in realtà è una situazione che può essere emblematica in quanto mette in luce un’assenza di raccordo tra i servizi ospedalieri ed i servizi territoriali. Le politiche sociali dovrebbero generare una integrazione socio-sanitaria e quindi, prosegue la Farinella, fare in modo che ci sia un’assistenza circolare rispetto a quelle che sono le esigenze del cittadino. Nel caso della signora Parisi che aveva subito un intervento chirurgico di una certa importanza che necessitava, pertanto, di un adeguato contesto per potersi riprendere del tutto e quindi poter affrontare il reinserimento nella quotidianità è mancato. Tutte le volte che la situazione abitativa, la situazione di supporto familiare è carente, dice la sociologa, “dovrebbero essere i servizi ospedalieri attivando tutti quelli i servizi sociali all’interno dell’ospedale, a costruire un canale di dialogo nel territorio che permetta di poter trovare delle soluzioni adeguate, in questo caso una situazione abitativa che non fosse la “baracca” per permettere alla persona di riprendere la qualità della vita pre operazione e, soprattutto per non disperdere quello che è stato il lavoro e l’investimento sia in termini di salute ma anche in termini emotivi”.

Quindi, prosegue la prof. Farinella “da una parte il costo sanitario per l’intervento, dall’altra la reazione emotiva entrambi, cestinati perché non è stata attivata una riabilitazione corretta, perché non è stata messa la persona, in una condizione tale da aver un habitat idoneo”. L’interazione socio sanitaria, dichiara la docente, significa che “non occorre costruire case, casermoni, palazzoni, perché Messina è schiacciata dalle case; la popolazione diminuisce sempre di più, a ritmo da spopolamento. Messina continuerà ad essere una città solo di anziani allora, occorre migliorare la qualità della vita per le persone che vivono nella città per farle stare bene. Spesso molti politici parlano di investimenti, vogliono trovare soluzioni per fare venire i turisti quindi, fare tutto per le persone che vengono da fuori e niente per i propri cittadini”. Farinella insiste affinché ci si renda conto che “ormai la signora Santina Parisi è deceduta, non si può più tornare indietro però, per la prossima volta, se ci dovesse essere una persona che esce da un percorso di cure tumorali o di altre patologie invalidanti, non venga indirizzata in una abitazione che metta a rischio la propria salute ma, in un contesto adeguato”. “Oggi – spiega- è possibile monitorare ogni aspetto socio sanitario della popolazione in quanto, esiste la digitalizzazione della sanità, i fascicoli elettronici; chi lavora negli ambiti sociali è a conoscenza di quali persone si trovano in queste condizioni, e per loro, è indispensabile creare un servizio che permetta di avere dei canali per garantire un idoneo percorso di riabilitazione, di reinserimento, che implichi comunque anche l’abitare”.

Tutto ciò significherebbe che Messina è diventata una città “normale” proiettata verso l’Europa, centro nevralgico del Mediterraneo ed asse strategica per il commercio sia via mare che via terra. Ma, forse non è così, probabilmente manca la volontà in chi ha raccolto i consensi politici dei cittadini, di operare per l’interesse comune. I messinesi dovrebbero pretendere maggiore rispetto da parte di tutte le istituzioni, seguendo le indicazioni della professoressa Farinella, si dovrebbe lavorare per rendere vivibile un luogo magico che la natura ha incastonato nello splendido scenario dello stretto da una parte e, dalla sfavillante vegetazione dei Peloritani dall’altra. Una città che era stata disegnata accanto ai suoi torrenti e che oggi, per una cementificazione selvaggia, ha visto sparire un elemento identificativo storico strutturale. Una città che continua ad essere mortificata anche da chi definisce autostrada, un percorso posto sopra dei tralicci e che, da oltre un decennio, offende la dignità e la pazienza di quanti sono costretti a percorrere quel tratto di strada, ogni anno, terreno di morti annunciate. Un invito a chi dovrà gestire la riqualificazione delle aree prima occupate dalle baracche: pensate a rendere vivibile ogni luogo che rappresenta la memoria storica di una città che nel 1908, un terremoto, ha cancellato. Lasciamo perdere le farneticazioni di qualche sottosegretario, non costruiamo “poligoni di tiro per insegnare agli studenti a sparare”. Proposta più infelice non poteva essere fatta, basta vedere gli oltre 30 mila morti l’anno in America, uccisi dalle armi da fuoco. Questo l’infelice “record” è stato ottenuto a seguito della liberalizzazione della vendita delle armi. Realizziamo invece parchi e luoghi di aggregazione per dare la possibilità, soprattutto ai ragazzi ed agli anziani, di vivere in maniera meno frenetica, riappropriandosi della socializzazione e dei rapporti umani.

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