Cospito: “è molto provato ma non vuole morire”. Bioetica: “no a misure coercitive”

"Cospito non ha alcuna vocazione suicida. Questa è una battaglia per la vita, per affermare il suo diritto alla vita", ha dichiarato l'avvocato dell'anarchico

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Nel colloquio di ieri mattina il mio assistito sembrava certamente molto provato, ma determinato a proseguire la sua forma di protesta ma non in una condizione tale da far ritenere imminente una sua nuova collocazione in ospedale: decisione giunta in serata“. E’ quanto dichiarato a SkyTg24 da Flavio Rossi Albertini, legale di Alfredo Cospito, che ieri è stato trasferito nuovamente in ospedale su indicazione dei medici.

Cospito non ha alcuna vocazione suicida. Questa è una battaglia per la vita, per affermare il suo diritto alla vita. E’ lucido, ma certamente molto provato dopo 5 mesi di sciopero della fame, siamo al 138esimo giorno: un triste primato – ha precisato Rossi Albertini – e ha sorpreso anche i sanitari. Credo che sia stato il valore del potassio ad aver allarmato i medici, considerando che il mio assistito rifiuta gli integratori salvavita da quando ha appreso della notizia del rigetto della Cassazione”.

“La notizia del trasferimento l’ho appresa da voi giornalisti e non dall’autorità competenti. La Pec dell’istituto di Opera è arrivata alla difesa solamente alle 20 di ieri sera dopo che decine di giornalisti avevano cercato di comunicare con me per avere notizie“,

Comitato Bioetica: “no a misure contro la volontà della persona”

I membri del Comitato Nazionale di Bioetica condividono il “rifiuto di adottare misure coercitive contro la volontà attuale della persona” e “ritengono che non vi siano motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la non applicazione della L.219/2017 nei confronti della persona detenuta, che, in via generale, può rifiutare i trattamenti sanitari anche mediante le Disposizioni Anticipate di Trattamento (Dat)”. Lo indica lo stesso Comitato, che nella sua riunione plenaria del 6 marzo “ha approvato il documento di risposta ai quesiti del ministero della Giustizia presentati il 6 febbraio scorso“.

Il Comitato, prosegue la nota, “si è in primo luogo interrogato sulla possibilità di rispondere a quesiti per i quali è evidente il collegamento a una vicenda personale chiaramente riconoscibile, per quanto non esplicitamente menzionata”. Il regolamento del Cnb esclude che si possano dare risposte a “quesiti riferiti a casi personali“, ma prevede che ciò possa avvenire “in ipotesi eccezionali in cui ricorrano motivi di interesse generale e comunque nel rispetto della funzione giurisdizionale spettante alla Magistratura“. Di conseguenza il Comitato “non ha alcuna legittimità giuridica, politica, morale ed etica per formulare un parere ‘ad personam’. Di conseguenza, la risposta del CNB ha un carattere generale“.

Nel corso della seduta sono emerse “diverse riflessioni condivise“, che “sono la premessa di posizioni che si differenziano in alcune conclusioni“. La maggioranza dei componenti del Comitato “ha ritenuto che, nel caso di imminente pericolo di vita, quando non si è in grado di accertare la volontà attuale del detenuto, il medico non è esonerato dal porre in essere tutti quegli interventi atti a salvargli la vita” e rileva che “la stessa Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu) ha sostenuto di recente che: ‘né le autorità penitenziarie, né i medici potranno limitarsi a contemplare passivamente la morte del detenuto che digiunà“. Si rileva inoltre che “le Dat sono incongrue, e dunque inapplicabili, ove siano subordinate all’ottenimento di beni o alla realizzazione di comportamenti altrui, in quanto utilizzate al di fuori della ratio della L.219/2017“.

Altri componenti del Cnb, ritengono che “non vi siano motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la non applicazione della L.219/2017 nei confronti della persona detenuta in sciopero della fame, anche in pericolo di vita. Anche in questo caso la nutrizione e l’idratazione artificiali possono essere rifiutate, anche mediante le Dat e la pianificazione condivisa delle cure. Il diritto inviolabile di vivere tutte le fasi della propria esistenza senza subire trattamenti sanitari contro la propria volontà – derivazione logica del diritto alla intangibilità della sfera corporea di ogni essere umano – costituisce un principio costituzionale fondamentale del nostro ordinamento“.

Infine due soli membri del Comitato, “pur privilegiando questa seconda posizione per quanto riguarda l’interpretazione dell’ordinamento vigente e l’applicabilità delle Dat, ritengono che un diverso bilanciamento dei principi in gioco non sia da escludere, anche guardando all’esperienza di altri Paesi. Considerano tuttavia – conclude la nota – che un intervento del legislatore sia la via obbligata, comunque stretta per vincoli e giurisprudenza costituzionali. Sottolineano inoltre la necessità di offrire un esplicito e chiaro riferimento normativo a chi si troverà a prendere queste decisioni, a partire dai medici“.

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