Il presidente dell’Istat su Autonomia, occupazione, Pil e demografia: “ecco la situazione in Italia”

Gian Carlo Blangiardo delinea quella che Gobetti o Silone chiamavano “l’autobiografia di una nazione”

StrettoWeb

In un’intervista a Libero, Gian Carlo Blangiardo, docente all’Università Bicocca di Milano e Presidente dell’Istat, delinea quella che Gobetti o Silone chiamavano “l’autobiografia di una nazione”, parlando di Autonomia differenziata, occupazione Pil e demografia. “L’economia? Dai dati in nostro possesso oggi ricaviamo ottime e impreviste uscite sul Pil, oltre a un clima di fiducia che tocca, pur con qualche su e giù, famiglia e imprese; un’economia che è ben orientata alla ripresa. La situazione non è straordinaria ma di certo neanche destabilizzante”, rimarca Blangiardo.

“L’occupazione? Ci sono livelli alti rispetto al passato (andando a memoria siamo ora a 23 milioni di occupati) è un elemento
confortante. Se guardiamo solo nel 2020, durante la pandemia, la botta sull’occupazione era stata drammatica, e gli accadimenti successivi non hanno aiutato. Bene, ora siamo a livelli superiori anche rispetto a prima del 2020; è un segnale interessante. E sull’export prima la bilancia commerciale era falsata dalla pandemia, poi dalla dipendenza dal gas russo. Ora, nonostante la guerra, ci sono stati momenti in cui, come performance, abbiamo superato anche la Germania”, evidenza.

“La polemica sull’Autonomia differenziata c’è solo in chi vuole attizzarla. In realtà sia nei suoi pro che nei suoi contro, l’Istat può fornire alle istituzioni che lo richiedano i dati sugli elementi di differenziazione del territorio: sanitari, economici, sociali e demografici. L’Italia è fatta anche di tantissimi paesi montani popolati da anziani con i giovani che scendono a valle a cercare fortuna. L’obiettivo dell’autonomia è trovare le soluzioni per massimizzare la qualità della vita degli italiani, magari anche con un fondo perequativo. L’Istat, le ripeto, ha prodotto dati sui 7903 Comuni italiani e sulle 14 città metropolitane. Li stiamo già mettendo in parte a disposizione di governo e Parlamento, dei vari commissari e ministri che vogliano avere una mappatura precisa“, sottolinea Blangiardo.

“Devo dire che, nel campo delle previsioni demografiche, l’Istituto si è conquistato buone referenze. Ad esempio, quando a metà degli anni ’90 si diffusero gli scenari previsti fino al 2050 si ipotizzò al 1° gennaio 2020 una popolazione che, nella variante più accreditata sarebbe stata di 56 milioni di residenti. È vero che se andiamo a vedere la popolazione che poi abbiamo censito in quella data ne contiamo poco meno di 60 milioni, ma va considerato che tra di loro ci sono ben 5 milioni di stranieri, una componente la cui intensa crescita era abbastanza imprevedibile a metà anni ‘90, Oggi possiamo dire che tra il 1861 e il 2022 la popolazione italiana si è più che raddoppiata, siamo 59 milioni di residenti entro i confini nazionali, di cui oltre 5,1 stranieri, e stimiamo 5,8 milioni di residenti all’estero. Da sottolineare che in ognuno degli ultimi nove anni la popolazione residente ha continuato a ridursi. Eravamo 60,3 milioni al primo gennaio 2014 e siamo a 58,9 milioni secondo l’ultimo dato del 30 novembre 2022. Nel 2021 abbiamo avuto 400mila nascite, il valore più basso di sempre, e nel 2022 si registrerà un dato verosimilmente ancora più basso. Tornando agli scenari proposti nelle previsioni, che Istat aggiorna e diffonde costantemente, se oggi abbiamo 800mila persone con almeno 90 anni, nel 2050 ne avremo 1,7 milioni e nel 2070 arriveremo a 2.2 milioni. E tra di esse 145mila residenti saranno ultracentenari, oggi sono 20mila. Tutto questo nel contesto di un Paese che oggi ha 59 milioni di abitanti e nel 2070 ne avrà 11 milioni in meno: 48 milioni di cui, come si è detto, 2,2 milioni con 90 anni o più”, afferma il presidente dell’Istat” spiega Blangiardo.

