Studentessa suicida all’Università, la lettera: “ho fallito negli studi”. O forse abbiamo fallito tutti noi…

Ad aver fallito non è lei, ma tutti noi. Dal sistema scolastico, a quello in generale degli studi, alle aspettative costruite dai docenti, dai genitori e dai compagni stessi che stanno accanto e spronano a fare del proprio meglio, pensando di fare del bene

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Come se non bastasse la notizia in sé, tragica, ci ha pensato la motivazione, con tanto di lettera, ad aprire una riflessione lacerante tanto quanto la ferita aperta dopo aver appreso dell’episodio. La studentessa di 19 anni trovata morta ieri mattina, all’Università Iulm di Milano, si è tolta la vita perché ha fallito negli studi. La ragazza ha lasciato “una lettera manoscritta di addio” in cui “riconduce il gesto alla percezione fallimentare della propria vita e del proprio percorso di studio”. Lo riferiscono i Carabinieri. La lettera è stata trovata nella sua borsetta. “I rilievi, a cura Sezione Investigazioni Scientifiche del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Milano, delineano la scena di un suicidio. La porta del bagno, al momento del rinvenimento, era chiusa dall’interno. Il corpo, vestito, non presenta segni di violenza”.

Un contenuto straziante, una motivazione altrettante cruda e che riflette le aspettative sociali dei nostri tempi. La società non chiede uomini, ma “robot”. Perfetti, belli, alti, intelligenti, col massimo dei voti negli studi, con un futuro roseo, un lavoro assicurato e la felicità. Ma purtroppo non è un film, anzi la realtà mette di fronte episodi del genere, gesti che non sono certamente novità negli ultimi tempi. Non si può fallire a 19 anni, ma chi è più fragile crede che sia così, anzi è appunto la società a farglielo credere. Gli fa credere che non si studia per la vita, per una propria cultura personale, per una soddisfazione e gratificazione interna, ma lo si fa per raggiungere un voto – ed è meglio farlo il prima possibile – che poi dà il via libera a un lavoro. Come un pass. Senza quel foglio di carta, non si va avanti. Prima lo si conquista, meglio è. Perché conta il risultato e la velocità con cui lo si consegue, non il viaggio e tutto ciò che è stato imparato. Ad aver fallito non è lei, ma tutti noi. Dal sistema scolastico, a quello in generale degli studi, alle aspettative costruite dai docenti, dai genitori e dai compagni stessi che stanno accanto e spronano a fare del proprio meglio, pensando di fare del bene. L’insegnamento non è di certo quello sui libri, ma è e dovrebbe essere quello che educa a realizzarsi, a sentirsi se stessi, senza troppe ansie, pressioni eccessive, senza troppi giudizi o esami. Le pressioni non sono per tutti e non tutti sanno gestirle o gestirle bene.

A tal proposito, una riflessione simile è contenuta nella lettera delle compagne della ragazza, diffusa dall’Unione degli Universitari. “Non possiamo tacere – si legge – davanti all’ennesima giovane che mette fine alla propria vita a causa del proprio percorso universitario. Ci viene chiesto perennemente di ambire all’eccellenza, ci viene insegnato che il nostro valore dipende solo ed esclusivamente dai nostri voti. Questo sistema universitario continua e continuerà ad uccidere. Serve prevenire, serve costruire un sistema accademico ed universitario in grado di insegnarci che non siamo numeri ma persone. Tempo, una costante nella vita dei giovani, che studino o meno. La pressione che non viene mai alleviata. Togliersi la vita però non è dovuto da una decisione momentanea. Non ci si impiega certo tre minuti. No, è il risultato di un carico che si porta da mesi, o anni che la società ci butta addosso senza mai voltarsi indietro a controllare il nostro stato di salute. Non ci si può fermare mai. Neanche davanti a un atto tragico che non coinvolge solo la sfera personale, ma più che mai sociale. Siamo costantemente costretti a soddisfare delle aspettative, raggiungere dei numeri. Altrimenti sei lasciato indietro, fuori dal sistema, non vali abbastanza. Al fianco delle studentesse della Iulm, al fianco di chi si sente oppressa o oppresso”.

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