Il fastidio di pensare – Il diritto di offendere

La nostra è una società sterilizzata dove non ci sono più offese e dove tutti si vogliono bene

StrettoWeb

E così, dopo avere dato una ripulita a Roald Dahl, adesso l’Occidente si appresta a rendere inoffensivo anche 007 in attesa, naturalmente, di sapere chi sarà il prossimo a cui toccherà per entrare a fare parte del sogno di questa società asettica dove ci si vuole tutti bene e dove tutti sono in armonia con sé stessi e con il mondo. Una sorta di società sterilizzata dove non ci sono più offese e dove tutti si vogliono bene, un po’ come quella in cui vivono i bambini prima di diventare adulti. Per evitare qualche grana, visti i tempi di political correct, l’editore ha anche fatto precedere al testo una avvertenza che dice che “Questo libro è stato scritto in un’epoca in cui termini e atteggiamenti che potrebbero essere considerati offensivi dai lettori moderni erano comuni”, in attesa di vedere questi avvertimenti anche sulla Politica di Aristotele o magari sui testi di Voltaire o sulla Bibbia. C’era un capolavoro, L’isola di Arturo, un libro di formazione oggi un po’ dimenticato che raccontava l’evoluzione di un bambino che vedeva il mondo come una avventura salgariana e tutto gli sembrava affascinante e meraviglioso fino a che, aperti improvvisamente gli occhi, si rende conto che il mondo che ha sempre avuto davanti è un po’ più sudicio di quanto credesse: era solo lui che non riusciva a vederlo così. Ma il mondo, appunto, è sempre stato quello che era prima: quello che è cambiato è solo il suo mondo di vederlo: è diventato adulto. Il mondo dell’Occidente è invece un mondo eternamente in calzoni corti. Tutto quello che è brutto, o appena un po’ fastidioso, si elimina semplicemente non parlandone. Diciamo, naturalmente, un mondo fanciullesco, ma in realtà anche il mondo dei bambini è un mondo pieno di cattiverie, di piccole crudeltà, di divisioni: questo che i grandi vogliono costruire è solo un mondo fanciullesco secondo l’immaginario collettivo, come i bambini venivano disegnati nelle litografie ottocentesche dove tutti erano felici e la cattiveria era bandita dal mondo, tutta dietro la porta di casa, dove le divisioni non esistono e le offese non si sa cosa possano essere. Un mondo astratto che esiste solo nella loro mente. Non si può eliminare il problema, naturalmente: quello sarebbe difficile. Basta coprirlo. C’è il razzismo, o l’omosessualità, o tutti i tipi di diversi? Basta obbligare la gente a pensarla diversamente, ed ecco risolto il problema. Bastava anche proibire di ammalarsi, e così potevamo anche chiudere gli ospedali.

Questo mondo è l’estrema deriva della cancel culture, del political correct, e di tutte quelle culture nate da un senso di colpa dell’Occidente in cui è bandita ogni minima offesa e discriminazione, dove le maggiori Università, sotto la paura di qualche causa legale, hanno già bandito Aristotele che era un misogino, Platone che era un classista, Dante che era un omofobo per non tacere degli altri, e dove di tanto in tanto si abbatte qualche statua perché si scopre che qualche figura del passato non era tanto immacolata ma aveva, semplicemente, qualche pregiudizio del suo tempo. Sembra l’incubo di un mondo deviato, un’atmosfera da Fahrenheit 451, eppure sta già accadendo. Una minoranza di deliranti, analizzando la società sotto la rigida bilancia che vuole tutti rigidamente uguali con la complicità di qualche tribunale, stanno provvedendo al suicidio dell’Occidente tenendolo prigioniero dietro il ricatto che è vietato a chiunque sfuggire da questi confini omologanti. Manca solo, ma ci vuol poco, un ufficio della censura che debba stabilire, per ogni riga che venga scritta, se sia conforme a tutti questi valori, con le parole giuste, in maniera che nessuno possa protestare. Il valore dell’Occidente era la libertà e il diritto di parola, ma adesso, dietro questa ipocrisia si sta nascondendo la più grande tirannia: dietro la tutela di discriminazioni e offese si sta obbligando a una società del tutti uguali, come non sognavano neanche nell’Unione Sovietica. Chi censura lo fa sempre per proteggere qualcosa, con un nobile scopo. Qui la nobiltà è il bandire sentimenti negativi e credere così che verrà fuori una sorta di love society, un mondo di buoni pensatori in cui tutti si vorranno bene e nessuno si sentirà escluso da nulla. L’utopia dei buoni sentimenti.

L’ultimo a farne le spese è stato Dilbert, il personaggio delle strips americane che da dentro il suo ufficio aveva potuto permettersi un po’ di pensiero politicamente scorretto nascondendosi dietro il confine ipocrita e piuttosto esile tra satira e diritto di offesa. La società ha dovuto inghiottire un po’ più a lungo i suoi schiaffi. Ma infine anche il suo creatore è caduto in una frase intemerata sul razzismo, uno dei punti fragili della società americana dove non è permesso distanziarsi dal pensiero imposto. Scott Adams ha dapprima chiarito il suo pensiero, poi non gli è rimasto che accusare i pensieri forti di non rispettare le differenze di pensiero. Ma è servito a poco. Oltre trent’anni di strisce e oltre cento milioni di lettori non sono serviti a salvarlo dal silenzio. E osserviamo impotenti a queste scene.

Se l’Occidente è quello che è, è stato perché dal confronto di opinioni è nato sempre un dibattito fruttuoso, e chi non era d’accordo era libero di dissentire. E questo lo ha distinto da quelle società in cui la convinzione della verità ha creato immobilismo sociale e culturale. Ma adesso infine anche qui si è convinti di possedere la Veritas e si sta proteggendo con minacce e prescrizioni. Una verità più dolce e auspicabile, naturalmente: quella dell’uguaglianza e della non discriminazione. Ma noi ne tremiamo perché le verità ci hanno sempre fatto paura, perché sappiamo che ogni verità ha sempre avuto un sapore dolce, ma quando si smettono di cercare e diventano qualcosa di posseduto producono solo mostri e dittature mascherate in cui, forse, abbiamo già cominciato a vivere.

Condividi