“Bisogna dire che Africa è predisposta per darci delle grandi forniture energetiche, ed è il paese più demograficamente in evoluzione. Nei prossimi tre decenni il continente africano arriverà ai 3 miliardi. Guardando altrove l’India è ancora sulla strada della crescita, mentre la Cina si è fermata, ha invertito la tendenza e ora sta pericolosamente invecchiando. Non v’è dubbio che il cambiamento negli scenari internazionali comporta tutta una serie di conseguenze economiche e sociali, ma le nostre soluzioni devono essere soprattutto interne. Cosa Fare? Valorizzare la componente over 60, il cosiddetto “anziano attivo”, come solo in parte già accade. È inoltre essenziale rilanciare le nuove generazioni sul piano di una formazione funzionale ai bisogni del Paese ed è importante anche favorire le loro scelte di vita familiare. Poi ancora dovremmo saper governare-perché no?- l’immigrazione, non subirla ma renderla integrabile e funzionale all’esigenze di chi accoglie e degli stessi paesi dai cui gli immigrati provengono. Favorendo in tal senso anche quei processi di migrazione circolare che aiutano l’imprenditoria e lo sviluppo dei paesi d’origine”, prosegue Blangiardo.

” Se abbiamo esportato cervelli? Si, è innegabile. E i dati statistici ci dicono che sono per una parte considerevole giovani con la laurea e spesso col dottorato: giovani in cui avevamo molto investito. Ma che oggi, date le condizioni del nostro lavoro, se a un certo punto ti dicono vado a Londra non puoi dargli torto. Dall’altro lato, è vero, abbiamo acquisito “braccia”, forza lavoro dall’estero, di cui però avevamo bisogno: operai, badanti, perfino raccoglitori di pomodori. Si è trattato di un contributo importante che va mantenuto e gestito anche con una attenzione ai numeri: non si tratta solo di dare un lavoro, ma soprattutto di dare quanto altro serve per la qualità della vita (casa, scuola, servizi) ed è difficile poter rispondere adeguatamente a questi bisogni con flussi annui che siano di dimensioni eccessive”, dice Blangiardo.

“La questione del rilancio della natalità – spiega- non è un punto fermo per chi è cattolico, deve esserlo per chiunque abbia capito dove si sta andando e con quali conseguenze per tutti, al di là dell’’appartenenza religiosa. Va dato atto che si sta iniziando a fare qualcosa e si cerca di uscire dalla vecchia logica di interventi a favore delle famiglie con figli, solo se povere. La azioni di contrasto alla povertà non vanno confuse con gli interventi di natura demografica. L’assegno universale è stato un primo importante passo in avanti, così come le più recenti misure del suo adeguamento, ma c’è ancora molto da fare. Un altro passo dovrebbe essere il previsto miglioramento dell’offerta di asili nido. Occorre lavorare anche su altri fronti, quello della conciliazione tra maternità e lavoro, del coinvolgimento di terzi – il privato sociale, le imprese – nei progetti di sostegno alla genitorialità e alla organizzazione della vita della famiglia con figli. Ma il problema è anche di natura culturale: si deve entrare nell’ottica che, per dire, nella fiscalità generale, sia giusto che le famiglie che hanno più figli ricevano contributi anche da quelle che non ne hanno. Perché non vale più il principio: «Avete voluto i figli? Sono fatti vostri», ma quello secondo cui: i vostri figli sono anche fatti nostri, sono economicamente la benzina nella macchina dello Stato e del welfare. Io, per esempio, ho due figlie: la mia piccola parte l’ho fatta”, conclude Blangiardo.

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