E così alla fine il Comune, imperterrito e strafottente a tutte le critiche e le obiezioni che per mesi gli sono state mosse da più parti, continua nella sua idea di violentare piazza De Nava senza che ce ne sia alcun bisogno. E che tra l’altro non è una piazza qualunque ma è uno dei centri storici cittadini e quello antistante al Museo Archeologico, quindi a più diretto contatto visivo di quei tanto agognati turisti che si degneranno di venire. Quindi, come dire, invece di dedicarci a tutto quello che è rovinato e andrebbe aggiustato, e Dio sa se ce ne è, dedichiamoci piuttosto a rovinare quel poco che ancora va bene e roviniamo pure questo, tanto per porlo in sintonia con tutto il resto. Una collega intervista il sindaco facente funzioni per chiedere spiegazioni, parole da cui ci aspetteremmo una sostanziosa risposta a mesi di cospicue critiche al progetto. E ce ne sentiamo a dir poco imbarazzati. Intanto, esordisce, non c’è nessun intervento, ma solo l’allestimento del cantiere attorno alla piazza. C’è di che tirare un sospiro di sollievo: possiamo stare tranquilli allora. Chissà che ci eravamo creduti. Da questo incipit abbiamo l’idea che non sarà un discorso molto profondo. Come dire: mica ti stiamo impiccando, stiamo solo montando il capestro. Ma fino a quel momento, cosa diavolo hai da piangere?
Poi, dice, non mi sembra che la gente sia contraria al progetto. Siamo esterrefatti: da mesi in città non si fa che criticarlo. Forse che lui non vive a contatto con il contesto sociale e culturale che amministra? Ma in realtà, dice, sono solo “le stesse persone” che ne parlano, mica “la totalità della popolazione” (sic). Forse che il signor Brunetti per convincersi voleva le rivolte con le barricate (e davvero ci sarebbero state, se la città non è ormai rassegnata). Ma quelle che lui chiama “le stesse persone” (e in realtà non solo loro) sono in realtà i maggiori studiosi di storia e di cultura cittadina, quelli che hanno dedicato decenni a ricostruire quasi dal nulla la storia di una città violentata. Ci verrebbe da criticarlo, ma avvertiamo in quelle parole un fondo di innocenza un po’ naif di chi non sente neanche il bisogno di conoscere e approfondire, e quindi ci sembra finanche inutile suggerirgli di studiare i libri di Franco Arillotta o di Pasquale Amato (ne citiamo solo un paio e pluribus, senza minimamente nulla togliere di importanza e di stima a tutti gli altri).
E poi la piazza, afferma, non sarà mica stravolta, perché il monumento non sarà tolto, ed anzi verrà anche ripulito. E quasi ci sembra che quelli che hanno fatto tutte queste critiche in questi mesi siano dei poveri deficienti: ma poveri scemi, perché quindi gridar tanto? Il monumento non lo volevano mica buttar via (e ci mancava pure), sempre lì resterà, e quindi tutti questi mesi di urla, di chiacchiericcio insulso non avevano motivo d’essere. Noi non sappiamo che studi abbia fatto il signor Brunetti, certamente non architettura, ma probabilmente era molto distratto anche quando a scuola spiegavano estetica. Per lui basta tener là una statua, poi puoi modificare tutto d’intorno e in fondo non hai cambiato nulla. Nelle città del Nord, dove hanno delle piazze, ma anche delle vie, che sono immutate (ed immutabili per legge) da secoli ed anche se togli una finestra poi la devi ridisegnare tale e quale sul muro, e se in un condominio il primo sceglie una tenda poi tutti gli altri debbono comprarle uguali, riderebbero saporitamente di questo ragionamento. Ma poi, come nell’Umorismo pirandelliano, quelle risate si trasformerebbero in qualcosa di profondamente malinconico quando scoprirebbero che il suo autore è uno che qui fa il sindaco (quello originale per problemi diciamo personali al momento vive fuori da queste insulse questioni) e prende decisioni amministrative.
Ma ecco che, da buono psicologo, Brunetti scopre anche la motivazione di tutti questi fastidiosi timori: è il nuovo che ci spaventa. Ma non bisogna porsi con atteggiamento di immotivato pregiudizio di fronte all’avanzare della modernità, non bisogna chiuderci nelle nostre fobie, e presto il tempo dimostrerà che le nostre erano solo sciocche paure, come per le precedenti piazze. In realtà noi, che non temiamo d’essere dei neofobici, sogniamo di vedere Reggio nuova e sempre migliore, ma non a discapito del patrimonio storico. Crediamo, per esempio, che sia stato a suo tempo un autentico crimine abbattere il castello per fare le strade dritte, anche se in quel momento quello era il “nuovo” e c’erano i soliti idioti che si opponevano perché non capivano niente, ma ogni tanto a Reggio viene questa ansia di amministrazioni neofile che vogliono distruggere quel che puzza di vecchio per costruire qualcosa di più moderno. Abbiamo visto di buon grado la costruzione di piazza Duomo in un’isola pedonale, ma ricordiamo anche che il progetto originario, prima che un cospicuo numero di cittadini ne chiedesse urlando la modifica, prevedeva l’abbattimento di tutti gli alberi: anche gli urbanisti presentano, e non è la prima volta, delle imbecillità dove un normale cittadino mostra più buon senso.
Adesso tremiamo a questo scempio che si vuole fare al centro cittadino, dal punto di vista estetico, storico, culturale. Purtroppo da queste cose non si potrà tornare indietro. Questa amministrazione ha scelto di porsi contro il mondo cittadino e intellettuale, ma detiene il potere esecutivo. E come quando crollò il castello, non basterà dire: “Io mi battei perché non accadesse”. Purtroppo in questo paese quei pochi che ancora vanno a votare non votano per fiducia a una persona, ma solo per paura che l’avversario possa fare danni più grandi ancora. Ma poi uscendo incrociano le dita e si dicono: “Speriamo che almeno non faccia grossi danni”. Ma non sempre sono esauditi.