Reggio Calabria, la sorpresa di “Class”: nella nota gioielleria del centro un eccezionale Pupo di don Natali che racconta la storia della città | FOTO

Reggio Calabria, viaggio nel cuore della città: l'eccezionale documento storico del Pupo di don Natali custodito nella centralissima gioielleria "Class" di Giovanni Santoro

  • pupo Natale Meli gioielleria reggio calabria
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“Class” è molto più di una gioielleria per Reggio Calabria: quello di Giovanni Santoro, che è stato presidente di Confcmmercio dal 2012 al 2019 nei momenti più duri e difficili della storia recente della città, è un vero e proprio punto di riferimento per gli amanti del buon gusto e della qualità. In pochi, però, conoscono quello che forse è il gioiello più prezioso (almeno sotto il profilo storico e identitario) che “Class” custodisce con enorme passione: un fantastico Pupo originale di Natale Meli. All’interno della gioielleria, infatti, si può ammirare l’incredibile bellezza utilizzata ai tempi dal puparo catanese che divenne famoso a Reggio Calabria, e che oggi purtroppo è stato dimenticato da quasi tutti tanto che non c’è grande memoria storica. Almeno fuori da “Class”.

Nella gioielleria, invece, Giovanni esalta la bellezza del Pupo affiancato da una pergamena che documenta la storia di Natale Meli grazie al testo di Antonio Calabrò che il colto e brillante gioielliere sa recitare con eccezionale trasporto e passione, regalando agli avventori un emozionante viaggio nella Reggio che fu. Lo riportiamo di seguito:

Natale Meli, puparo catanese, si trasferì a Reggio Calabria nel 1933 dove creò un piccolo (ma frequentato) teatro di marionette, l’Opera dei Pupi, che proseguì l’attività fino ai primi anni ’60. I suoi spettacoli in breve conquistarono il pubblico cittadino, che assisteva numeroso alle rappresentazioni; un pubblico eterogeneo: dai bambini vocianti agli studenti, dai popolani ai raffinati aristocratici, tutti assistevano divertiti alle esibizioni dei “Pupi”, parteggiando per l’uno o per l’altro ma soprattutto, e in questo Don Natà era unico, interloquendo con lui, il “mastro-puparo”. L’opera dei Pupi deriva dall’antica tradizione dei cantastorie; spesso analfabeti, i pupari conoscevano a memoria opere come L’Orlando Furioso e la Gerusalemme Liberata, che adattavano alle esigenze di un pubblico desideroso di spasso facile. Le marionette, i famosi “pupi”, erano realizzate artigianalmente, con grande dovizia di particolari: Natale Meli realizzava da sé le sue creature, aiutato dal lavoro di cesello di Giovanni Bruno, detto “L’argenteri”, originario di Messina.

Lo svolgimento delle storie era semplice e manicheo: da un lato i cristiani, i “buoni”, capeggiati da Orlando o da Rinaldo, eroi protagonisti, solitamente impegnati a salvare la bella Angelica dai musulmani Rodomonte o Ferraù, cui dava manforte l’odiato traditore Gano di Maganza. Natale Meli muoveva le marionette prestando loro anche la voce, cambiando tonalità per ognuno; ma sin dalle prime esibizioni a Reggio la sua indole Siciliana, impregnata di quell’epica realista, di quel cinismo magico che contraddistingue l’isola, si scontrò con la concretezza popolana dei calabresi.

Perciò quando entrava in campo il prode Orlando, mentre lui decantava:- “… con la sua Durlindana Orlando spazzò via più di cinquanta saracini”- qualcuno dal pubblico gli urlava: -“Scala Don Natale!”-; e lui, ironicamente: -“Quaranta saracini, spazzò via !-” E sempre, dal pubblico, più voci:- “Scala Don Natale !”- E lui -“…Trenta saracini, trenta schifosi (ingiuriava i cattivi, con grandi risate del pubblico) furono spazzati via…- Dal pubblico continuavano:- “Scala Don Natale !”- Fin quando non arrivava a una cifra congrua, sotto la quale non scendeva più: “Spazzò via dieci saracini, meno di questi non posso fare…” diceva. Se qualcuno ancora avesse insistito, allora avrebbe risposto a grugno duro “spazzò via quelle put… delle vostre mamme…” Gli schiamazzi e il divertimento erano assicurati, nel teatrino, che sorgeva tra Piazza Carmine e Piazza Sant’Agostino; quando si rese conto che interloquendo col pubblico, di grana grossa, lo spettacolo ne guadagnava, Don Natale ne fece un punto di forza e di successo.

“Prenditi questo, traditore di un Gano di Maganza, schifoso infetele (le sue D erano quasi tutte T) scustumatu e villanu” –faceva dire al suo eroico Orlando. E dal pubblico- “il sangue, Don Natale, non c’è sangue!” E lui “Cretino, non vedi che è anemico!”

I modi di dire si diffusero in città. Ancora oggi le anziane nonne dicono ai nipotini “Non fare l’opera!” riferendosi appunto all’Opera dei Pupi. Ma la frase che per anni entrò nel vocabolario dei Reggini fu proprio quel “Scala Don Natale”, detto a chiunque la sparasse grossa senza vergogna. A inizio anni 60 il teatrino fu spazzato via da cinema, televisione e modernità. Don Natale se ne girava in bici per la città assistendo al tramonto di un’era, con sempre in testa la voglia di ricominciare. Ma tutto finì. E oggi anche quella frase, di fronte a tante sparate, a tante roboanti promesse, a così colossali panzane, sta finendo nel dimenticatoio, con i reggini sempre più a bocca aperta ad ammirare il teatro dei pupi, convinti che sia verità assoluta e pronti a crederci, con la bocca aperta dei bambini.

SCALA, DON NATALI!

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